La contesa dell’idrogeno verde

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La contesa dell’idrogeno verde

La corsa all'idrogeno verde è partita. Una trentina di Paesi ha già pubblicato una roadmap per lo sviluppo di questo vettore energetico, essenziale per la transizione ecologica, e alcuni stanno cominciando a produrlo. Come può cambiare la geopolitica.

Oggi meno dell’1% dell’idrogeno utilizzato nel mondo da impianti chimici e raffinerie è verde, cioè prodotto da fonti rinnovabili. Il resto è idrogeno grigio, prodotto dal reforming del metano o dalla gassificazione del carbone, a costi molto più bassi dell’idrogeno verde (1,5-1,7 euro al chilo contro 2,5-5 euro al chilo), ma con oltre 800 milioni di tonnellate di CO2 emesse all’anno, più delle emissioni di un Paese come la Germania, secondo Wood Mackenzie. Per innescare la transizione dall’idrogeno prodotto da idrocarburi a quello derivato dall’elettrolisi dell’acqua alimentata da rinnovabili è essenziale far diventare l’idrogeno verde più competitivo di quello grigio. Malgrado lo scetticismo dei grandi critici, come Elon Musk che considera l’idrogeno verde «la cosa più stupida mai immaginata», numerosi studi indicano che il mercato di questo vettore pulito arriverà a 400 miliardi di dollari all’anno nel giro di 5 anni e i costi di idrogeno grigio e verde arriveranno al pareggio entro il 2030.

Il “Dragone” parte in vantaggio

La Cina sembra ben avviata a fare la parte del leone. Con oltre 20 milioni di tonnellate all’anno, pari a un terzo della produzione globale, Pechino è già il primo produttore di idrogeno al mondo, ma si tratta di idrogeno grigio. Xi Jinping, però, vuole raggiungere zero emissioni nette entro il 2060 e per centrare questo obiettivo il passaggio dall’idrogeno grigio a quello verde sarà cruciale, tanto che la Cina si sta profilando come un produttore di riferimento di elettrolizzatori. Il più grande elettrolizzatore del mondo, da 20 megawatt, è stato installato nell’area delle Olimpiadi invernali per alimentare i veicoli a celle a combustibile durante le competizioni. Sinopec, la più grande azienda petrolchimica del mondo, punta a produrre 500mila tonnellate di idrogeno verde all’anno entro il 2025, a cominciare da due mega-progetti, il primo già quasi operativo a Ordos, nella Mongolia interna e l’altro a Kuqa, nella regione uigura dello Xinjiang, entrambi territori molto assolati e piazzati in posizione ottimale per intercettare i venti siberiani. Il primo prevede una produzione di 10mila tonnellate di idrogeno all’anno, alimentata da solare ed eolico, mentre il secondo sarà alimentato interamente dal solare, con una centrale fotovoltaica da 1000 megawatt: un’opera mastodontica, che dal giugno del 2023 inizierà a produrre 20mila tonnellate all’anno, puntando a diventare il più grande impianto di idrogeno verde al mondo.

L’Australia ci crede

L’Australia è a sua volta ben piazzata per conquistare un mercato ancora tutto da costruire, avviando con generosi contributi statali la costruzione di enormi impianti. Il più ambizioso, battezzato Asian Renewable Energy Hub, prevede investimenti per 36 miliardi di dollari e l’installazione di ben 26 gigawatt di capacità solare ed eolica, per produrre 1,6 milioni di tonnellate all’anno di idrogeno verde e 9 milioni di tonnellate di ammoniaca, che può fungere da vettore dell’idrogeno allo stato solido (NH3) per l’export. InterContinental Energy, la società che ha sviluppato questo progetto, presieduta da Alicia Eastman, ha appena ceduto una quota del 40% a Bp, decisa ad accelerare così la sua transizione verso le energie rinnovabili. Il sito prescelto – un’area di 6.500 km quadrati, grande il doppio della Val d’Aosta – è nel Pilbara, in Western Australia: regione molto assolata e densa di miniere di ferro e carbone, quindi già dotata di una potente rete di infrastrutture di trasporto, con cui rifornisce la Cina e il resto dell’Asia. Nella stessa direzione è partito un altro re delle miniere del Pilbara, Andrew Forrest, che vuole produrre con la sua Fortescue Future Industries 15 milioni di tonnellate di idrogeno verde all’anno entro il 2030, da esportare sotto forma di ammoniaca. A tal fine dovrà installare 200 gigawatt di capacità eolica e solare, a un costo di centinaia di miliardi di dollari, ma non dubita che ce la farà. Ne è talmente convinto, che ha già firmato una serie di accordi di fornitura, fra cui uno con l’utility tedesca E.on: «Hanno chiesto 5 milioni di tonnellate all’anno e le avranno», ha dichiarato.

Oman hub internazionale

In Medio Oriente il campione emergente è il sultanato dell’Oman. Con l’aiuto di InterContinental Energy, questo scatolone di sabbia stretto fra l’Arabia Saudita e il Mar Arabico punta a diventare un hub internazionale dell’idrogeno, grazie a un progetto da 30 miliardi di dollari, che prevede l’installazione di 25 gigawatt di capacità solare ed eolica, con l’obiettivo di produrre 1,8 milioni di tonnellate di idrogeno verde all’anno entro il 2035, nell’ambito di una grande strategia di transizione chiamata Oman Vision 2040.

Il Vecchio Continente punta sulla distribuzione

L’Europa, nel frattempo, si prepara soprattutto a ricevere le forniture e realizzare infrastrutture di distribuzione, a partire dall’Olanda, dove l’operatore della rete gas, Gasunie, ha annunciato la costruzione di una rete nazionale che collegherà i porti con gli utilizzatori di idrogeno verde, riconvertendo gli attuali gasdotti per il metano: avrà una capacità iniziale di 10 gigawatt, richiederà un investimento di 1,5 miliardi di euro e comprende anche un collegamento con la Germania, che sarà operativo dal 2025. Nel porto di Rotterdam, inoltre, Shell si appresta a realizzare il più grande impianto di produzione d’idrogeno verde del continente, Holland Hydrogen I, che sarà operativo nel 2025 e produrrà 200mila tonnellate di idrogeno verde all’anno, utilizzando l’energia rinnovabile di un parco eolico offshore.

L’idea di Eastman, Forrest e compagni è che l’idrogeno verde possa essere prodotto in qualunque regione del mondo, purché favorita da grandi risorse di energia rinnovabile a basso costo, e quindi esportato dove serve sotto forma di ammoniaca, così come oggi si fa con il petrolio, trasformandolo in una commodity a livello globale. Non tutti condividono quest’idea. Trasformare kilowattora solari in idrogeno con l’elettrolisi, poi in ammoniaca e infine di nuovo in elettricità comporta perdite di energia di oltre l’80%. Ma è il modo ad oggi più efficace per fornire l’idrogeno lì dove serve e i progetti avviati in giro per il mondo sono una prova concreta che si può fare.

​Giornalista, scrive di temi economici, d'innovazione tecnologica, energia e ambiente per diverse testate, fra cui il Corriere della Sera, il Sole 24 Ore e il Quotidiano Nazionale. Invidia i colleghi che riescono a star dietro a Twitter.