Quanto siamo felici?

di Luciano Canova Negli ultimi anni, l’importanza del benessere personale e delle emozioni positive è sempre più al centro del dibattito pubblico, influenzando non solo la
Otto consigli per sviluppare un pensiero che trasforma i propri limiti in strumenti utili per cambiare nella vita e nel lavoro in modo positivo.
La bellezza del ciliegio è data dalla fragilità dei suoi fiori. Riconoscere d’esser anzitutto fragili è il primo passo dell’antifragilità poiché non c’è opportunità migliore che quella che nasce dal riconoscimento dei nostri limiti. «Uffa, mi sono stufata di vivere…». Così singhiozza Gelsomina, nel film La strada di Fellini, all’inizio del suo dialogo con il Matto. Non piange perché Zampanò la schiaffeggia e la maltratta, non si lamenta perché la vita è dura e il cibo è poco.
Ma piange per ben altro: «Io non servo a nessuno… che ci sto a fare a questo mondo?». Il desiderio di servire a qualcosa o a qualcuno, di lasciare un segno, di essere al mondo per uno scopo, tutti ce l’abbiamo inscritto nel cuore, ognuno di noi, come Gelsomina. Il senso del lavoro come espressione di questa eccedenza di desiderio consiste nella voglia quotidiana di lasciare un segno in quello che facciamo. Pena, altrimenti, il dolore sordo della noia.
Riconoscere di essere fragili è il primo passo dell’antifragilità. La fragilità, infatti, può diventare una straordinaria opportunità. È a partire dalla consapevolezza dei propri limiti che si può costruire una nuova prospettiva personale e professionale. Accogliere il confine tra le cose non significa essere mediocri. Al contrario, significa spingersi fino al massimo delle proprie forze e poi sostare, contemplare il punto estremo – il “Capo Nord” che la realtà propone – non come fine, ma come soglia necessaria alla piena consapevolezza di sé.
Il limite non è una mancanza da colmare, ma una caratteristica naturale della nostra condizione umana. L’arrivo della pandemia da Covid-19 ha infranto il mito dell’onnipotenza moderna, mostrando quanto siano illusori i “contratti a tempo indeterminato con la vita”. Tutto può cambiare da un momento all’altro, e questo vale tanto per le persone quanto per ciò che esse costruiscono.
Nel mondo del lavoro, per anni si è tentato di rimuovere la fragilità, come se fosse un ostacolo alla produttività. Ma è proprio nella fragilità che si cela la possibilità di costruire non su ciò che eccede, ma su ciò che manca. Non è tempo di performance, ma di ripartenze consapevoli, che sappiano trarre dai limiti personali nuove risorse e opportunità.
Essere antifragili non significa negare la fragilità, ma accoglierla, proteggerla e valorizzarla. Significa conoscere i propri punti di minor resistenza e usarli come leva per avanzare, per generare un cambiamento reale. È da qui che nasce l’idea del mio libro Essere antifragili o del coraggio – Otto movimenti per sviluppare una mentalità antifragile e un cuore coraggioso (Effatà) e di un percorso manageriale sul tema, pensato per singoli e imprese.
Il concetto di antifragilità prende spunto dall’opera Antifragile dell’economista-filosofo libanese Nassim Nicholas Taleb. Taleb definisce l’antifragilità come la capacità di un sistema complesso di migliorare e evolvere proprio grazie a eventi traumatici e inaspettati. A differenza della resilienza o della robustezza – che mirano a resistere, ma rischiano di spezzarsi al primo urto – l’antifragilità accoglie l’imprevisto e ne trae forza.
Un sistema fragile (una persona, un’azienda, una foresta) è continuamente esposto al rischio. In genere, si tenta di proteggerlo rendendolo più robusto. Ma la robustezza non garantisce la sopravvivenza: basta un colpo imprevisto a causarne la rottura. La resilienza stessa è definita come “chirurgia estetica dell’anima”: mantiene l’apparenza, ma non trasforma. L’antifragilità, invece, accoglie l’incertezza, assume positivamente il rischio e lo sfrutta per migliorare.
Viviamo in un mondo complesso e soggetto a cambiamenti continui, dove eventi imprevisti – i cosiddetti “cigni neri” – possono stravolgere le nostre vite. Di fronte a questa incertezza, il pensiero antifragile si propone come una risposta profonda e concreta: partire dai propri limiti per sviluppare adattamento, empatia, consapevolezza e apertura al cambiamento.
In ambito antropologico e sociologico, cresce l’interesse verso le dinamiche relazionali che manifestano attitudine all’antifragilità. Si tratta di comprendere come la fragilità possa arricchire la nostra identità, permettendoci di costruire relazioni più autentiche e sistemi più flessibili.
Il percorso proposto dall’autore attraverso gli otto movimenti rappresenta un metodo concreto per sviluppare una mentalità antifragile:
*Articolo pubblicato il 4 novembre 2021 e sottoposto a successive revisioni