Boomers contro Millennials

Society 3.0


Boomers contro Millennials

Nelle serie, al cinema e in tv va tanto di moda lo scontro tra generazioni. Ma è un modo per distogliere l’attenzione dal futuro dei trentenni. Changes ne ha parlato con Beniamino Pagliaro.

Uno scontro silenzioso tra generazioni. È quello tratteggiato da Beniamino Pagliaro, trentacinquenne, caporedattore del quotidiano Repubblica e fondatore di Good Morning Italia in Boomers contro millennials7 bugie sul futuro e come iniziare a cambiare (Harper Collins), un libro che mette in evidenza una verità incontestabile: il fatto che le persone nate tra il 1946 e il 1964, i cosiddetti boomers, godano di condizioni professionali e sociali migliori di quelle nate tra il 1980 e il 1996, cioè i millennials. E dunque, senza che i più giovani abbiamo altra colpa se non quella di essere nati nell’epoca sbagliata, per la prima volta nella storia del nostro Paese ci sono più figli che rischiano una regressione rispetto allo status economico e sociale dei rispettivi genitori (26,6 %) di quanti invece riusciranno a migliorare le proprie condizioni (24,9%).

Per arrivare a questa condizione iniqua, argomenta l’autore, è bastato imbastire per i millennials una narrativa seducente, costruita attorno a sette “bugie”: la promessa di trovare un lavoro corrispondente al proprio percorso di studi e quella di poter scegliere la professione preferita, la bugia di riuscire un giorno a comprarsi casa e la favola di riuscire a trascorrere una intera carriera alla stessa scrivania; l’inganno di ottenere una pensione, dopo una incessante successione di contrattini e minijobs e l’abbaglio di godere della democrazia diretta, per arrivare all’ultima panzana: l’impossibilità di un cambiamento nello status quo. «In realtà parlare di bugie è un artificio retorico, perché non c’è stato un inganno consapevole; piuttosto, un’acquiescenza al fatto che le cose andassero in un certo modo» precisa Pagliaro.

Ma il punto non è tanto la falsità di queste presunte promesse, quanto perché nessuno si occupa di questi temi: la sorte di una intera generazione non diventa mai argomento di discussione. «E la cosa peggiore è che anche quando tocca a uno di noi millennial scontrarsi con la realtà, la rabbia dura finché in qualche modo non si trova una qualche sistemazione» riconosce. In seguito tutto passa, ci si adegua e infine ci si dimentica delle ingiustizie subite collettivamente. Come, per esempio, il fatto che in Italia l’anzianità, e non il merito, sia un valore contabilizzato in busta paga o che «due persone che fanno esattamente lo stesso lavoro nella stessa azienda abbiano due contratti e due stipendi diversi» commenta Pagliaro. In questo modo però, anche per colpa dei millennials stessi, non si fa altro che rimandare il giorno della resa dei conti, quando le disparità tra generazioni renderanno insostenibile la tenuta futura del Paese.

Occorre allora favorire una pubblica discussione sul destino di una fascia di popolazione che da ora al 2045 sarà centrale nella società italiana: un confronto che coinvolga tutti gli attori interessati, dai partiti, che raramente menzionano i giovani nei programmi e, se pure lo fanno, al momento delle elezioni preferiscono aumentare le pensioni perché gli elettori sono in maggioranza anziani, alle famiglie. «Oggi che il patrimonio privato degli italiani è molto elevato e quindi ci sarebbero le leve per investire nel futuro, pochissimi pensano a come assicurare una buona successione a figli e nipoti. E se nelle aziende si progetta poco la successione al vertice, nel settore privato quanti proprietari di case gestiscono in maniera efficiente il patrimonio immobiliare per lasciarlo in condizioni ottimali agli eredi? Anche qui vige un’amnesia generazionale».

Per quanto Pagliaro intraveda alcuni segni di speranza, come la proposta, avanzata da un’associazione di imprese, di quote “giovani” nei cda aziendali, altre misure potrebbero essere almeno esaminate, per suscitare una pubblica discussione che eviti di perpetuare le disparità: come una dote di qualche migliaio di euro a testa per ogni diciottenne, ricavata dalla tassazione delle grandi eredità, o come un ampliamento dei mutui agevolati per l’acquisto di una casa, o come una misurazione della produttività nelle aziende che aumenti i salari dei neoassunti di valore. Bisogna poi comunicare il cambio di passo: far capire che l’Italia è un Paese anche per giovani può cambiare nel tempo le scelte di milioni di persone che altrimenti potrebbero aggiungersi ai centomila giovani italiani che ogni anno emigrano all’estero.

Infine, grossa parte del lavoro spetta ai millennial stessi: «La mia generazione ha capito l’impasse in cui si ritrova» conclude l’autore, che si dichiara ottimista, ma preoccupato. «Ma ancora ci manca una piattaforma, un modo di dare sfogo alle frustrazioni. Tuttavia, spero che insieme elaboreremo una strategia per sovvertire le ingiustizie. L’obiettivo non è contrastare i boomers, quanto l’inerzia che ci ha portato fin qui».

Mantovana, giornalista da oltre 15 anni in Mondadori, collabora a numerose riviste nazionali su temi di attualità e stili di vita. Ha collaborato a una monografia sul cinema di Steven Spielberg e curato la traduzione dall’inglese di un saggio sul Welfare State. ​