Accendiamo la luce sul futuro
La serie di fantascienza Star Trek è ambientata nell’anno 2264. Gli esseri umani viaggiano nella galassia insieme agli alieni, aiutati da computer, propulsione più veloce d
Domande semplici per avere risposte immediate. Così funziona l’intelligenza artificiale. Ma siamo proprio sicuri che sia sufficiente per conoscere il mondo che cambia? Il libro Allenarsi alla complessità mette in fila rischi e opportunità.
C’è un pericolo oggi molto dilagante: è quello delle risposte facili. Lanci un prompt, ossia fai una domanda all’intelligenza artificiale generativa, e hai una risposta. Tutto bene, salvo il fatto che corriamo il rischio di accontentarci, ossia di non approfondire ulteriormente. È un rischio che non possiamo permetterci: per questo, serve coltivare il pensiero complesso. Facciamolo con gli spunti offerti da Alessandro Cravera nel libro Allenarsi alla complessità.
Di cosa parliamo:
Non possiamo che concordare sul fatto che oggi il mondo sia particolarmente complesso. Internet è un sistema complesso, l’umanità è un sistema complesso, le nostre economie e le nostre organizzazioni sono sistemi complessi dentro sistemi complessi.
Per questa ragione ogni nostra decisione entra in connessione con le altre e tutto è condizionato e condizionante: «Ogni azione è connessa e interdipendente», insegna il filosofo e sociologo francese Edgar Morin, classe 1921. E, sempre per questa ragione, esiste un’“ecologia dell’azione”, dal momento che gli effetti di ogni azione dipendono dalle nostre intenzioni e, allo stesso tempo, dalle condizioni dell’ambiente in cui agiamo.
Le quattro meta competenze per governare la complessità
Fin qui tutto è chiaro. Meno chiaro è cosa fare per governare la complessità. Ci aiuta l’economista, psicologo e informatico statunitense Herbert Alexander Simon, Nobel per l’economia, autore di The architetture of complexity. Ciò di cui abbiamo bisogno sono le meta competenze ossia la capacità di combinare le competenze: serve l’orientamento ai risultati, in inglese results orientation, la lettura del contesto o context reading (in poche parole, il nostro GPS, capace di sensemaking e apertura al mondo), il pensiero complesso o complex thinking (la nostra guida assistita) e la capacità di generare un contesto relazionale o context generator.
Semplificando, oggi come mai, bisogna sviluppare la ridondanza cognitiva, ossia la capacità di porci le domande giuste, cambiando continuamente prospettiva. Serve imparare sempre, un po’ come fecero tanti grandi personaggi, dal Nobel economista John Keynes (definito, non a caso, “ermafrodita mentale”), a Leonardo da Vinci, Charles Darwin, Nikola Tesla, Niels Bohr o Karl Popper. Contro la tendenza al sapere verticale – ha detto polemicamente lo storico americano Vartan Gregorian –, «abbiamo bisogno di una scuola di specializzazione per diventare generalisti».
Diversi sono i modi per sviluppare la ridondanza cognitiva: si va dall’accettare di sbagliare al girovagare da una disciplina all’altra (importante, sotto questo aspetto, è sforzarci di collegare le cose, passando dal learning by subjects al learning by topics), fino al collaborare con gli altri.
Dice bene lo psicologo Abraham Maslow, quello della nota piramide dei valori: «Se l’unico strumento che hai in mano è un martello, ogni cosa ti sembrerà un chiodo». Per questo, «il vero manager di sistemi non ordinati complessi – sintetizza Cravera – ha le domande giuste, non le risposte giuste».
L’ultimo passaggio da compiere è riflettere su cosa significhi operativamente, giorno dopo giorno, “pensare bene”. Cravera ci aiuta con tre spunti: pensiamo bene quando colleghiamo le cose (celebri le parole di Steve Jobs, quando disse che «la creatività è collegare le cose»), quando riconosciamo i limiti della nostra conoscenza e, infine, quando cerchiamo di afferrare l’essenziale.
Il mondo è complesso: serve un approccio alla realtà tutt’altro che semplicistico.