Vivere in un quarto d’ora

Society 3.0


Vivere in un quarto d’ora

Il rientro in città dopo la pausa estiva coincide con la ripresa di ritmi frenetici e porta a ripensare il valore del tempo. E se le nostre città fossero costruite per usarlo al meglio? Il dibattito è aperto e crescono le sperimentazioni basate sul modello della “Città da 15 minuti”.

Se ogni mattina uscite di casa, percorrete qualche centinaio di metri a piedi o in bicicletta e raggiungete così agevolmente il lavoro, sappiate che oltre ad essere fortunati siete diventati anche un modello a cui puntare. Certo, molti di coloro i quali riescono a fare tutto in così pochi passi e con così poca perdita di tempo magari vivono in paesi, borghi o al massimo in piccole città. E se un domani anche le metropoli avessero casa, lavoro, svago, tutto in una manciata di minuti?

Si basa su questa idea il modello della “Città da 15 minuti”. «Un concetto non ancora applicato, ma basato sull’idea che ci possa essere una città in cui tutto ciò che serve si trova a distanza relativamente breve: una città di prossimità», racconta a Changes Ezio Manzini, professore onorario del Politecnico di Milano.

Presidente della rete internazionale di innovazione sociale DESIS, Manzini ha recentemente pubblicato il libro edito da Egea “Abitare la prossimità – Idee per la città dei 15 minuti”. A lanciare per primo l’idea di un siffatto modello di città è stato Carlos Moreno, direttore scientifico della Sorbona di Parigi, secondo cui in una città tutto deve essere prossimo e raggiungibile agevolmente a piedi o in bicicletta.

Un concetto semplice, ma straordinariamente rivoluzionario. L’impegno di urbanisti, sociologi, ingegneri, architetti è stato infatti fino ad oggi rivolto a comprendere come far funzionare una città complessa ed estesa. Oggi, sembra dirci il Prof. Moreno, bisogna cambiare tutto e chiederci: come possiamo progettare una città in cui tutto è vicino e nulla è distante?

Come il prof. Manzini spiega nel suo libro, alcune sperimentazioni già ci sono: La ville du quart’heure di Parigi, le Superilles di Barcellona, la Milano di WeMi e della riqualificazione delle periferie. Ma le città in 15 minuti non le avevamo già? Non erano i nostri paesi o anche i quartieri storici delle nostre città?

Una nuova prossimità

«I centri urbani premoderni – ci spiega il Prof. Manzini – erano forzatamente di prossimità giacché tutto quello che serviva per vivere era ovviamente vicino, poi con la modernità (pensiamo alla Ville Radieuse di Le Corbusier) sono nati i quartieri-dormitorio e le zone divise in base alle funzionalità: quartieri di uffici, zone residenziali, strade dello shopping oppure del divertimento. Oggi dobbiamo ritornare a progettare città della vicinanza, perché le città della distanza sono fonte di stress, causa di inquinamento, contesti in cui trionfa la solitudine e la rottura dei legami sociali».

Nelle nostre città si è sempre più soli. E i dati lo confermano. Secondo il rapporto Istat del 2018 in Italia il 13% della popolazione viva da solo e tra le persone over 75 anni quasi il 40% non ha parenti né amici a cui riferirsi in caso di bisogno. Una drammatica assenza di salvagente sociale, come testimoniano anche i dati di una ricerca Ipsos, Comieco e Symbola del 2020, secondo cui è salita dal 44 al 48% la percentuale di coloro che dichiarano di sentirsi soli. «Nelle città della prossimità, invece, si è vicini fisicamente, socialmente e anche psicologicamente. Per questo si deve puntare a coniugare le reti brevi della quotidianità con le reti lunghe che riguardano l’innovazione, le professioni, l’istruzione».

Certamente è impossibile non inserire in questo dibattito ciò che è avvenuto negli anni del Covid-19: il mondo chiuso in casa per il lockdown, a causa di un virus che ci ha distanziato socialmente, ma che ha permesso anche una straordinaria accelerazione dei processi di digitalizzazione. «Smart working, eCommerce, Didattica a Distanza hanno contribuito alla liquefazione della nostra società e a portare al limite la società della distanza (ora si può stare tutti a distanza, ma virtualmente connessi). Siamo approdati ad una città della solitudine connessa. Ma la digitalizzazione ha anche permesso una riorganizzazione sociale del vicinato. Pensiamo alle social street», ovvero a quel fenomeno che attraverso la valorizzazione delle pratiche di buon vicinato e la condivisione di conoscenze e professionalità ha riscoperto l’inclusione, anche grazie ai social network.

Le tecnologie digitali sono alla base di un’altra rivoluzione che ha investito da diversi anni la riflessione sulle città: le cosiddette smart city. «Il concetto alla base delle città intelligenti però non è una innovazione sociale, ma solo tecnologica. È come se la smart city ci dicesse: continuate a vivere come sempre, poi ad aiutarvi nelle vostre attività ci penseranno le tecnologie digitali». Non la pensa così il Professore Edoardo Croci che assieme al Prof. Giuseppe Franco Ferrari coordina l’Osservatorio Smart City dell’Università Bocconi.

Alla ricerca del benessere

«Nelle smart city la dimensione tecnologica non è l’unica, perché l’obiettivo finale è migliorare il benessere dei cittadini. Per questo nella città smart la dimensione ambientale e sociale sono dimensioni fondamentali. L’innovazione digitale è abilitante di una serie di miglioramenti che riguardano il lavoro, la mobilità, il rapporto con la Pubblica Amministrazione».

Ma le politiche pubbliche come guardano a questo dibattito sulle città? Siamo ormai alla vigilia dell’avvio di uno dei piani di intervento pubblico più importante degli ultimi decenni: il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che consentirà al nostro paese di investire i fondi europei del cosiddetto Next Generation Ue. «Secondo il Position Paper dell’Associazione Urban@it circa il 60% delle risorse del PNRR potrebbe ricadere sugli enti locali – ci dice il Prof. Croci – Il PNRR è una grande occasione per la città, anche se a livello locale potrebbero esserci problemi burocratici che ostacolerebbero l’impiego efficiente dei fondi. L’obiettivo – prosegue il Prof. Croci – è sempre quello di risolvere le sfide urgenti delle nostre città: l’inquinamento, il lavoro che manca e le diseguaglianze centro-periferia”.  Per questo, come osserva il Prof. Manzini “bisogna tradurre in modelli urbani concreti i grandi progetti del PNRR, per connettere, meglio di quanto si è fatto fin ora, il florido dibattito sulle città alla discussione sull’impiego dei fondi in arrivo dall’Europa».


Giornalista, pugliese e adottato da Roma. Nel campo della comunicazione ha praticamente fatto di tutto: dalle media relations al giornalismo. Brand Journalist e conduttore radiofonico, si occupa prevalentemente di economia, energia ed innovazione. Oltre la radio ama la storia e la politica estera.