Bellezza: il canone lo dettano i social
Internet, e i social in modo particolare, hanno dato a tutti noi la possibilità di mostrarci ad una platea virtualmente infinita di persone, con i potenziali vantaggi che ne conse
È una di quelle idee di cui si è detto tante volte che il momento per realizzarla era giunto: sarà la volta buona con la prossima legislatura?
Stiamo parlando del Reddito di base universale, o UBI (Universal Basic Income). Un reddito erogato su base individuale a tutti i cittadini, incondizionatamente e universalmente, per contrastare la povertà e garantire una vita dignitosa. Un tema dibattutissimo e studiatissimo da decenni, con sostenitori che vanno da Martin Luther King al premio Nobel per l’Economia Esther Duflo (c’è chi ritiene che lo stesso Mahatma Gandhi possa considerarsi fra le voci a favore). Oggetto, inoltre, di una quantità di esperimenti pilota ai quattro angoli del globo e non solo nei Paesi in via di sviluppo: fra in corso e conclusi, se ne contano oltre 130 nei soli Stati Uniti.
Il dibattito ha ripreso prepotentemente quota con i colpi inferti dal Covid-19 al sistema sociale ed economico, specie alla sua capacità di resistere agli shock. Una grande spinta è arrivata da Papa Francesco: «Molti di voi – diceva il pontefice nella “Lettera ai movimenti popolari” il giorno di Pasqua del 2020, in piena emergenza Coronavirus – vivono giorno per giorno senza alcuna garanzia legale che li protegga (..) Voi, lavoratori precari, indipendenti, del settore informale o dell’economia popolare, non avete uno stipendio stabile per resistere a questo momento… e la quarantena vi risulta insopportabile. Forse è giunto il momento di pensare a una forma di retribuzione universale di base».
A maggio 2020 ha preso il via un’Iniziativa dei Cittadini Europei (ECI), strumento di partecipazione politica diretta previsto dai trattati Ue, che chiedeva di introdurre il reddito di base incondizionato (RBI) per assicurare a ciascun cittadino la sussistenza e la possibilità di partecipare alla vita della società, rafforzando anche la coesione sociale. Chiusasi a giugno 2022, l’iniziativa non ha raggiunto l’obiettivo minimo di un milione di firme. Tuttavia, la campagna ECI-UBI che l’aveva promossa – riferimento per l’Italia era il Basic Income Network Italia – ha comunque continuato a operare. E a marzo 2024, in vista delle elezioni europee di giugno, ha inviato una Lettera ai parlamentari europei dove si evidenziava tra l’altro che quella dell’RBI è stata l’idea più frequentemente espressa, nella prospettiva di un’Europa più inclusiva e socialmente giusta, nell’ambito dell’iniziativa tra 2021 e 2022 della Conferenza sul futuro dell’Europa.
A metà aprile 2024 presso il Parlamento Ue a Bruxelles è stato organizzato l’evento “Reddito Universale, è arrivato il momento”. Fra i relatori, alcuni dei massimi esperti mondiali sull’UBI, come due dei fondatori del Basic Income Earth Network (BIEN): Philippe Van Parijs, filosofo, economista e giurista belga, professore di Harvard, e Guy Standing, economista britannico, professore all’Università Soas di Londra. I quali hanno ribadito alcuni punti nodali a favore dell’introduzione dell’UBI: che esso rappresenta non solo una redistribuzione di reddito ma soprattutto una redistribuzione di potere di contrattazione, specialmente per le persone appartenenti alle fasce meno agiate della popolazione. Inoltre, che vi è grande coerenza nei risultati restituiti dagli esperimenti condotti negli anni sull’UBI in varie parti del mondo, pur in contesti molto diversi e non solo geograficamente: miglioramento nel controllo della propria vita, senso di libertà e indipendenza, benefici per la salute mentale.
Un altro punto su cui le evidenze dei progetti pilota concordano è che chi beneficia dell’UBI inizia a dedicare più tempo ad attività che considera ricche di senso e non necessariamente remunerative: cura, assistenza, attività a favore dell’ambiente. L’UBI, insomma, non incentiva affatto alla pigrizia o all’ozio, semmai il contrario. Lo conferma uno dei più vasti esperimenti condotti negli ultimi anni, in Kenya, che ha coinvolto oltre 70mila persone per due anni. Ed è in linea con quanto sostenuto da coloro che ritengono che l’UBI sia da considerare un diritto umano, come nel caso di UBI4ALL, un’iniziativa che vuol consentire alle persone in Europa di sperimentare il reddito di base nella vita reale: oltre a contrastare la povertà, affermano, l’UBI concede più tempo per la cura delle persone e della natura.
Un’obiezione storica nei confronti dell’UBI è: ammettendo il suo impatto largamente positivo, dove trovare i soldi per realizzarlo su così vasta scala? Ovviamente una letteratura ormai sterminata ha già ampiamente risposto. Se ne può avere un piccolo assaggio nelle faq sul sito di BIEN. Risposte più approfondite si possono trovare in testi famosi fra gli addetti ai lavori quali “101 Reasons for a Citizen’s Income” o “Il reddito di base : una proposta radicale” di cui è co-autore lo stesso Van Parijs (qui un estratto). Una riflessione calata sul contesto italiano si può leggere sul sito dell’Associazione Umanisti per un reddito di base. Per stare alle ricerche più recenti, una sostenuta finanziariamente dal Parlamento Ue – cui ha collaborato Daniel Raventos, professore di Sociologia ed Economia all’Università di Barcellona, presidente e fondatore della Rete Spagnola per un Reddito Universale, anch’egli intervenuto all’evento di Bruxelles prima citato – indica fra le varie fonti di finanziamento una tassa sul carbonio.
Particolarmente stimolante in tal senso è la proposta avanzata da Gianluca Grimalda, ricercatore in scienze sociali, membro del Panel Internazionale sul Progresso Sociale (IPSP) e autore principale di un policy brief rivolto al G20 sul reddito di cittadinanza globale. Che potrebbe essere finanziato ad esempio attraverso un più incisivo contrasto ai paradisi fiscali, con una Tobin tax sulle transazioni finanziarie, ma non solo: «Pensiamo a una risorsa naturale – dice -, ad esempio la foresta amazzonica: se accettiamo il principio che su di essa, sebbene ci sia chi ne esercita più propriamente la custodia come ad esempio le popolazioni indigene, non è attribuibile un diritto di proprietà, perché nessuno può essere escluso dai benefici che essa apporta, allora tutti hanno diritto a una sorta di dividendo che deriva dal suo utilizzo. Si getterebbero così le basi economiche per il finanziamento del reddito di cittadinanza globale». Grimalda, che è anche attivista per il clima con Scientist Rebellion, sottolinea poi l’importanza del legame tra UBI e strategie di adattamento alla crisi climatica: «L’UBI – sottolinea – è uno strumento che garantisce una capacità di risposta automatica e immediata agli shock. Come il Covid-19 o come eventi climatici estremi, quali uragani, inondazioni, ondate di calore prolungate, destinati a colpire sempre di più e soprattutto i più vulnerabili. L’UBI può contribuire a salvare vite: quelle di coloro che quando accadono eventi del genere non hanno modo di lavorare e perdono la possibilità di avere un reddito, non riuscendo più a procurarsi beni di prima necessità».
Autorizza a pensare che i tempi siano maturi per l’introduzione dell’UBI anche il fatto che si sia finalmente ricominciato a parlare, non solo in Europa, di risorse aggiuntive per finalità sociali e ambientali da reperire con la tassazione. Sono sempre di più e sempre più autorevoli, infatti, le voci che chiedono unatassa minima globale sui ricchi: “#TaxTheRich“, per dirla con la parlamentare statunitense Alexandria Ocasio-Cortez (“Tax the rich” è anche il nome di un’altra ICE, aperta fino a ottobre 2024, per una tassa sui grandi patrimoni che finanzi la transizione ecologica). Senza contare i super-ricchi che lanciano addirittura appelli per pagare più tasse.
Sul tema delle risorse è doveroso sottolineare un’ultima questione, dato che troppo spesso si dice che “non ci sono i soldi”. In anni in cui i governi di mezzo mondo stanno spendendo cifre folli nella corsa agli armamenti – quasi 2.500 miliardi di dollari nel 2023, nuovo record assoluto – coi bei risultati che si vedono (conflitti in aumento, morti, sofferenze e devastazioni pure), e per giunta moltissime istituzioni finanziarie investono in questa corsa facendo enormi profitti, parlare di difficoltà a reperire risorse per attuare una soluzione che non solo è assai ardua da contestare sul piano etico, ma che ha anche tutte le potenzialità per produrre significativi impatti sociali e ambientali positivi, come le sperimentazioni hanno ormai chiarito, pare francamente – non si sa davvero come esprimerlo altrimenti – una grandissima ipocrisia.
Ha detto Papa Francesco, nell’udienza generale del primo maggio scorso: «Purtroppo oggi gli investimenti che danno più reddito sono le fabbriche delle armi. Terribile, guadagnare con la morte».