Siamo pronti alla Super AI?

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Siamo pronti alla Super AI?

La ricerca nel campo dell’intelligenza artificiale punta a modelli che vogliono addirittura superare il ragionamento umano. Con rischi etici, ma anche di sostenibilità.

Andare oltre all’intelligenza artificiale. Quello che può sembrare un azzardo eccessivamente futuristico, in realtà è una concreta pista di ricerca. È la super AI, l’intelligenza artificiale potenziata, che supera i limiti attuali e riesce ad elevare le capacità di algoritmi sempre più in grado di risolvere problemi complessi e soprattutto tra di loro connessi.

La strada è quella di un potenziamento dei modelli di AI oggi conosciuti, ritenuti ristretti cioè capaci di risolvere solo singoli task e problemi. Ma la Super Intelligenza Artificiale (ipoteticamente superiore a quella umana) è solo l’ultimo stadio di un salto tecnologico che passa anche dallo sviluppo della cosiddetta Intelligenza Generale Artificiale (AGI), che simula le capacità del ragionamento umano.

Peraltro, la ricerca nel campo dell’AGI è balzata anche agli onori della cronaca in seguito al licenziamento, poi rientrato, di Sam Altman, il Ceo di Open AI. Secondo molti osservatori, il founder della società madre di Chat GPT avrebbe provocato il suo allontanamento, durato solo quattro giorni, annunciando al pubblico lo sviluppo del nuovo progetto di Open AI noto come Q* (Q Star), finalizzato a sviluppare un’intelligenza artificiale molto vicina a quella Generale.

Ma concretamente a che punto siamo nello sviluppo di questa AI potenziata? Secondo Paolo Traverso, direttore Strategia e sviluppo della Fondazione Bruno Kessler, «lo sviluppo di una AI potenziata rispetto a quella con cui siamo abituati ad avere a che fare oggi dimostra la capacità degli algoritmi di risolvere compiti estesi, non più riferibili solo a casi specifici (rispondere a input, domande o trovare soluzioni a problemi specifici matematici). Un’intelligenza siffatta ci cambierebbe la vita. Pensiamo alla medicina. Oggi con l’AI si possono effettuare diagnosi dall’analisi dei dati clinici, presto si può raggiungere anche la predittività delle malattie future».

La sfida della contestualizzazione

Questo genere di AI, insomma, parrebbe capace di unire i punti, sviluppare relazioni tra dati e creare anche quello che è tutt’oggi un limite dell’AI: la contestualizzazione. Questi indirizzi di ricerca e sviluppo, è bene sottolinearlo, non sono nuovi. La tendenza a procedere verso questo genere di AI è presente sin dai primi stadi dello studio delle intelligenze artificiali. Quelle note oggi (dai primi algoritmi di ricerca, ai più raffinati sistemi di assistenza vocale, sino alle chat generative di cui tanto si è scritto e detto) sono anche dette Artificial narrow intelligence (ANI) oppure AI deboli, nel senso che simulano il ragionamento umano partendo da un limitato set di parametri. Proprio la comparazione con il cervello umano, attraverso lo sviluppo della simulazione delle reti neurali, è alla base dello sviluppo dell’AI, tanto che l’Artificial general intelligence (AGI), detta anche strong AI o deep AI, non solo si propone di istruire le macchine a replicare la modalità di funzionamento della mente umana, ma vuole promuovere l’interiorizzazione anche di altri aspetti umani di contesto o emozionali (non a caso si parla sempre più dello sviluppo della robotica basata sull’affective computing). Sembrerebbe, dunque, che l’AGI in realtà non replica l’umano, ne crea un altro con un modo di ragionare simile.

Un’ipotesi di ricerca

Questa tendenza è ancora più accentuata per la Super AI che, però, è ancora solo un’ipotesi di ricerca. Essa, infatti, sarebbe in grado di svolgere compiti, effettuare relazioni e attivare ragionamenti addirittura più potenti di quelli umani. Con l’ASI, insomma, potrebbero realizzarsi i sogni (o gli incubi) che tanta fantascienza ha cullato: creare super uomini, partendo da macchine potentissime in grado di analizzare set molto estesi di dati.

Lasciando per il momento da parte il cruciale discorso etico, il potenziamento dell’attuale AI presuppone un salto di qualità notevole del processo di machine learning che diventa sempre più profondo. Il concetto di deep learning non è nuovo, visto che i suoi modelli già in uso puntano a imitare le interconnessioni della nostra mente per ottenere output eccezionalmente vicini a quelli umani. Per non eccedere nel futurismo e rimanere ancorati alla concreta realizzazione di questi scenari, occorre a questo punto domandarsi quale livello di computazione sarebbe necessario per ottenere questi risultati.

 «Il passaggio dalle più elementari AI a quelle più complesse dipende dall’analisi e dall’elaborazioni di dati”, risponde Paolo Traverso. “L’assenza di macchine in grado dal punto di vista della capacità di calcolo di sfruttare questa sempre crescente mole di dati potrebbe rappresentare un grosso limite». Non è un caso che le major del settore stiano rivolgendo sempre più impegno (e investimenti) verso lo sviluppo di super computer come quelli basati sul quantum computing, elaboratori che sfruttano le leggi della fisica quantistica e che si basano su qbit che superano i bit dei computer tradizionali con risultati computazionali straordinariamente più elevati.

«C’è però un tema importante: l’AI potenziata consuma troppo potere computazionale e presenta gravi deficit dal punto di vista della sostenibilità», osserva Traverso. «Per il futuro servirà sviluppare sistemi con meno dati, avere quindi meno potere di calcolo, preservando però i risultati. Bisognerà cioè puntare ad analisi dei dati più efficienti» . È il caso di quella che si chiama Integrative AI, che, come ci spiega sempre Paolo Traverso «permette di porre dei vincoli alle reti neurali, rendendole più affidabili, e allo stesso tempo di integrare informazioni e conoscenza nel processo di apprendimento, ottenendo risultati con modelli meno grandi e che necessitano di minor potere computazionale e quindi energia per l’addestramento». E in un mondo che va verso l’assoluta centralità dei temi ambientali e della lotta ai cambiamenti climatici questo aspetto non è secondario, soprattutto in un campo come quello dell’intelligenza artificiale che diventa giorno dopo giorno più performante e di conseguenza più energivoro, con un’applicazione sempre più estesa ai più disparati settori industriali.

Giornalista, pugliese e adottato da Roma. Nel campo della comunicazione ha praticamente fatto di tutto: dalle media relations al giornalismo. Brand Journalist e conduttore radiofonico, si occupa prevalentemente di economia, energia ed innovazione. Oltre la radio ama la storia e la politica estera.