Social rewilding: c’è vita sociale oltre il digitale

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Social rewilding: c’è vita sociale oltre il digitale

Cresce il desiderio di semplicità e di esperienze autentiche come difesa all’onnipresenza della tecnologia. Cos’è e come funziona la riconversione sociale.

Lo chiamano social rewilding ed èil crescente desiderio di semplicità e di esperienze autentiche come reazione all’onnipresenza digitale. Identificato come uno dei trend del 2025 nel rapporto Life Trends 2025 di Accenture,il social rewilding, ovvero riconversione sociale, già nel nome esprime l’aspirazione a una vita più in contatto con gli altri e con la natura e un parallelo rifiuto del mondo online.

In questo momento storico, insomma, le persone rivalutano la profondità delle interazioni con gli altri e il tempo passato in un contesto “primitivo”, mentre adottano un approccio difensivo alla tecnologia, che favorisca la disconnessione. Perché, se la pandemia ha dimostrato il potere salvifico della tecnologia per restare in rapporto con il mondo esterno, ora che non abbiamo più limitazioni ma non ci sentiamo né più felici né più liberi, per converso accusiamo una social media fatigue, una stanchezza da connessione, che ci spinge a vedere nella Rete un ambito cui accostarsi con misura. Non a caso, assistiamo al ritorno di telefoni “basici”, quelli che servono solo a chiamare, a segnalare il desiderio di ritrovare squarci di tempo non colonizzati dalla tecnologia.

Ma c’è di più: il rigetto dello smartphone che permette una continua partecipazione online si accompagna, secondo il sondaggio condotto da Accenture, a una diffidenza verso i contenuti diffusi in rete: il 59,9% delle persone ne mette in dubbio l’autenticità. «A lungo i social sono parsi il luogo ideale in cui esprimersi con la massima spontaneità, ormai è subentrata la sfiducia verso la veridicità e l’immediatezza di qualunque interlocutore online. Anche perché è impossibile sapere chi c’è davvero dietro un profilo», commenta Nicola Strizzolo, professore nel dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Teramo, sociologo dei processi culturali e comunicativi e autore di Narcisismo 2.0? Tra cultura, comunicazione e web society (Gutenberg Edizioni, 2020). A seguito di questa disillusione verso la trasparenza del mondo online, il Social Rewilding ha addirittura ribaltato uno dei principi della partecipazione digitale. «Alla celebre Fomo (Fear of missing out), la paura di non essere al passo con l’incessante conversazione sui social, è subentrato dunque il suo opposto; il 37,9% degli interpellati da Accenture rivendica la scoperta della Jomo (Joy of missing out), la gioia cioè di perdersi parte del chiacchiericcio digitale, la liberazione dall’aggiornamento continuo che, oltre a sopraffarci, ci espone al giudizio di un numero infinito di persone armate di mouse», sottolinea Strizzolo.

Come cambiano le connessioni tra brand e consumatori

In questo contesto, come possono le aziende restare in connessione con le persone in fuga dal digitale? Come sfruttare la tendenza del social rewilding per costruire connessioni reali tra brand e clienti? Accenture raccomanda di bilanciare la quota di budget speso per il digitale, che ha un basso costo per l’esperienza, con la quota spesa per punti di contatto tangibili con la clientela, che portano con sé profondità e coinvolgimento sensoriale.

Ma trovare il giusto mix è difficile, come lo è perfino valutare il giusto modo di restare presenti online. Negli anni ’90, l’agenzia digitale pionieristica Razorfish era solita dire: «Tutto ciò che può essere digitale, lo sarà». Ora, invece accanto a brand come Bottega Veneta che hanno addirittura scelto di non essere più online, ce ne sono altri finora digital first che devono inventarsi modalità fisiche di relazione con i clienti. La prima strategia, quella della sparizione, è molto elitaria e permessa solo a chi può comunque contare su un accesso diretto al suo target: Strizzolo menziona il ricorso a social network esclusivi, o a eventi su invito che rafforzino il prestigio percepito di un marchio. In ogni caso, rinunciare al web per puntare su pochi utenti è un lusso consentito a chi goda di marginalità molto alte.

Ma chi deve far leva su economie di scala? Una possibile strategia ricalca il tribal marketing emerso negli anni ‘90: si tratta di una strategia di marketing che si concentra su gruppi di persone che condividono interessi, valori, obiettivi e identità comuni. Strizzolo cita l’esempio della Ducati che in quegli anni ha costruito un sistema di marketing integrato, con un sito in diretto contatto con i clienti, che potevano vincere biglietti per le gare, condividere online le proprie esperienze a due ruote, partecipare a fiere ed eventi dedicati. Ma anche qui c’è un problema: se eventi, workshop e attività di community in presenza possono fornire un valore aggiunto alle persone in un mondo sempre più digitalizzato, quanto a lungo sono percepite come autentiche? A prescindere dal costo organizzativo, che non è sempre alla portata di chiunque, il dubbio riguarda tanto la grande azienda quanto il piccolo pastificio locale. «Al terzo o quarto evento sponsorizzato da una società commerciale, anche a costo zero per gli utenti, quanto autentico sembra un appuntamento ispirato da ragioni di marketing?», evidenzia Strizzolo. E così, se il disamore per i social nasce dalla mancanza di autenticità, alla lunga anche queste esperienze reali rischiano di essere percepite come funzionali agli incassi e alla fine di poco valore.

Mantovana, giornalista da oltre 15 anni in Mondadori, collabora a numerose riviste nazionali su temi di attualità e stili di vita. Ha collaborato a una monografia sul cinema di Steven Spielberg e curato la traduzione dall’inglese di un saggio sul Welfare State. ​