Città sostenibili: come vivremo domani?

La parola d’ordine per le città del futuro è sostenibilità sociale. Entro il 2030, i centri urbani dovranno accogliere un miliardo di nuovi abitanti, attratti da opportunità
La corsa all'idrogeno verde è partita. Una trentina di Paesi ha già pubblicato una roadmap per lo sviluppo di questo vettore energetico, essenziale per la transizione ecologica, e alcuni stanno cominciando a produrlo. Come può cambiare la geopolitica.
Oggi meno dell’1% dell’idrogeno utilizzato nel mondo da impianti chimici e raffinerie è classificabile come idrogeno green, ovvero prodotto interamente da fonti rinnovabili. La stragrande maggioranza è ancora idrogeno grigio, generato attraverso processi ad alta intensità di carbonio come il reforming del metano o la gassificazione del carbone. Il gap tra le due tecnologie è ancora evidente anche nei costi: 1,5-1,7 euro al chilo per l’idrogeno grigio, contro i 2,5-5 euro al chilo per l’idrogeno verde. Ma l’idrogeno grigio comporta un costo ambientale enorme: oltre 800 milioni di tonnellate di CO₂ emesse ogni anno, una cifra superiore alle emissioni di un’intera nazione come la Germania.
Innescare una vera transizione ecologica richiede rendere la produzione di idrogeno verde economicamente competitiva rispetto a quella da idrocarburi. Nonostante lo scetticismo di personaggi influenti come Elon Musk — che ha definito l’idrogeno verde «la cosa più stupida mai immaginata» — numerosi studi stimano che il mercato globale dell’idrogeno green possa raggiungere un valore annuo di 400 miliardi di dollari entro cinque anni. Secondo le previsioni, il pareggio di costi tra idrogeno grigio e verde potrebbe verificarsi già entro il 2030.
L’idrogeno verde è un vettore energetico prodotto attraverso l’elettrolisi dell’acqua alimentata da fonti rinnovabili come energia solare ed eolica. A differenza dell’idrogeno grigio (ottenuto dal metano) e dell’idrogeno blu (simile al grigio, ma con cattura della CO₂), l’idrogeno verde non genera emissioni di carbonio durante la produzione. Per questo è considerato uno dei pilastri della transizione ecologica e della decarbonizzazione industriale.
La produzione di idrogeno verde avviene tramite un processo chiamato elettrolisi, che separa l’idrogeno dall’ossigeno contenuto nell’acqua utilizzando energia elettrica. Quando questa energia proviene da fonti rinnovabili, il processo è completamente privo di emissioni. L’efficienza energetica complessiva dell’elettrolisi può però variare e rappresenta una delle principali sfide tecnologiche e ambientali. Per abbattere i costi, la ricerca si concentra sull’ottimizzazione degli elettrolizzatori e sull’utilizzo di tecnologie avanzate di accumulo e gestione dell’energia.
L’idrogeno green offre molteplici vantaggi ambientali e strategici:
Il panorama globale è in rapido sviluppo e alcuni Paesi stanno emergendo come leader nella produzione di idrogeno verde. Dalla Cina all’Australia, dall’Oman all’Europa, i progetti si moltiplicano con investimenti miliardari e politiche energetiche mirate. Questi attori puntano a trasformare l’idrogeno in una vera e propria commodity globale, simile al petrolio, da esportare dove necessario sotto forma di ammoniaca.
La Cina è oggi il più grande produttore mondiale di idrogeno, con oltre 20 milioni di tonnellate l’anno, pari a un terzo della produzione globale. Tuttavia, si tratta ancora prevalentemente di idrogeno grigio. Con l’obiettivo dichiarato di raggiungere la neutralità climatica entro il 2060, Pechino ha avviato una strategia di transizione verso l’idrogeno verde, con investimenti ingenti nella produzione di elettrolizzatori.
Tra i progetti chiave:
L’Australia sta emergendo come potenza globale nella produzione di idrogeno verde, grazie a progetti colossali supportati da fondi statali. Il più ambizioso è l’Asian Renewable Energy Hub, ha ricevuto l’approvazione delle autorità nel 2023 per:
Il progetto, guidato da InterContinental Energy, ha già visto BP acquisire una quota del 40%. Tuttavia, ad oggi il progetto è ancora in fase di sviluppo. I lavori di costruzione non sono ancora partiti e la produzione commerciale è prevista solo a partire dai primi anni 2030.
Nella stessa regione del Pilbara, Fortescue Future Industries, guidata da Andrew Forrest, punta a produrre 15 milioni di tonnellate l’anno entro il 2030, utilizzando 200 GW di capacità rinnovabile. L’ammoniaca viene scelta come vettore per trasportare l’idrogeno sotto forma di metano solido (NH₃), riducendo i costi logistici e aumentando la stabilità.
Nel Medio Oriente, l’Oman sta puntando a diventare un hub internazionale dell’idrogeno verde. Il progetto, sempre sviluppato da InterContinental Energy, prevede:
Tutto ciò si inserisce nella strategia “Oman Vision 2040”, il piano nazionale per la transizione energetica del Sultanato. Tuttavia, ad oggi il progetto rimane in fase di pianificazione strategica, con annunci e partnership ma senza impianti ancora realizzati o attivati.
L’Europa, pur non essendo in prima linea nella produzione di idrogeno verde, gioca un ruolo strategico nella distribuzione. In Olanda, Gasunie ha annunciato la costruzione di una rete nazionale di idrogeno che:
Nel porto di Rotterdam, Shell sta costruendo l’impianto Holland Hydrogen I, destinato a diventare il più grande d’Europa, con:
In questo caso la connessione temporanea alla rete è già operativa, mentre la connessione permanente e le infrastrutture di distribuzione collegate potrebbero slittare al 2026 o addirittura ai primi anni 2030.
Secondo visionari come Alicia Eastman e Andrew Forrest, l’idrogeno verde diventerà una commodity globale, prodotta in regioni con energia rinnovabile a basso costo e trasportata in forma solida dove necessario. Nonostante le perdite energetiche dell’intero ciclo (oltre l’80%), al momento questa è la via più concreta e realistica per alimentare il futuro a idrogeno.
*Articolo pubblicato il 5 gennaio 2023 e sottoposto a successive revisioni