Giovani e social network: l’iperconnessione

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Giovani e social network: l’iperconnessione

Le nuove generazioni sono attratte e allo stesso tempo stanche dei nuovi strumenti digitali. Individuare delle possibili soluzioni da mettere in atto è il primo passo per evitare un vero e proprio burnout generazionale.

Le nuove generazioni vivono un rapporto sempre più complesso con la tecnologia. Se da un lato sono affascinate dagli strumenti digitali, dall’altro iniziano a manifestare stanchezza e disagio nei confronti di un utilizzo eccessivo. Comprendere le dinamiche dell’iperconnessione e proporre soluzioni concrete è il primo passo per evitare un vero e proprio burnout generazionale.

Iperconnessione: cosa è e chi colpisce

Il termine iperconnessione descrive lo stato di perenne collegamento al mondo digitale. Che sia per motivi di lavoro, per comunicare con il partner o anche solo per aggiornare il gruppo WhatsApp di famiglia, oggi siamo costantemente reperibili tramite social media, app di messaggistica istantanea e email.

L’arrivo degli smartphone ha cambiato profondamente il nostro stile di vita. Alcuni si sono adattati progressivamente, altri – come i nati digitali – ci sono cresciuti. Questo ha portato non solo a un nuovo modo di comunicare tra individui e gruppi sociali, ma anche a una vera e propria identificazione con i dispositivi.

Un dato significativo arriva da un’indagine condotta da WhistleOut nel dicembre 2022, che ha coinvolto 1.000 utilizzatori di smartphone per analizzare quanto tempo trascorriamo davanti ai nostri dispositivi. Il risultato? In media, passiamo oltre 76.500 ore della nostra vita (circa 8,74 anni) guardando lo schermo di un telefono. Un numero ottenuto stimando che l’età media in cui si inizia a usare uno smartphone è 10 anni, e che ogni giorno ne facciamo uso per circa 3,07 ore.

Questa condizione riguarda ormai quasi tutta la popolazione, ma sono soprattutto Millennial, Gen Z e Generazione Alpha a essere più esposti. Nonostante siano cresciuti immersi nel digitale, dimostrano una crescente volontà di affrontarne le conseguenze, sia offline che online.

Eppure, proprio in questo tentativo si cela un cortocircuito. Da un lato aumenta la consapevolezza sui rischi di un uso smodato di internet, dall’altro manca il controllo per gestirlo. Una dinamica che somiglia molto a quella delle dipendenze.

A dimostrarlo sono i commenti che compaiono sotto ai video su TikTok – la piattaforma più rappresentativa per i più giovani – in cui si discute proprio di iperconnessione:

«Meno siamo collegati meglio stiamo, il problema è riuscirci»
«Ho disattivato Instagram per 5 mesi: il miglior periodo della mia vita»
«Invidio i miei genitori per essere cresciuti con il Nokia 3310»

Queste frasi raccontano un disagio reale, vissuto da chi vorrebbe rallentare, ma si trova intrappolato in un sistema che spinge alla connessione continua.

Per un approfondimento sul ritorno a forme di socialità autentica, ti consigliamo di leggere anche: Social Rewilding: c’è vita sociale oltre il digitale

Tra iperconnessione e solitudine

Sebbene molti ragazzi e ragazze siano consapevoli che i social rappresentano un’opportunità, non possiamo ignorare le implicazioni sociologiche profonde che questa pervasività comporta. I concetti di spazio e tempo si sono assottigliati, tutto è diventato veloce, istantaneo, fugace. Questo crea un vero e proprio banco di nebbia che rende difficile distinguere gli aspetti positivi da quelli negativi, anche per gli utenti più esperti.

Ad esempio, internet può essere un mezzo efficace per entrare in contatto con comunità affini ai propri interessi, ma queste connessioni digitali tendono a rimanere superficiali. Se l’interazione non si trasforma in un’esperienza reale, si rischia di rimanere intrappolati in una comfort zone, in una bolla digitale che alimenta una solitudine travestita da socialità.

Le nuove generazioni, pur continuando a usare questi strumenti, iniziano a subire con sempre maggiore intensità le conseguenze negative. Tra queste, spiccano la FOMO (Fear of Missing Out), cioè la paura di essere tagliati fuori, e il confronto sociale con gli altri utenti, siano essi amici, conoscenti o influencer sconosciuti che appaiono sui feed personalizzati.

Questa continua esposizione ha contribuito alla nascita di quella che la ricerca del McLean Hospital, ospedale psichiatrico statunitense, definisce “era digitale della vulnerabilità”: una fase storica in cui, oltre all’aumento di ansia e depressione, si assiste a una crescita di atteggiamenti aggressivi e offensivi nei contenuti online, aggravati da una percezione distorta e idealizzata della realtà.

Iperconnessione: possibili soluzioni

Tornare indietro non è un’opzione. L’85,8% dei giovani italiani, secondo i dati ISTAT, utilizza regolarmente lo smartphone. Per questo è essenziale individuare strategie efficaci per trovare un equilibrio tra connessione e benessere psicologico.

Una prima risposta concreta potrebbe essere l’introduzione di ore di educazione digitale già dalla scuola primaria, come accade in molti Paesi del Nord Europa. Educare i bambini sin da piccoli a un uso consapevole degli strumenti digitali permette di prevenire i comportamenti disfunzionali.

Parallelamente, è importante coinvolgere anche i genitori e le figure adulte di riferimento, affinché possano accompagnare i più giovani con consapevolezza, sia online che offline.

Non mancano iniziative virtuose che vanno in questa direzione. Tra queste, il Social Warning – Movimento Etico Digitale e il collettivo degli Unfluencer, che promuovono un uso etico e critico della rete. Questi progetti dimostrano che qualcosa si sta muovendo: creare una nuova cultura digitale è possibile, a patto di educare, informare e costruire percorsi condivisi.

Riuscire a orientare le nuove generazioni verso un uso sano della tecnologia significa trasformare la rete in uno strumento di crescita, anziché in una trappola invisibile. Solo così sarà possibile cavalcare il cambiamento invece che subirlo.

*Articolo pubblicato l’8 maggio 2024 e sottoposto a successive revisioni

Creator, imprenditore e specialista in comunicazione digitale. Ogni sabato sera, su La7, nel programma “In altre parole” di Massimo Gramellini fa il resoconto social dell’attualità. Ha iniziato la sua carriera sul web dieci anni fa con una serie di progetti virali, ma tutti accomunati da un focus sulla responsabilità e il sociale. Oggi, oltre ad essere consulente creativo all’interno della sua azienda Billover 3.0, si occupa di sensibilizzare le nuove generazioni sui rischi e le potenzialità del web. Crede fortemente nell’educazione e nella consapevolezza che racchiude all’interno del neologismo “Unfluencer”.