La società dei poli opposti
L’inondazione di Valencia ha ben evidenziato i pericoli di una gestione territoriale in cui pochissimi erano decisori e concentrati su altri obbiettivi, mentre i molti, e veri co
Miti, fiabe, sogni sono un magazzino di pensieri che ci aiutano a percepire la realtà. Un’eredità genetica che ci aiuta anche sul lavoro.
La mia tata mi raccontava tante fiabe. Anzi, era più frequente che, con infinita pazienza, ne ripetesse per un determinato lasso di tempo una sola, la mia ossessione del momento. Spesso, con entusiastica insistenza, la pregavo di soffermarsi su un personaggio e di illustrarmi meticolosamente tutto ciò che lo riguardava. La mia scelta ricadeva sempre e unicamente sull’eroe.
Attenzione però, non è così per tutti. Conosco qualcuno che cercava ripetutamente consolazioni sull’antagonista: «sicuramente avrà sofferto per comportarsi così».
Da adulto, spesso mi sono interrogato sul motivo della mia preferenza e, al di là della fisiologica speranza di identificazione in un grande eroe, per la prima volta ho visto emergere con chiarezza una spiegazione durante una lezione di filosofia.
Uno psichiatra svizzero, Carl Gustav Jung, molto amico del da-tutti-amato Freud, elaborò nel 1934 l’interessante teoria degli archetipi. Tento di spiegarla in modo semplice: esiste un inconscio collettivo, comune a tutta l’umanità, dove sono contenute le tracce delle esperienze primordiali dell’umanità, che – straordinariamente – continuano a manifestarsi in immagini ricorrenti nei miti, nelle fiabe, nei sogni. In questo strano magazzino sono contenuti gli archetipi, forme universali di pensiero che determinano la nostra tendenza a reagire e a percepire la realtà secondo forme tipiche costanti. Insomma, al di là delle culture e dei tempi, gli archetipi rappresentano dei pattern sempre riconoscibili; sono come delle impronte presenti nella psiche, come un’eredità genetica dell’intera umanità.
Gli archetipi prendono voce nei miti, nelle leggende, nelle fiabe, e racchiudono in sé le strutture primordiali dell’uomo. Ecco perché, ascoltando i racconti della mia tata, riconoscevo istintivamente un determinato modello di comportamento umano – quello dell’eroe – e lo prediligevo. E la mia visione del mondo, ve lo assicuro, era definita dall’archetipo che, almeno allora, dominava il mio pensiero e le mie azioni. Io ero quegli eroi.
L’archetipo ha un potere straordinario: in quanto immediatamente riconoscibile, crea una istantanea connessione emotiva. Si tratta di un meccanismo utile in qualsiasi tipo di narrazione: di una storia, certo; di una personalità (pensate a quanto possa essere vantaggioso durante un colloquio di lavoro); di un brand, diventando un potentissimo strumento di vendita.
Questa, credetemi, non è una fiaba, ma una precisa strategia aziendale adottata dai più noti marchi per definire la loro brand identity. Pensiamo all’archetipo dell’eroe: spirito di squadra e ambizione a raggiungere risultati concreti; motivazione a generare un impatto sugli altri e sulla realtà; enfasi sul trionfo; volontà di sfida. Nike vi dice qualcosa?
Gli archetipi, inoltre, possono essere funzionali a interpretare e poi plasmare una cultura aziendale poco definita: identificata la categoria archetipica, si potranno facilmente stilare strategie di comunicazione o trasformazioni culturali coerenti con una rinnovata identità.
Non avrei mai potuto pensare che quegli eroi che mi accompagnavano verso il sonno sarebbero tornati per parlarmi di marketing.