Chosen family: legami che scelgono di esistere

C’è un tipo di famiglia che non nasce dal sangue, ma dall’amore consapevole. Non si fonda sull’obbligo, ma sulla scelta. È la chosen family, un modello sempre più diffuso
Il modo della Germania di fare economia, specialmente a livello globale, è stato criticato e odiato, ma sempre studiato e inevitabilmente copiato. Oggi questo modello è stato messo in discussione. Cosa può cambiare in Europa.
Per anni il modello economico tedesco è stato un punto di riferimento in Europa e nel mondo: imitato, studiato, persino criticato, ma raramente ignorato. Oggi, però, il contesto globale è cambiato e con esso anche le certezze economiche su cui la Germania ha costruito la propria leadership. Le sfide attuali – tra crisi climatica, instabilità geopolitica e ridefinizione della globalizzazione – spingono Berlino a ripensare un sistema che ha garantito prosperità e influenza. Ma il modello tedesco è ancora valido per l’economia europea di oggi?
Per capire cosa è il modello tedesco, bisogna guardare alla sua struttura complessa e interconnessa. Nato dalle ceneri del “malato d’Europa” negli anni 2000, il modello economico tedesco ha garantito per oltre due decenni stabilità interna e potere contrattuale all’esterno.
I pilastri fondamentali?
Questo mix ha sostenuto un mercantilismo moderno in cui lo Stato ha protetto e favorito l’industria nazionale – dalla meccanica all’automotive, dalla chimica al farmaceutico – spingendola verso l’innovazione e mantenendo alto il valore del “Made in Germany”.
Nel contesto dell’economia europea, il modello tedesco ha avuto un impatto profondo. Grazie alla sua forza industriale, la Germania ha dettato regole, indirizzato scelte e condizionato le politiche economiche dei partner europei. Dalla stabilità dei conti pubblici al contenimento dell’inflazione, passando per l’austerità come stile di governo – incarnato da Angela Merkel – l’economia europea e la Germania sono state a lungo sinonimi di rigore e competitività.
Per molti anni, la Germania è stata l’interlocutore obbligato per chi voleva fare affari in Europa, influenzando le dinamiche politiche e industriali dell’intero continente. Ma oggi questa centralità è sotto pressione.
Oggi il modello mostra segni di crisi. Le sfide sono numerose e complesse:
A livello interno, l’economia tedesca non cresce da due anni. Le infrastrutture necessitano ammodernamento, il lavoro è un tema caldo e la politica è sotto pressione tra scioperi e avanzata dei partiti estremi. La Germania si trova così a dover affrontare contemporaneamente crisi economica, sociale e identitaria.
Il cambiamento non è solo auspicabile, ma inevitabile. Gli stimoli esterni lo impongono: il conflitto in Ucraina ha spezzato l’asse energetico con la Russia e gli USA chiedono all’Europa – e alla Germania in particolare – di investire nella propria difesa.
Anche la Cina, partner privilegiato della Germania, rallenta. Il 46% delle imprese tedesche usa merci cinesi e l’automotive ha una forte esposizione in Asia, ora vulnerabile.
Sul fronte interno, l’economia stagnante, le proteste sociali e il clima politico instabile chiedono nuove risposte. Il rischio è che un modello pensato per un’altra era non sia più in grado di garantire prosperità né stabilità.
Il nodo più complesso è forse la relazione tra il modello tedesco e la globalizzazione, che sta cambiando pelle. Se, come diceva Alexander von Humboldt, “tutto è interattivo”, allora un modello così profondamente intrecciato alla globalizzazione rischia oggi di restare intrappolato in un mondo che si sta deglobalizzando.
Delocalizzazioni, supply chain più corte, nuove barriere commerciali, reshoring: tutte dinamiche che sfidano le fondamenta su cui la Germania ha costruito il suo successo. E che impongono un cambio di passo anche alla sua politica industriale.
Oggi la Germania cerca una nuova narrazione economica. Il dibattito interno è acceso, quasi schizofrenico: da un lato c’è chi vuole abbandonare i vecchi dogmi del rigore e dell’austerità, dall’altro chi resiste al cambiamento.
Quel che è certo è che la transizione sarà lunga, costosa e complessa. Serviranno:
È ancora presto per dire se il nuovo modello tedesco sarà all’altezza del precedente. Ma una cosa è certa: in Europa, ignorare la direzione presa dalla Germania resta un’illusione, più che un errore.
*Articolo pubblicato a marzo 2024 e sottoposto a successive revisioni