L’abbraccio che cambiò il mondo: la rivoluzione dell’ecofemminismo

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L’abbraccio che cambiò il mondo: la rivoluzione dell’ecofemminismo

Dalle contadine indiane del movimento Chipko alle teorie di Vandana Shiva e Donna Haraway, fino all’Italia di Laura Cima: come l’ecofemminismo unisce la difesa dell’ambiente, dei diritti delle donne e di tutte le forme di vita.

All’inizio degli anni ‘70 del secolo scorso, in India, gruppi di donne contadine posero in essere iniziative di protesta eclatanti che miravano a preservare l’ambiente in cui vivevano. Motivate dal fatto che la conservazione dell’ambiente era, ed è, essenziale per la loro sopravvivenza. E ciò non in via generale o di principio, ma in senso stretto, per le risorse e la protezione che l’ambiente offriva loro in modo diretto: l’acqua, il cibo da raccogliere, la terra da coltivare, il legno per il fuoco, il foraggio per gli animali, alberi e foreste sui pendii come difesa naturale da frane e alluvioni.

Le radici in India: quando le donne abbracciarono gli alberi

Proprio alberi e foreste erano minacciati dalla deforestazione che alimentava l’export di legname. Nel 1974, in un villaggio nella regione himalayana di Uttarakhand, ai confini col Tibet, ventisette donne indiane decisero di passare all’azione. Anche perché non potevano contare sugli uomini del villaggio, che erano stati attirati lontano con un pretesto. Quando videro che stavano arrivando per portarsi via i loro alberi, migliaia di alberi che un imprenditore era stato autorizzato a tagliare, le donne fecero una cosa che sarebbe rimasta nella storia: abbracciarono gli alberi che erano stati contrassegnati per il taglio. Li abbracciarono per proteggerli coi loro corpi. Dichiarando che non li avrebbero abbandonati neanche al momento del taglio, nemmeno a rischio della vita. Le donne la ebbero vinta e i taglialegna dovettero rinunciare.
Si fa risalire a questo aneddoto la nascita del movimento Chipko, dal termine in lingua Hindi che significa appunto abbracciare, aggrapparsi. L’abbraccio degli alberi si diffuse come tecnica e fu ripreso in altre azioni di protesta organizzata. “Abbraccia-alberi” (tree-hugger) è diventato sinonimo di ambientalista. Nel 1987 alle donne del movimento Chipko venne assegnato il Right Livelihood Award, il cosiddetto premio Nobel alternativo.

La nascita di un pensiero rivoluzionario

Il movimento Chipko è storicamente considerato una delle pratiche più celebri, ed efficaci, di ecofemminismo. Diffusosi a partire dagli anni ‘60 del secolo scorso, l’ecofemminismo ha conosciuto il primo tentativo di teorizzazione alla metà dei successivi anni ‘70 nel saggio “Le féminisme ou la mort” dell’attivista francese Françoise d’Eaubonne. L’obiettivo principale dell’ecofemminismo è allargare lo sguardo contemporaneamente, per evidenziarne le connessioni e quindi contrastarli in modo più efficace e sinergico, a tre grandi modelli di discriminazione e sfruttamento: quello del genere femminile, quello dell’ambiente, quello degli animali.

Non solo ecologia: un movimento politico e sociale

Sbaglierebbe, però, chi volesse inquadrare l’ecofemminismo, un po’ romanticamente, solo come un approccio ai temi ambientali con gli occhi delle donne; o come una giustapposizione tra il movimento per l’emancipazione delle donne e quello per la salvaguardia dell’ambiente; o ancora come la semplice sottolineatura del fatto che le donne sono una delle categorie più vulnerabili al degrado ambientale e alla crisi climatica, e che quindi più ne portano il peso.
C’è anche questo, ma c’è infinitamente di più. Perché l’ecofemminismo è insieme un movimento di pensiero, una pratica sociale, una proposta politica. Soprattutto, l’ecofemminismo è un invito a far convergere le analisi critiche, e le battaglie che da tali riflessioni scaturiscono, al fine di promuovere un cambiamento nei rapporti di dominazione sui quali esso si concentra: quello tra uomo (qui inteso come maschio, come espressione della cultura del patriarcato) e donna, tra uomo e natura, tra uomo ed essere animali non umani. A partire dalla consapevolezza che nessuna di queste situazioni si può affrontare e risolvere da sola; che per comprenderne una bisogna comprendere la altre; e soprattutto che ciò che va messo in discussione, cambiato, riorganizzato, è il modello di sviluppo socio-economico che ha nelle varie relazioni di dominazione, discriminazione, sfruttamento, oppressione, il suo tratto caratteristico.

Le voci che hanno fatto la storia dell’ecofemminismo

Quella dell’ecofemminismo è una storia costellata di tante, anzi, tantissime voci (c’è chi ne ha proposto un elenco, evidentemente non esaustivo). Ognuna capace di lasciare una traccia speciale, di rappresentare una fonte d’ispirazione. Spesso attraverso pubblicazioni (una bibliografia è sul sito della Biblioteca Italiana delle Donne di Bologna) poi diventate pietre miliari che hanno fatto avanzare e crescere l’intero movimento.
Una delle principali protagoniste è sicuramente la statunitense Carolyn Merchant. Filosofa ecofemminista, storica della scienza, è ricordata soprattutto per le teorie espresse nel libro “La morte della natura. Donne, ecologia e rivoluzione scientifica”, considerato un testo di importanza capitale per l’ecofemminismo e allo stesso tempo un classico della storia della scienza moderna. Donna Harroway, anch’essa statunitense e vincitrice nel 2025 del prestigioso premio Erasmus, è un’altra delle voci più autorevoli dell’ecofemminismo: “A Cyborg Manifesto”, “Staying with the Trouble” e “Primate Visions” sono fra i suoi lavori più conosciuti. Mentre “Ecofeminism: Women, Animals, Nature” è il primo dei tanti lavori in cui Greta Gaard, cofondatrice del Minnesota’s Green Party, ha espresso le sue teorie sull’ecofemminismo, in cui la giustizia interspecie è al centro. Icona dell’ecofemminismo è considerata anche la celebra attivista ambientale indiana Vandana Shiva, insignita anch’essa del già citato Right Livelihood Award (“Per aver posto le donne e l’ecologia al centro del discorso sullo sviluppo moderno”, recita la motivazione del premio assegnatole nel 1993). A dirsi apertamente ecofemminista è anche l’economista francese Sandrine Rousseau, candidata alle primarie della sinistra ecologista francese per le elezioni presidenziali del 2022, oggi deputata all’Assemblea nazionale di Parigi.

L’ecofemminismo in Italia: dalle origini al presente

L’ecofemminismo naturalmente ha messo radici e ha sviluppato una storia importante anche in Italia. A raccontarla nel libro “L’ecofemminismo in Italia. Le radici di una rivoluzione necessaria”, di cui è co-autrice, e più sinteticamente sul suo blog, dove svolge un filo che unisce la nascita del Forum delle Donne Verdi nel 1986 al movimento globale innescato da Greta Thunberg nel 2018, è Laura Cima, ex-deputata della Repubblica, fra i fondatori dei Verdi a metà anni ‘80 del secolo scorso. Gli stessi anni in cui si registrarono nel nostro Paese le prime manifestazioni e uscite pubbliche di gruppi di sole donne che si autoproclamavano ecofemministe.

Un manifesto per il futuro: il Decalogo ecofemminista

Sul sito dedicato a ecofemminismo e sostenibilità, di cui ancora Cima è fra le curatrici, si trova un “Decalogo ecofemminista per un buon governo”, elaborato in vista delle ultime elezioni politiche, in cui sono raccolte una serie di proposte e di temi su cui si chiede di concentrare l’azione: dal riconoscimento formale del lavoro di cura alla transizione ecologica e al contrasto alla crisi climatica, dal “nascere bene” alla garanzia del “tempo per la manutenzione e la cura degli ambienti e delle relazioni, superando il modello sessista della divisione dei compiti”, alla richiesta di un piano di riduzione degli investimenti sugli armamenti e per la riconversione delle aziende produttrici (in direzione esattamente contraria, purtroppo, all’escalation a cui stiamo assistendo a livello europeo e internazionale).
Si legge nell’introduzione al Decalogo: «Vogliamo affermare quello di cui le donne sono esperte: relazioni eque tra le persone nel rispetto delle differenze, una società della cura, l’abbraccio alla Madre Terra e alle specie che la abitano». Sembra il ritratto, verrebbe da dire, di un mondo migliore. Ecofemminista, appunto.

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Giornalista, blogger, storytweeter. Laurea alla Bocconi. Da metà anni ’90 segue il dibattito sui temi di finanza sostenibile, csr, economia sociale. Blogga su mondosri.info. Homo twittante.​​​​