Narcisismo: la malattia dei nostri tempi

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Narcisismo: la malattia dei nostri tempi

Perché siamo sempre più chiusi in una insicura individualità che considera aperture solo per ricevere approvazione ovunque e da chiunque.

«Se ognuno di noi confessasse il suo desiderio più segreto, […] direbbe “Voglio essere elogiato”». Perché, rifletteva Emil Cioran ne La caduta del tempo «nessuno è sicuro di ciò che è, né di ciò che fa», e, dunque, «non chiede che di essere ingannato, di ricevere approvazione ovunque e da chiunque». «La malattia è universale», concludeva lo scrittore nel 1963. In sessant’anni, la situazione è peggiorata.

Siamo sottoposti a continue connessioni, incontri, urti e scontri con persone ed esperienze. Eppure, a quanto pare, siamo sempre più serrati in una (insicura) individualità che considera aperture solo per «ricevere approvazione ovunque e da chiunque».

Sì, sembra una generalizzazione aberrante, ma – almeno secondo innumerevoli studi di sociologia e psicopatologia – assolutamente vera; e, d’altronde, immediatamente visibile in una folla di numerosi soggetti che vivono esistenze dove l’Altro è assente – o falsamente presente, che è lo stesso.

Siamo nell’epoca del narcisismo (patologico) imperante. La rivoluzione moderna del consumo e delle libertà individuali ha favorito l’affioramento di numerose personalità caratterizzate da un’evidente superficialità emotiva, dalla rilevante presunzione, dallo sfrenato desiderio di primato e dominio, dalla volontà di essere amati ma dall’incapacità di amare, dall’ansioso tormento della propria apparenza ma dalla poca cura della propria sostanza. Il Narciso non tollera nessuna forma di persistenza, nessuna pietra, nessuna pesantezza, nessuna decisione definitiva, nessuna struttura, nessuna sacralità, nessuna rigidità. Tutto deve rimanere fluido, modellabile e modellato all’esigenza. Molti amici, ma nessun dialogo; molte relazioni, ma nessun legame; molti amori, ma nessun amore. Esperienze smaterializzate, sentimenti liquidi, e una sfrenata adorazione di sé stessi. Fantasie di successo illimitato, bisogni esibizionistici di attenzione, e ricerca ossessionata dell’applauso.

Una pretesa di adorazione

Questa continua e continuativa richiesta di approvazione non è una domanda di giudizio – del tutto inaccettabile – ma una pretesa di adorazione, contemplazione ed elogio. Pur incapaci di provare empatia, i Narcisi o le Narcise necessitano sempre di un Altro da cui esigere ammirazione; una qualsiasi persona che possa ingrandire smisuratamente il loro ego. Qualora non accada, si sentono avviliti e feriti in profondità, diventando noti cantori del “non me lo merito”; da qui, il passo verso l’immediata svalutazione dell’Altro è molto breve. Anche questo è uno strumento perfetto per preservare l’esaltazione di sé stessi.

Una delle uniche definizioni del disturbo in questione accettate universalmente è che il narcisista può amare solo sé stesso; mai nessun altro. Questa dinamica non può che provocare dolore: perché chi si pone come un individuo isolato dagli altri – anzi, in alto rispetto agli altri –, annienta e si annienta.

Partiamo dalla prima forma di annientamento: quello autoriferito. Come racconta Ovidio nelle sue Metamorfosi, Narciso, innamorato di sé stesso, tende a tal punto verso la sua immagine riflessa nello specchio d’acqua da affogarvi, così realizzando la profezia espressa tempo prima dall’indovino Tiresia: «Se non conoscerà se stesso, vivrà a lungo». Si tratta, com’è ovvio, di una metafora di forte pregnanza: qualora riuscissero a conoscersi e a vedere davvero ciò che si nasconde dietro le loro dinamiche relazionali, i Narcisi piomberebbero in un abisso.

Tuttavia, in tempi odierni, è molto raro (se non impossibile – aggiungo io con cinismo) che questo accada. La corrente smaterializzazione dell’esperienza contribuisce a una diffusa mancanza di autoconsapevolezza: in molti, non sono nei narcisisti. Si aggiunga, inoltre, che i Narcisi o le Narcise di oggi hanno sviluppato tecniche impeccabili per evitare di conoscersi: una tra tutte, proteggersi nello schermo tutelare dei social. Vivendo estasiati nella loro contemplazione, disinnescano così qualsiasi elemento che possa mettere in discussione la loro identità, ed eliminano ogni tipo di conflittualità (per natura presente, invece, in qualsiasi relazione sociale) che potrebbe far vacillare anche solo lievemente la loro immagine.

Passiamo ora alla seconda forma di annientamento: quella di Narciso verso un Altro. Chi è questo individuo che, senza alcuna ribellione, accetta dinamiche di manipolazione, controllo onnipotente e annullamento di una qualsiasi possibilità di espressione vitale?

Torniamo a Ovidio che, nelle sue Metamorfosi, racconta di Eco, una ninfa privata della parola e condannata a duplicare i suoni degli altri senza mai poter parlare per prima. Ormai adulto ma insensibile all’amore, il giovane Narciso diventa oggetto della passione di Eco. Il primo incontro tra i due provoca prevedibilmente un equivoco che si traduce in un potente rifiuto: «Possa piuttosto morire che darmi a te», grida Narciso. E la ninfa, obbligata a ripetere, risponde: «Darmi a te». Umiliata e rifiutata, Eco si ritira in luoghi nascosti; e consumata dall’amore per Narciso, si riduce in ossa, trasformate dagli dèi in pietra; e in voce che «esiste ancora»: l’eco. Si tratta di uno schema definito «dipendenza affettiva» – ne sono certa, noto a molti.

L’Altro è, come Eco, qualcuno che non riuscendo ad avere voce propria, attinge a quella di Narciso; e, solo in relazione a quest’ultimo, si riconosce come degno di esistenza e valore. Vive come un piano riverberante che non esiste se non per svolgere la sua funzione, disperatamente bisognoso di un’accoglienza che gli è costitutivamente negata. Perché gli o le Eco non devono né possono mai avvicinarsi o allontanarsi troppo: Narciso potrebbe incappare nell’inaccettabile eventualità di vedere la sua immagine deformata (come in uno specchio eccessivamente vicino al volto); o, ancor peggio, rimpicciolita. Dunque, potrebbe correre il rischio di conoscersi come essere imperfetto. Eresia.

Anche qualora il confine non sia mai superato, per sottrarsi preventivamente a questa circostanza intollerabile, Narciso aziona un meccanismo semplicissimo: via la prima Eco, avanti la prossima. Una migliore parete di rimbalzo, una più adatta superficie di riflesso. Ricordiamolo: siamo nell’era del consumo (usa e getta) non solo dei beni, ma delle persone; del ricambio febbrile di oggetti e individui. E Narciso è un consumatore seriale. Eco, un’entità intercambiabile che esiste per aspettare invano di essere davvero “consumata”, spesso decide (e uso con grande riserba questo verbo, considerata la lontananza della questione dall’arbitrio) di auto-consumarsi, piuttosto che manifestare una ribellione, sia pure nel silenzio.

Parlo di dinamiche attive non solo in ambito più strettamente sentimentale, ma generalmente relazionale. E non lo affermo di certo io – che per esperienza diretta, e poi curiosità e ricerca, mi sono imbattuta in questo tema –, ma numerosissimi studi che individuano nel narcisismo (e nella relativa presenza di numerosi e numerose Eco) la malattia della nostra epoca. Costruito su idoli e ideali che esercitano la loro costante tirannia, ed edificato sull’ossessiva e feticistica appropriazione di beni e persone, l’oggi è popolato da (troppe) personalità che cercano un Altro perfettamente corrispondente non all’immagine ideale, ma alla propria immagine ideale, che mai e poi mai faccia intravvedere la verità su sé stessi.

Al contrario, qualsiasi relazione, qualsiasi possibilità di rapporto con un Altro (che è l’unica, vera modalità di esistenza che ci è concessa) necessita della rottura dello specchio. Ma anche del dovere della voce: di quel «suono» – scriveva Ovidio, riguardo a Eco – «che vive in» noi; e – aggiungo io – in nessun altro. Il contrappasso? L’indecente vuoto generalizzato, che oggi ci è fin troppo noto.

Ricercatrice su temi antropologici, storici e sociali, ha indirizzato i suoi studi sui cambiamenti epistemologici del presente, specializzandosi nell’ambito delle innovazioni digitali, della sociologia e della sostenibilità. Ha proseguito la sua attività di ricerca per aziende private, governi e organizzazioni multilaterali, supportando strategie di investimento in Nfts e in nuove tecnologie ai fini di un potenziamento di soft power; o guidando la riflessione sull’utilizzo degli spazi e delle leve del Metaverso per scopi politici e geopolitici. Ha fornito consulenza a marchi di lusso e di consumo, thought leaders e istituzioni finanziarie su come integrare la sostenibilità nei loro sistemi e su come creare e inquadrare value propositions relative al futuro del lavoro. Lavora come ricercatrice per il Future Food Institute, una fondazione no-profit che sta stimolando un cambiamento esponenziale nel sistema alimentare globale.