Over tourism: cos’è e come ci siamo arrivati

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Over tourism: cos’è e come ci siamo arrivati

Dall’eccesso di alloggi privati ad uso turistico fino alle destinazioni a numero chiuso, perché il turismo deve cambiare e cosa possiamo fare.

Sin dall’antichità, l’uomo si è spostato, per terra e per mare, per le ragioni più disparate, ma il turismo, nella sua connotazione attuale, ha origini relativamente recenti. Il termine “turista”, infatti, compare per la prima volta in un vocabolario (quello inglese) solo nel 1800, dopo pochi anni (nel 1803) trova la sua traduzione anche in francese e solo dopo 73 anni viene coniato il relativo termine in lingua tedesca. A tutt’oggi in molte lingue non esiste un termine specifico per indicare questa figura.

Il turismo moderno – inteso come viaggio organizzato e di massa – ha un “padre spirituale” e cioè Thomas Cook che, nel luglio del 1841, sfruttando le mirabolanti possibilità offerte dai treni, organizzò un viaggio per seicento persone che poterono attraversare un percorso di undici miglia – da Leicester a Loughborough – al prezzo di uno scellino a testa. Nacquero così i primi pacchetti turistici e prese il via l’industria turistica moderna. Il turismo è certamente una risorsa fondamentale per l’economia e per la società in genere, ma è indubbio che, così come per tutti gli ambiti umani, deve essere svolto con senso della misura. Il desiderio di sfruttare tutte le opportunità economiche offerte da questo settore ha purtroppo portato allo stravolgimento di luoghi che, infatti, sono stati trasformati in funzione delle necessità dei viaggiatori e, quindi, penalizzando i residenti – che spesso sono stati di fatto estromessi dal territorio – e creando dei “parchi gioco” che nulla avevano a che vedere con la storia, l’arte e la natura originaria. Oggi, proprio al fine di indicare il superamento di certi limiti in questo settore, si parla di over-turismo.

Cos’è l’Overtourism?

Il termine overtourism – o sovra-turismo – è utilizzato per indicare quel fenomeno che vede una destinazione turistica subire un afflusso eccessivo di visitatori rispetto alla sua capacità di accoglienza, al punto da causare problemi ambientali, sociali ed economici. L’overturism produce una serie di impatti negativi quali l’erosione dell’ambiente naturale e culturale, l’aumento dei prezzi delle abitazioni, l’alterazione del carattere locale, il sovraccarico delle risorse totali e solitamente l’insoddisfazione dei residenti.

Come ci siamo arrivati?

L’evoluzione dell’industria del turismo ha contribuito all’insorgere dell’overtourism anche se non ne è l’unica causa. Ci sono infatti diverse ragioni che hanno condotto all’emersione di tale fenomeno. Innanzitutto, bisogna considerare l’aumento della mobilità globale: sono cresciute le disponibilità e l’accessibilità a viaggi anche internazionali. A tutto ciò si sommano urbanizzazione e globalizzazione che hanno portato alla rapida crescita di infrastrutture capaci di collegare le città facilitando il flusso di turisti tra le diverse destinazioni.

Incide poi l’espansione, a livello globale, della classe media: la crescente disponibilità economica di milioni di persone (pensiamo alle popolose Cina e India) viene, in parte, spesa nei viaggi. Secondo i dati pubblicati pochi anni fa dal Brookings Institute la classe media globale ha un tasso di crescita di 160 milioni di persone e una parte di essi diverranno nuovi turisti.  Altro elemento da considerare è la nascita di un’industria di turismo low cost che ha reso le vacanze più accessibili grazie ad offerte e pacchetti a basso costo ed ha permesso ad un numero maggiore di persone di viaggiare e di visitare destinazioni già popolari.

È poi aumentato il numero degli alloggi turistici: si sono sviluppate piattaforme informatiche – ormai note a tutti gli utenti – che consentono ai viaggiatori di trovare, a prezzi modici, alloggi messi a disposizione da privati che hanno trasformato immobili residenziali in strutture di ricezione turistica.

Non va infine sottovalutata la capacità persuasiva dei social network: grazie a campagne social – spesso lanciate dagli influencer (anche del settore travel) – e piani di marketing promossi da enti del turismo, si scoprono angoli di Pianeta “esclusivi” che, in breve tempo, divengono meta del turismo di massa spesso alla ricerca di una esperienza originale. Questi fattori, combinati con la mancanza di una gestione efficace del turismo e con l’assenza di politiche di sostenibilità, fanno sì che oggi, in alcune destinazioni – tra cui Venezia e Barcellona – il flusso di visitatori abbia superato di gran lunga la capacità di gestirli in modo sostenibile. Il capoluogo veneto risulta essere purtroppo la regina del fenomeno con un rapporto – audite audite – di 73,8 turisti per abitante fra centro storico e terraferma.

Come invertire la tendenza e frenare l’over tourism

Trovare un equilibrio tra la voglia di scoprire nuovi posti e le esigenze del settore – da un lato – e il rispetto dei luoghi, degli abitanti e delle culture locali – dall’altro – non è certo semplice. Ciò nonostante, vi è chi sta provando ad invertire la rotta.

Un freno alla saturazione turistica

Il primo rimedio riguarda i numeri: molte pubbliche amministrazioni stanno iniziando a fissare un limite al numero dei visitatori giornalieri e ad introdurre dei biglietti d’ingresso, come ha recentemente previsto Venezia per i periodi caldi. Ci sono poi casi nei quali è stata imposta una chiusura prolungata di alcuni luoghi naturali per consentire il ripristino degli ecosistemi, come accaduto alla Spiaggia Rosa di Budelli in Sardegna.

Limitare l’alloggio turistico privato

Altre misure riguardano le limitazioni fissate al numero degli alloggi turistici privati. Chi è abituato a pernottare nei B&B ha da tempo verificato che le strutture dedicate a questo tipo di attività hanno perso l’originario carattere genuino di struttura familiare. Il check-in, spesso, si effettua in modalità “self” grazie a codici di accesso e documenti scambiati tramite e-mail, a colazione (se prevista nel pacchetto) si consuma caffè preparato in autonomia con una macchinetta a cialde e merendine confezionate o, addirittura, esistono molte strutture che offrono buoni da spendere presso bar dislocati nelle vicinanze. Le città sono ormai invase da questo tipo di strutture turistiche e nel web è facile trovare tutorial che spiegano come sia possibile “fare soldi” prendendo in locazione alloggi ad uso abitativo e trasformandoli in bed & breakfast. Tale fenomeno sta rapidamente trasformando il tessuto sociale delle città perché molti residenti (o aspiranti tali) ormai faticano a trovare un alloggio residenziale.

Molte città stanno quindi correndo ai ripari. New York, ad esempio, ha adottato misure assai restrittive che impongono a chi intende affittare un immobile a breve termine (fino a trenta giorni) di effettuare una preventiva registrazione presso gli uffici comunali e, quindi, di richiedere il rilascio di un’apposita autorizzazione. Nella Grande Mela, poi, un host non può ospitare più di due turisti in contemporanea e solo a condizione che egli stesso viva nell’abitazione. In Italia, a livello nazionale, ad oggi si sta lavorando per alzare dal 21 al 26% l’aliquota della tassazione per gli affitti brevi (la cosiddetta cedolare secca) e sostituto d’imposta è il portale tramite cui si perfeziona la locazione. A livello locale, il Comune di Firenze, seguendo l’esempio di altre città europee, ha previsto che in centro storico non possano più essere creati nuovi B&b. Ad Amsterdam sono state adottate restrizioni all’apertura di nuove strutture ricettive e anche di tradizionali hotel.

Cambiare la cultura del turismo

Non è pensabile di demandare unicamente alle autorità pubbliche la soluzione del problema: a cambiare dovrà essere tutto il sistema sul quale si sviluppa l’offerta turistica partendo dalla diversificazione delle mete turistiche ad un migliore sfruttamento delle cosiddette “basse stagioni”, sino all’adozione di una diversa gestione dei flussi turistici. È poi essenziale che le decisioni che riguardano il territorio vedano il coinvolgimento delle stesse comunità locali per garantire che i benefici del settore siano distribuiti in modo equo e per far sì che i servizi di base per i residenti non vengano intaccati.

Specializzata su temi ambientali e sui new media. Co-ideatrice del premio Top Green Influencer. È co-fondatrice della FIMA e fa parte del comitato organizzatore del Festival del Giornalismo Ambientale. Nel comitato promotore del Green Drop Award, premio collaterale alla Mostra del Cinema di Venezia. Nel 2018 ha vinto il prestigioso Macchianera Internet Awards per l'impegno nella divulgazione dei temi legati all'economia circolare. Moderatrice e speaker in molteplici eventi, svolge, inoltre, attività di formazione e docenza sulle materie legate al web 2.0 e sulla comunicazione ambientale.