Phygital: dove si incontrano il mondo fisico e quello digitale

Phygital è una parola che nasce dalla fusione di physical e digital, e descrive l’interazione – anzi, la fusione – tra queste due dimensioni. Se ne sente parlare sempre più
Dagli dèi ai robot, le radici dell’AI affonderebbero nell’antichità. Perché le civiltà antiche pensavano già all’automazione. Changes ne ha parlato con Adrienne Mayor.
Robot e intelligenza artificiale sembrano concetti moderni, eppure affondano le loro radici in tempi molto più antichi di quanto si possa immaginare. Secondo Adrienne Mayor, docente di Storia e Filosofia della Scienza a Stanford, l’idea di creare vita artificiale era già presente nei miti dell’antichità. Il suo libro Gods and Robots mostra come gli antichi — da Omero agli Egizi, passando per India e Cina — immaginassero forme di automazione, esseri artificiali e persino dilemmi etici che oggi affrontiamo con l’AI. Ma cos’è il mito, e cosa può insegnarci in un’epoca in cui la tecnologia corre più veloce della riflessione?
Cos’è il mito? Non è solo una favola antica o una storia fantasiosa. Il mito è uno strumento con cui le società cercano di spiegare l’inspiegabile, dare forma a paure e desideri, riflettere sulla condizione umana. Allo stesso tempo, cos’è la mitologia se non un archivio simbolico delle grandi domande sull’origine, sulla morte, sulla tecnologia?
I miti affascinano perché riescono a toccare corde profonde della psiche. Raccontano storie senza tempo, ma riescono ad adattarsi ai temi più attuali, come dimostrano oggi le narrazioni intorno all’intelligenza artificiale. La filosofia antica e i racconti mitologici ci offrono infatti una lente preziosa per comprendere i sogni e i timori che ancora oggi accompagnano l’innovazione.
Molto prima degli smartphone e degli assistenti virtuali, i miti già immaginavano la creazione artificiale di vita. I racconti di Omero, ad esempio, descrivono servitori robotici e statue animate. Nella tradizione indiana, le reliquie del Buddha erano custodite da guardiani simili a robot, costruiti seguendo modelli greco-romani. Anche gli antichi Egizi avevano ideato statue semoventi azionate da ingranaggi e pesi.
Queste visioni proto-tecnologiche non erano solo frutto di fantasia: secondo Mayor, erano ispirate dalle vere invenzioni degli ingegneri dell’antichità. I miti non anticipano soltanto le tecnologie moderne, ma pongono interrogativi ancora validi su potere, controllo e limiti dell’umano. Temi che tornano centrali nell’epoca dell’algocrazia, dove gli algoritmi governano porzioni crescenti delle nostre vite — come raccontato anche in questo articolo.
Dietro ogni mito sull’automazione si nasconde un sogno (o un incubo): quello di sconfiggere la morte, trascendere i limiti biologici, creare la vita. Un’ambizione che oggi ritroviamo nel Transumanesimo, e nei progetti più ambiziosi dell’AI contemporanea, come illustrato in questa analisi.
Proprio come le civiltà antiche desideravano replicare la vita, oggi le tecnologie cercano di imitare la coscienza, esplorando le frontiere dell’intelligenza artificiale generativa. Ma i dilemmi etici restano: cosa significa essere umani? Possiamo davvero affidare decisioni morali a un algoritmo?
Il dibattito sulla super AI riporta in primo piano questioni filosofiche già affrontate nei miti — come si legge in questo approfondimento — e ci obbliga a riflettere sul futuro che vogliamo costruire.
Il primo “robot” della storia? Secondo la mitologia greca, fu Talo, un gigante di bronzo costruito da Efesto per proteggere Creta. Sembrava invincibile, ma aveva un punto debole: una vena nella caviglia da cui sgorgava l’ichor, il sangue degli dèi. Bastò reciderla per abbatterlo.
Il mito di Talo è un potente archetipo del robot imperfetto. Come i sistemi digitali moderni, apparentemente infallibili ma vulnerabili a bug e attacchi informatici, anche Talo rappresentava una perfezione apparente. Una lezione antica che torna utile nell’era della cybersicurezza e della protezione dei dati, come sottolinea anche questo articolo di Changes.
Adrienne Mayor osserva: «Il punto debole anatomico di Talo fu scelto per una ragione biologica. Ma oggi possiamo interpretarlo come metafora della fragilità intrinseca dei sistemi complessi». È un chiaro esempio di come il mito, lungi dall’essere superato, ci aiuti a capire l’etica dell’intelligenza artificiale e i suoi rischi sistemici.
Se è vero che la tecnologia avanza a una velocità senza precedenti, è altrettanto vero che le domande che ci poniamo oggi erano già al centro dei miti antichi. Oggi come allora, cerchiamo risposte su ciò che rende umani, su come convivere con l’intelligenza artificiale, su cosa significhi creare — e controllare — forme di vita autonome.
In fondo, come ricorda questo articolo, la ricerca dell’AI non è solo tecnologica, ma profondamente filosofica. Proprio come i miti.
*Articolo pubblicato ad agosto 2019 e sottoposto a successive revisioni