La sharing cambia strategia

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La   sharing cambia strategia

È possibile fare un bilancio, anche parziale, della sharing economy? Va presa come una benedizione per ogni soggetto economico? Il modello sta sedimentando lentamente, rivela pregi e difetti, con aree molto fertili e zone d’ombra.

È possibile fare un bilancio, anche parziale, della sharing economy? Va presa come una benedizione per ogni soggetto economico? Il modello sta sedimentando lentamente, rivela pregi e difetti, con aree molto fertili e zone d’ombra.

Uno dei futuri possibili della sharing economy, quello forse più radicale, è nelle parole che la parlamentare danese Ida Auken ha consegnato al Global Future Councils del World Economic Forum del 2016. Si tratta di una prospettiva iperbolica, molto evoluta e raffinata, che descrive il 2030: un mondo in cui dimenticare i pronomi personali, perché la proprietà mio-tuo-suo sarà quasi scomparsa, tutto verrà prodotto pensando al riciclo-riuso, e lo shopping morirà, perché l’acquisto cederà il passo all’utilizzo.

UN BILANCIO SOLO PARZIALE

Ida Auken ha voluto aprire un dibattito, appena cominciato, con una posizione forte e provocatoria, lasciando poi i puntini di sospensione sul futuro di uno dei modelli che ha portato più scompiglio e novità nel mondo dell’economia. I numeri ci sono, e si trovano ovunque: partendo dalle performance dei suoi due più noti protagonisti (Uber e AirBnb) si stima che la condivisione crescerà, dagli oltre 15 miliardi di dollari l’anno, fino ai 335 miliardi nel 2025.

Sono risultati buoni e parlano di un settore che porta soprattutto investimenti e non ancora grandi utili, diviso tra questi grandi attori:

  • utenti/utilizzatori;
  • provider/fornitori;
  • piattaforme di intermediazione.


Ad oggi, filtrando questi dati in maniera grezza, è chiaro che le piattaforme fanno utili sottili, come quelli dei fornitori, ma senza i loro ingenti investimenti; e gli utenti hanno anche loro una loro piccola dose di risparmio.

Il sistema della sharing economy, pur volendo applicare la condivisione a tutto, non solo a biciclette, automobili, case, non allarga ancora la platea del guadagno, ma in qualche modo porta diffusi vantaggi indiretti, come:

  • esternalità positive (molti esempi di condivisione giovano ad ambiente, salute, risparmio);
  • modelli di efficienza trasferibili ad altri settori (si “consuma” meglio, in maniera più efficiente).

VANTAGGI INVOLONTARI

Nonostante il car sharing, per esempio, non abbia ancor prodotto utili di bilancio robusti, ma solo grandi investimenti, ha influenzato i comportamenti dei consumatori:

  • creando consapevolezza sull’inefficienza delle automobili, che per il 95% della loro vita sono inutilizzate;
  • facendo preferire un utilizzo condiviso all’acquisto di una seconda auto;
  • avvicinando a stili di consumo dell’auto già esistenti (quelli delle flotte aziendali, con i servizi tutto compreso) ma finora confinati solo alle aziende.

Nonostante Uber e AirBnb abbiano poi sollevato problematiche legate al lavoro e all’imposizione fiscale, i loro ecosistemi hanno contribuito all’emersione di mercati che prima del loro arrivo restavano nascosti, e al tentativo di risolvere inefficienze che erano celate dietro a privilegi di categoria o barriere artificiali di mercati che prima o poi dovevano essere aperti.

EVOLUZIONE E NUOVI PROTAGONISTI

Molti di questi vantaggi sono stati inattesi. E sono anche arrivati dall’esterno rispetto al core business della condivisione o agli attori direttamente coinvolti nell’offerta (provider e piattaforme).
Sono anche arrivate sorprese altrettanto inattese dagli spazi creatisi lungo il percorso, che stanno lasciando il campo aperto a nuove strategie, che oggi guidano l’evoluzione del modello originale.

Ci sono nuovi intermediari, come Sweetguest, che gestiscono i passaggi tra utenti e proprietari di case in affitto, compresi i servizi di pulizie e lavanderia, e la gestione dei rapporti dei proprietari con AirBnb.

Nascono modelli misti, direttamente ispirati dagli stimoli della sharing, come quello della start up Riversimple, che produce auto destinate solo all’affitto e non alla vendita: ritirate, sistemate e riaffittate di nuovo.

E vi sono persino cicli produttivi influenzati dalla sharing, come i primi appartamenti e condomini in Florida, progettati per essere espressamente destinati alla condivisione.

DRIVER DEL CAMBIAMENTO

Di queste evoluzioni, volontarie o casuali, ce ne sono e saranno molte. Anche dentro a settori che non hanno la possibilità di applicare il modello puro della condivisione, e non sono considerati “fit” per la sharing.

I due driver che certamente continueranno a influenzare i cambi di strategie della condivisione sono già evidenti:

  • la sostenibilità ambientale;
  • la sostenibilità economica.

 Sono due stimoli che portano a miglioramenti che superano il modello della condivisione. E funzionano solo se convivono.

Infatti, per esempio:

  • il modello di condivisione di una flotta di automobili che è costata ingenti investimenti, può non essere subito economicamente sostenibile, anche se porta vantaggi ambientali immediati;​
  • la condivisione di abiti usati che hanno poco valore, può non essere sostenibile a livello ambientale, anche se lo è sul piano economico, se questi abiti devono viaggiare per chilometri, consumare litri di benzina e quintali di cartone da imballaggio.

Saranno questi i due principali metri di misura, utili da una parte a controllare il tentativo di applicare la sharing a qualsiasi settore, e dall’altra a prenderne in prestito qualche strumento per migliorare altri modelli di business e rendere efficiente l’utilizzo non ancora sostenibile di spazi, risorse, prodotti, materie prime e macchine.

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​Antonio Belloni è nato nel 1979. È Coordinatore del Centro Studi Imprese Territorio, consulente senior di direzione per Confartigianato Artser, e collabora con la casa editrice di saggistica Ayros. Scrive d'impresa e management su testate online e cartacee, ed ha pubblicato Esportare l'Italia. Virtù o necessità? (2012, Guerini Editori), Food Economy, l'Italia e le strade infinite del cibo tra società e consumi (2014, Marsilio) e Uberization, il potere globale della disintermediazione (2017, Egea).