Spreco alimentare: quanto ci costa

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Spreco alimentare: quanto ci costa

Il viaggio del cibo dalla terra al piatto mostra che le inefficienze lungo la catena alimentare costano ogni anno 750 miliardi di dollari. Come ridurli entro il 2030? I risultati dello studio di ISPRA.

Il viaggio del cibo dalla terra al piatto mostra che le inefficienze lungo la catena alimentare costano ogni anno 750 miliardi di dollari. Come ridurli entro il 2030? I risultati dello studio riguardante lo spreco alimentare di ISPRA.

Oggi non si può più immaginare di affrontare i grandi temi globali come la fame, la giustizia sociale, i cambiamenti climatici e la perdita di integrità biologica del pianeta, senza affrontare contemporaneamente la questione delle perdite e dello spreco alimentare. Lo dice l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite che, all’interno di uno dei suoi 17 Obiettivi, invita tutte le nazioni a dimezzare gli sprechi alimentari e ridurre la perdita di cibo entro il 2030. La perdita e lo spreco di cibo hanno rilevanti ripercussioni negative a livello socio-economico e ambientale. Nel mondo si spreca ogni anno una quantità di cibo pari a 750 miliardi di dollari (dati dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura -FAO del 2013).

La questione dello spreco alimentare è un problema globale emergente. Sempre secondo la FAO, il 7% di tutti i gas serra globali è associato alla produzione di rifiuti alimentari. In poco tempo si dovrà garantire la sicurezza alimentare e la sostenibilità ambientale dei sistemi agro-alimentari. Varie sono le istituzioni internazionali che hanno raccolto dati per conoscere l’entità di questa emergenza. Gli studi sono recenti e i dati ancora parziali. Ne emergono diversi approcci metodologici che portano a stime diverse sulla portata del fenomeno. Il problema è anche questo: per prendere le decisioni, queste informazioni devono diventare conoscenza fruibile necessaria per arrivare a una definizione di strategia su scala globale. In considerazione della dimensione ambientale delle perdite e dello spreco degli alimenti e della necessità di fornire un approccio metodologico alla questione partendo dalla strutturazione della conoscenza, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), ha prodotto un Rapporto che contiene preziose linee guida. Per Lorenzo Ciccarese, principale curatore del rapporto, è stato necessario uno sforzo di armonizzazione a partire dalla stessa definizione di spreco alimentare. Lo definisce come la parte di produzione che eccede i fabbisogni nutrizionali e le capacità ecologiche ed include nello spreco elementi edibili basilari ma poco considerati, come sprechi per “mancate produzioni” produttive e perdite prima dei raccolti, sovralimentazione nel consumo, perdite nette di prodotti usati in allevamenti, usi industriali ed energetici, sprechi di acqua potabile.

«Bisogna dotarsi di azioni volte alla prevenzione strutturale dello spreco che consenta l’integrazione della prevenzione e della riduzione» ha detto Ciccarese che invita a immaginare il viaggio del cibo prima di arrivare nel nostro piatto. «Quando ceniamo a casa, in ristorante, in mensa, non abbiamo la percezione che stiamo facendo un danno al nostro ambiente: il percorso inizia dalla preparazione del terreno alla semina, dalla difesa delle colture dai parassiti e dai patogeni, dalla raccolta in campo, al trasporto, alla trasformazione fino ad arrivare alla distribuzione». Solo se ripercorriamo il viaggio del cibo, possiamo capire che è un tesoro e non possiamo permettere che un terzo del cibo che produciamo finisca nei rifiuti.

Il nesso acqua-cibo-energia è centrale contro lo spreco alimentare


Oggi si è consapevoli che uno dei principali fattori dell’inquinamento e del depauperamento delle risorse idriche, dell’erosione del suolo, dell’aumento dell’effetto serra, delle condizioni di malessere degli animali allevati è causato dal sistema agro-alimentare. Soprattutto quando questo sistema assume forme di intensificazione, concentrazione e specializzazione. Gli sprechi alimentari avvengono in ogni fase con proporzioni variabili da regione a regione, ad esempio per lo scarso accesso a una corretta refrigerazione o per etichette alimentari che incoraggiano cattivi comportamenti.

Lo spreco alimentare non è un problema solo dei Paesi ricchi. Ad esso contribuiscono la scarsa possibilità di accesso a ciò che viene prodotto o la dipendenza regionale da colture specifiche. Ecco perché la questione è complessa. Dobbiamo concentrarci sulla prevenzione a monte. Ci sono sistemi di produzione agricola, come quella biologica, che possono determinare una riduzione del degrado ambientale. Su questo l’Italia ha una posizione di capofila dovuta sia per il numero di imprese (oltre 70 mila) sia per l’estensione delle aree destinate alla produzione bio (oltre un decimo della superficie agricola nazionale).

Quanto conta per un Paese avere l’autosufficienza alimentare


In Italia i soli rifiuti alimentari rappresentano circa il 25% dei prodotti iniziali (960 kcal procapite al giorno). Considerando anche la sovralimentazione e gli allevamenti, lo “spreco sistemico” potrebbe essere in Italia almeno il 60% della produzione iniziale (3.700 kcal pro capite al giorno).
Il costo economico di questo spreco, a livello generale, sale a più di 13-16 miliardi di euro. Per Ciccarese il nostro Paese si trova in condizioni di “non autosufficienza” alimentare: con un consumo di suolo agricolo/naturale e un abbandono rurale in continuo aumento, il deficit di suolo agricolo è il quinto più grande nel mondo. La conseguenza è un tasso di auto-approvvigionamento alimentare inferiore all’80% e per alcune produzioni anche sotto il 50-60%.

Come agire nell’immediato? «Va facilitata la diffusione di produzioni agro-ecologiche di piccola scala, dell’agricoltura contadina, delle reti solidali e cooperative tra produttori e consumatori», ha detto Ciccarese. «Efficienza tecnologica, recupero e riciclo sono utili per evitare la formazione di rifiuti e sviluppare una bio-economia circolare sostenibile». Per Ciccarese non ci sono soluzioni semplici contro lo spreco ma le proposte di prevenzione strutturale possono dare indicazioni utili. Ci si deve muovere verso modelli sostenibili di produzione, distribuzione e consumo. A questo vanno ad aggiungersi acquisti pubblici verdi; politiche alimentari locali partecipate; educazione alimentare, tutela dell’agricoltura contadina e accesso alla terra; valorizzazione dell’agrobiodiversità; sviluppo dell’agricoltura sociale urbana e in aree soggette ad abbandono; contrasto agli illeciti, approfondimenti sul campo delle ricerche.

Ma il mondo potrà dimezzare lo spreco di cibo entro il 2030? La risposta può essere positiva solo se tutti, governi e aziende ma anche cittadini, intervengono per prevenire il fenomeno facendo la loro parte. È anche fondamentale avere l’impegno dei produttori e di molti altri portatori di interesse. A livello di strategia, chiude Ciccarese, è necessario perseguire congiuntamente una maggiore autonomia alimentare. E allora come non ricordare Confucio, celebre filosofo cinese che diceva: «Se vedi un affamato non dargli del riso: insegnagli a coltivarlo».

Storica, saggista e specialista in comunicazione ambientale. Parte sempre dalla catalogazione di fonti autorevoli per ottenere dati e informazioni attuali che poi rielabora per offrire contenuti divulgativi a prevalente valenza sociale e ambientale. Catalogare e selezionare per lei sono la premessa essenziale per il riconoscimento di un valore che è il fondamento della conoscenza. Ha competenza più che trentennale nella ideazione di progetti formativi, divulgazione e disseminazione di progetti scientifici. Conta su un ampio raggio di relazioni maturate in ambito scientifico, tecnico e istituzionale che avallano i suoi contenuti e forniscono spunti per ulteriori approfondimenti. Crede nell'importanza della conoscenza e nella condivisione di esperienze e saperi. Ama la montagna e passeggiare nei boschi.