Telemedicina, la sfida italiana

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Telemedicina, la sfida italiana

L’economia reale sposa il digitale. Dalla biolettronica alla telemedicina fino alla genomica, così la tecnologia sta cambiando la ricerca e le cure mediche. E i dottori diventano avatar.

L’economia reale sposa il digitale. Dalla biolettronica alla telemedicina fino alla genomica, così la tecnologia sta cambiando la ricerca e le cure mediche. E i dottori diventano avatar.

Essere in contatto 24 ore su 24 da remoto con il proprio medico con un sensore montato su braccialetto al polso, monitorare in tempo reale la pressione sanguigna o il battito cardiaco, intervenire in tempo in caso di infarti o di ictus e utilizzare lo smartphone per misurare la temperatura o degli impulsi elettrici che si sostituiscono la somministrazione di pillole. Biolettronica, genomica, nutraceutica, elettroceutica anche la medicina sta vivendo la sua rivoluzione 4.0 grazie alla tecnologia. Perché con la telemedicina si possono raggiungere due obiettivi prioritari per ogni sistema di welfare: contenere la spesa farmaceutica, indirizzando i risparmi verso la ricerca, portare l’assistenza direttamente dal malato, migliorando le sue condizioni di vita.

Cure più a misura di malato all’insegna dell'”umanizzazione”, risultati migliori dagli altissimi investimenti che governi e case farmaceutiche destinano alla ricerca, nuove coperture assicurative modellate sui reali bisogni. Per questo sono in prima linea nomi che hanno poco a che fare con la salute come Apple, Microsoft, Google, Samsung o Htc. I quali stanno lottando per accamparsi un mercato nel quale si fondono big data, cloud e dispositivi ipertecnologici.

Sergio Pillon, in Italia, è uno dei pioneri della e–health, coordinatore della commissione della Conferenza Stato–Regioni per la governance e le linee di indirizzo della telemedicina, responsabile di queste attività al San Camillo di Roma, in passato ha sperimentato l’utilizzo delle tecnologie in spedizione in Antartide. Forte della sua esperienza dice che «la telemedicina è un pezzetto importante che migliora l’efficienza del sistema. Ci permette di passare dal “curare” al “prendersi cura” del paziente». Proprio nel nosocomio romano ha «portato avanti un progetto che è diventato nazionale per seguire i pazienti affetti da piaghe, i quali difficilmente riescono a venire in ospedale viste le loro condizione». Risultato? «In sei anni abbiamo ridotto i periodi di recupero del 50 per cento, i costi del 38%, mentre i ricoveri li abbiamo azzerati».

Tutto in una App: dalla diagnosi fino alla sala operatoria

Da anni ormai le aziende del settore sfornano piattaforme in remoto che permettono di misurare da casa la pressione arteriosa o la glicemia, e di effettuare spirometrie, elettrocardiogrammi, holter, ecografie, esami delle urine o dermatologici. Poi sono arrivati algoritmi in grado di gestire le anamnesi raccolte e di trasformare questi i big data in suggerimenti di cura. Adesso siamo nell’era di app molto avanzate e di facile gestione.
Power Sleep, realizzata da Samsung Austria e dall’Università di Vienna, per esempio decifra sequenze di proteine ed fa ricerche sui pazienti che dormono. Ascvd Risk Estimator raccoglie informazioni sul nostro cuore e sulla nostra situazione cardiovascolare, che poi gira a un team di cardiologi all’opera H24. Ultimeyesvision, vista la grafica, può essere scambiata con un videogame, ma permette di correggere le imperfezioni visive, attraverso training focalizzati di mezz’ora al giorno. Per non parlare delle centinaia di applicazioni che “modellano” l’attività sportive sulle proprie esigenze, accompagnano le donne nelle gravidanze, scandiscono tempi e modalità nelle diete. «Non mancano le idee», ha detto Sergio Pillon, «ma i fondi pubblici sono centellinati e gli unici finanziamenti certi sono la liquidazione dei genitori o le eredità lasciate dai nonni. I device poi, come del resto anche i computer che abbiamo nelle sale operatorie, sono dedicati e difficilmente possono girare su piattaforme aperte con licenza Apple e Android».



Fortunatamente ci sono i privati, che stanno via via invertendo la rotta. «Molta sperimentazione la stanno facendo le assicurazioni che, sull’onda delle scatole nere delle auto, stanno lavorando ad apparecchi in grado di monitorare il livello di cura, i possibili abusi e i risultati, in modo da erogare servizi sempre più profilati, evitando sprechi e truffe» ha aggiunto Pillon. «Le strutture di cura, che si sono accorte che i pazienti vogliono stare a casa propria, invece sviluppano forme di assistenza domiciliare, controllate da remoto, con il medico o l’infermiere che si presentano soltanto quando serve».

Pfizer Italia e Kelyon, per esempio, hanno prodotto iMonitor, dispositivo medico web-based per la gestione di artrite reumatoide, artrite psoriasica e spondiloartriti. In Italia si è mosso anche il gigante Merck Sharp & Dohme [MSD], che ha creato uno spin off apposito, Vree Health. Il quale, a sua volta, ha affiancato ad una piattaforma tecnologica, il sistema di servizio e monitoraggio  di UniSalute (gruppo Unipol). Monitor Salute, questo è il nome del servizio,  permette di tenere sotto controllo, e a domicilio, i clienti della compagnia specializzata in assistenza sanitaria, affetti da patologie croniche.

Molto attive anche le start up, come dimostra l’arrivo dei primi fondi d’investimento (Panakes e Principia III-Health) dedicati al comparto. Feelstep, nata presso la facoltà di ingegneria della Sapienza di Roma, ha ideato un sistema per il trattamento del Parkinson che comprende minisensori da attaccare alle caviglie dei malati e un algoritmo in grado di studiare la qualità del passo del malato e di suggerire soluzioni per migliorare la mobilità. Behaviour Labs ha costruito computer che aiutano i bambini autistici nell’apprendimento. Memio ha lanciato un porta-pillole intelligente che eroga la pasticca giusta negli orari prestabiliti. QuasarMed ha sviluppato il primo algoritmo che sa “leggere” gli sbalzi di pressione. Al monitoraggio clinico continuo Aenduo, con Cozy, ha aggiunto un sistema di allerta. Anche grazie all’accademia Samsung App Academy di Milano creata con il locale Politecnico e al loro programma «App4Tomorrow» ha visto la luce Home Therapy, della Tesi Spa, che permette ai pazienti più anziani di aggiornare i loro dati clinici senza doversi recare nelle strutture mediche più vicine. Un servizio simile arriva anche dalla lucana MeDea.

Se il medico sta diventando un avatar, non mancano strutture private come il Centro Medico Santagostino che hanno aperto una nuova sede esclusivamente virtuale per offrire “videoconsulti” con degli specialisti. A livello pubblico la regione Lombardia ha utilizzato sistemi di teleconsulto e telemedicina nel suo maxi monitoraggio giornaliero “Creg”, che coinvolge oltre 30mila cronici tra ipertesi, diabetici, affetti da scompenso cardiaco e da bronchiti croniche. “Decustop”, sorta all’ospedale Mazzini di Teramo, consente il monitoraggio da remoto delle piaghe da decubito. Alle Molinette di Torino, con Telecom, è partito “Nuvola Home Doctor”, che ha visto la creazione di un cloud, al quale è possibile accedere per conoscere i dati del paziente tramite web. La Società europea di cardiologia (Esc), l’università di Brescia e Federfarma hanno installato in 1.916 farmacie macchinari per poter effettuare Ecg 24 ore su 24. I risultati vengono immediatamente spediti attraverso un sistema di telemedicina a un team di cardiologi, sempre disponibili per un consulto telefonico.

La salute digitale è già il business del presente. Il giro d’affari è di 15 miliardi di dollari e dovrebbe già tra un decennio almeno triplicare il suo budget per la ricerca. La ragione è semplice: nel 2050 un decimo della popolazione mondiale sarà anziana e soggetta da quelle malattie croniche (diabete, cefalea, reumatismi) che assorbono sempre più risorse destinate a welfare nazionali.

L’Italia, seppure con numeri ancora contenuti, segue questa tendenza: appena il 5% della popolazione è seguito con le nuove metodologie, mentre al comparto della telemedicina va appena dell’1% degli 1,7 miliardi destinati alla digitalizzazione del sistema, per lo più fagocitati dal fascicolo sanitario elettronico. Mariano Corso, direttore scientifico dell’Osservatorio sull’innovazione digitale Politecnico di Milano, ha calcolato che «i risparmi potenziali per i cittadini grazie all’e–health potrebbero essere pari a 7,6 miliardi di euro». Di questi «2,2 miliardi arriverebbero con la medicina a domicilio». Questo in teoria, perché in pratica, uno studio dell’Osservatorio UniSalute ha rilevato che l’80% non conosce l’esistenza dell’e-health. Eppure una svolta è necessaria: secondo il Censis quasi 10 milioni di italiani rinviano o rinunciano a curarsi, mentre Altroconsumo ha calcolato che circa il 13% della popolazione è costretta a indebitarsi. Ma secondo il Mip (School of management del Politecnico di Milano) nel giro di pochi anni saranno almeno due milioni i pazienti che soddisferanno il loro bisogno di salute con applicazioni ad hoc.

Per chi scrive le regole del mercato sanitario la telemedicina è ancora una prestazione e non un servizio essenziale. Definendo i nuovi Livelli essenziali di assistenza (LEA), infatti, il Governo non ha voluto inserire la Telemedicina accanto ai quattro canonici luoghi (ricovero ospedaliero ordinario, ricovero in day hospital, ambulatorio, domicilio) dove si offrono cure ai pazienti. È soltanto «una particolare modalità di erogazione delle prestazioni». E senza LEA diventa praticamente impossibile stabilire un Drg, una tariffa, per questi tipi di servizio.

Parallelamente lo stesso Governo e le Regioni hanno firmato un protocollo di intesa per la sanità digitale. Intanto, grazie alla “Mappa dei servizi di telemedicina” realizzata dal Movimento difesa del cittadino (MDC) su 139 Asl, scopriamo che soltanto nelle strutture di Emilia Romagna il Veneto e il Trentino Alto Adige si riscontrano l’erogazione di servizi offerti online e on demand, mentre al Sud mancano anche i siti web di riferimento.

Pillon dice di «comprendere le difficoltà del governo, perché la telemedicina non è sostitutiva, ma integrativa. Quindi è difficile far rientrare, per esempio, il monitoraggio di pazienti cronici in una delle categoria dei LEA. Quello che sarebbe invece ancora più importante è mettere a sistema tutte le esperienze locali, che sono state realizzate a livello verticale. In Israele, dove le mutue sono tre e tutte sono pubbliche e in concorrenza tra loro, ai pazienti viene offerta una App che prenota automaticamente le visite di controlli e ti avverte quindici giorni dell’appuntamento». L’utilizzo del Big data e di Internet per analizzare le condizioni cliniche è un punto, uniti all’utilizzo di smartphone e di App dedicate alla salute sono il futuro presente. Secondo un’analisi di PricewaterhouseCoopers (PwC) per il Financial Times esistono già 165 mila applicazioni dedicate al benessere e alla salute, di cui solo il 5% ha volumi significativi di utilizzo. Ma secondo Pwc, la domanda di medicina elettronica arriverà presto a 1,5 miliardi di App scaricate per un giro d’affari del mobile health che supererà quota 20 miliardi di euro. Una rivoluzione a cui l’Italia sta rispondendo.

Giornalista, 39 anni, napoletano, scrivo da 15 anni, prevalentemente di economia e politica per L'Espresso, il Giornale, il Foglio, Lettera43, il Mattino.