CBAM: chi inquina, paga davvero?

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CBAM: chi inquina, paga davvero?

Questo acronimo, che sembra quasi un suono onomatopeico, cela uno degli strumenti più importanti adottati dall’Europa nella lotta ai cambiamenti climatici. Cos’è e come funziona.

Il cambiamento climatico richiede azioni decise e coordinate, e l’Unione Europea ha risposto con un meccanismo innovativo: il CBAM, acronimo di Carbon Border Adjustment Mechanism. Un nome tecnico, ma una logica semplice: se produci beni inquinando, devi assumerti la responsabilità, anche se lo fai fuori dai confini europei. Nel pieno del programma “Fit for 55”, il CBAM rappresenta un passo concreto verso la neutralità climatica e una sfida per imprese e governi. Ma chi inquina, paga davvero?

CBAM: cos’è e perché se ne parla

Che cos’è il CBAM? Il Carbon Border Adjustment Mechanism, in italiano “meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere”, è una misura introdotta dall’Unione Europea per applicare il principio “chi inquina paga” anche ai prodotti importati da paesi extra-UE. Il suo obiettivo è evitare che le industrie europee, sottoposte a regolamentazioni ambientali stringenti, siano svantaggiate rispetto a chi produce in paesi con norme meno severe.

La sua funzione è anche simbolica: il CBAM incarna l’idea che la transizione ecologica deve essere globale. Ecco perché la domanda “CBAM che cosa è” compare sempre più spesso tra le ricerche di chi si occupa di sostenibilità, economia e industria.

Come funziona il CBAM

Il funzionamento del CBAM è articolato e si sviluppa in due fasi principali:

  • Fase transitoria (ottobre 2023 – dicembre 2025): gli importatori devono semplicemente dichiarare le emissioni incorporate nei beni importati, senza dover ancora pagare alcuna tassa aggiuntiva. Si tratta di un periodo di formazione e sperimentazione, utile anche per testare la piattaforma CBAM dell’UE, che ha già mostrato alcune criticità tecniche.
  • Fase operativa (dal 1° gennaio 2026): entreranno in vigore gli obblighi economici. Gli importatori dovranno acquistare “certificati CBAM” in misura proporzionale alla CO₂ incorporata nei prodotti importati. Tuttavia, il meccanismo sarà progressivo e coesisterà con l’EU ETS (il sistema europeo di scambio di quote di emissione) fino al 2033.

In sostanza, il CBAM è una guida pratica per riequilibrare la concorrenza e stimolare una riduzione reale delle emissioni a livello globale.

Chi sono i soggetti e i settori interessati

Il CBAM si applica inizialmente ad alcuni settori industriali ad alta intensità di emissioni, selezionati proprio per il loro impatto ambientale. Parliamo di:

  • Acciaio e ferro
  • Cemento
  • Fertilizzanti
  • Alluminio
  • Idrogeno
  • Elettricità

I prodotti interessati dal CBAM sono classificati secondo la Nomenclatura Combinata (codici NC) e comprendono sia i beni finiti sia quelli utilizzati nella produzione. Per evitare pratiche elusive, sono inclusi anche semilavorati e lavorazioni specifiche.

Inoltre, il CBAM tiene conto non solo delle emissioni dirette, ma anche – con alcune eccezioni – delle emissioni indirette (ad esempio quelle legate alla produzione di energia elettrica). Per questo, quando si parla di “CBAM settori interessati” e “CBAM emissioni indirette”, si entra in una dimensione altamente tecnica, che impone alle aziende una maggiore tracciabilità ambientale.

L’impatto per le aziende italiane

Per le aziende italiane, il CBAM rappresenta una sfida e un’opportunità. Nel breve periodo, comporta nuovi obblighi amministrativi, tra cui la compilazione di report automatici tramite la piattaforma CBAM, il cui accesso ha già mostrato diverse difficoltà operative.

Le imprese che importano materiali dai settori interessati devono già oggi fornire informazioni dettagliate sulla CO₂ associata ai loro prodotti. Non sono previste sanzioni economiche durante la fase transitoria, ma la mancata conformità potrebbe precludere l’accesso al mercato UE una volta che il meccanismo entrerà in piena operatività.

In questo contesto, il CBAM può diventare uno stimolo per accelerare i processi di decarbonizzazione delle filiere e un’occasione per valorizzare le imprese che investono in tecnologie pulite. È un passaggio cruciale per l’industria italiana, da affiancare ad altri strumenti come la certificazione ESG e la transizione energetica, di cui abbiamo parlato anche nel contesto dell’idrogeno verde.

CBAM e il principio “chi inquina paga”

Il principio del “chi inquina paga” è alla base dell’architettura ambientale europea. Il CBAM non fa che renderlo concreto, superando i confini geografici. Chi produce in modo inquinante, anche fuori dall’UE, non può più beneficiare di un vantaggio competitivo a scapito dell’ambiente.

Ma questo è anche un tema di giustizia climatica. Se vogliamo un mondo più equo, dobbiamo riconoscere che le emissioni non rispettano le frontiere. Il CBAM cerca di bilanciare la sostenibilità ambientale con la responsabilità economica, mettendo al centro il concetto di equità.

Un meccanismo che, se ben gestito, può contribuire alla costruzione di un’economia globale più giusta. Ma per riuscirci, serve anche un dialogo tra paesi, industrie e cittadini. Le città sostenibili, ad esempio, sono un altro tassello di questo puzzle, come approfondito in questo articolo.

Il CBAM è più di una tassa: è un segnale. Un’Europa che pretende responsabilità ambientale anche da chi esporta verso il suo mercato, affermando un principio semplice ma rivoluzionario: chi inquina, paga davvero. Ora la sfida è renderlo efficace, equo e capace di generare un vero cambiamento, per le aziende e per il pianeta.

*Articolo pubblicato a marzo 2024 e sottoposto a successive revisioni

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Specializzata su temi ambientali e sui new media. Co-ideatrice del premio Top Green Influencer. È co-fondatrice della FIMA e fa parte del comitato organizzatore del Festival del Giornalismo Ambientale. Nel comitato promotore del Green Drop Award, premio collaterale alla Mostra del Cinema di Venezia. Nel 2018 ha vinto il prestigioso Macchianera Internet Awards per l'impegno nella divulgazione dei temi legati all'economia circolare. Moderatrice e speaker in molteplici eventi, svolge, inoltre, attività di formazione e docenza sulle materie legate al web 2.0 e sulla comunicazione ambientale.