Giovani e famiglia: addio al “modello unico”, viva le differenze

Famiglia tradizionale addio. Anche l’edizione 2025 di GenerationShip mostra con la forza dei dati la profonda evoluzione nel sentire dei più giovani nei confronti di questa isti
Le notizie hanno cambiato forma. Profondità e immediatezza sono la formula vincente nel futuro. Cosa emerge dal focus “giovani e informazione” dell’Osservatorio GenerationShip 2025 di Changes Unipol, a cura di Kkienn Connecting People and Companies.
Non sono diversi loro, sono cambiate le regole del gioco. Chi accusa i giovani di non informarsi guarda il mondo con occhiali vecchi: l’informazione non è più un appuntamento, ma un ambiente. E per capirlo basta confrontare due scene, a trent’anni di distanza.
La prima istantanea risale a trent’anni fa (1995). All’epoca il modo di informarsi di una persona adulta – uomo o donna che fosse – era piuttosto semplice. Al mattino presto, durante la toilette o a colazione, accendeva la radio per sentire le notizie o la rassegna stampa. Un quarto d’ora per rassicurarsi sul fatto che il mondo fosse ancora al suo posto, e poi via, al lavoro.
Durante la giornata, poteva capitare di andare al bar per la pausa caffè e dare un’occhiata al giornale. Il filo delle notizie si riannodava la sera, nella cornice familiare, al momento del TG delle 20. Si poteva scegliere fra sei reti concorrenti, tre canali RAI e tre Mediaset, ciascuno con il suo anchorman e il suo stile televisivo. Ogni famiglia aveva il suo telegiornale, che solitamente era quello preferito dal capofamiglia. Era una fruizione distratta ma condivisa, le notizie venivano commentate, discusse, talvolta spiegate da chi riteneva di saperne di più.
Per molto tempo il modello della maggioranza degli italiani è rimasto questo: un’informazione abitudinaria, ritualizzata, fruita attraverso la televisione, la radio o un quotidiano, veicolata dalla voce di giornalisti esperti, in grado di leggere il mondo e di raccontarlo sulla base del proprio sapere professionale, socializzata nell’ambito della famiglia.
La seconda istantanea è dei nostri giorni (2025). La protagonista è una persona giovane, uomo o donna, che lavora. Sul comodino, vicino al letto, ha uno smartphone. Il primo gesto al risveglio, ancor prima di inforcare gli occhiali, è di afferrarlo, collegarsi ad un social e scorrere le notizie per sapere cosa c’è di nuovo. È un’operazione che ripeterà molte altre volte nel corso della giornata: durante la morning routine, sulla strada del lavoro, in ufficio, in pausa pranzo, nel viaggio di ritorno, dopo cena, a letto prima di addormentarsi. Non deve impegnarsi per cercare le notizie: sono loro a raggiungerla, in tempo reale, attraverso i feed dei social, le notifiche sullo smartphone, le chat con gli amici e i conoscenti.
Il modo di informarsi è cambiato: non è più l’appuntamento con l’informazione ma un ambiente in cui si è immersi continuamente; non più un prodotto scarso, ma un flusso continuo che scandisce il passare del tempo; non più contenuti organizzati e attendibili, ma una miriade di frammenti di realtà, che l’utente deve valutare, selezionare, interpretare e ricomporre in un quadro unitario, coerente e dotato di senso.
Questa metamorfosi è il riflesso delle trasformazioni strutturali del sistema di informazione, che discendono dalla rivoluzione digitale e dall’avvento di internet.
I fenomeni principali sono i seguenti:
I cambiamenti dei media hanno avuto un impatto diretto sulla qualità dell’informazione, se non addirittura sulla sua natura.
Le notizie sono diventate frammentate e decontestualizzate. La rapidità della pubblicazione prevale sull’accuratezza e sulla complessità. Il confine tra commento, notizia e intrattenimento è diventato labile.
La disintermediazione ha fatto crescere esponenzialmente i contenuti non professionali, che sono di diventati di qualità molto variabile. La caduta della qualità vale per gli influencer e i content creator, ma, a maggior ragione, per gli utenti dei social, che sviluppano un protagonismo mai visto in precedenza, con interazioni spesso tossiche, che allontanano i lettori più sensibili e sterilizzano la partecipazione attiva
Gli algoritmi lavorano per massimizzare l’attenzione e il tempo trascorso online e, in questo modo, per aumentare il valore pubblicitario delle audience. Vengono favoriti i contenuti più identitari e divisivi per favorire l’engagement. Inoltre, l’informazione viene adattata agli interessi degli utenti, rinforzando visioni preesistenti (eco-chamber) e riducendo il confronto delle idee.
Infine, la competizione per l’attenzione determina una crescita del sensazionalismo e della “notizia evento”, anche a costo di distorcere la realtà.
L’effetto di fondo è che l’informazione diventa più accessibile ma meno strutturata, più abbondante ma meno affidabile.
I nativi digitali sono cresciuti all’interno del nuovo sistema di informazione, facendolo proprio come la sola realtà esistente, senza parametri di confronto né possibilità di scelta, semplicemente adattandosi.
Il diffondersi dello smartphone ha fornito la piattaforma ideale per questa adozione: portabilità, controllo dell’esperienza, socialità digitale, linguaggio vicino ai giovanissimi (contenuti brevi, visivi, narrativi).
Lo smartphone è diventato così il terminale di tutte le attività di un giovane: non solo lo svago (giochi, meme ecc.), le relazioni con i coetanei, le interazioni con la famiglia, le interazioni con la scuola e il lavoro, l’e-commerce ma anche l’informazione. I giovani hanno concentrato sullo smartphone le funzioni informative che gli adulti ancora distribuiscono fra i media tradizionali (televisione, radio, giornali).
Questo spiega l’assiduità nell’uso dello smartphone e la dipendenza da questa tecnologia. È un fenomeno che riguarda anche gli adulti ma in misura minore, semplicemente perché la transizione è rimasta incompiuta e i media tradizionali hanno conservato uno spazio importante nelle loro abitudini.
Mentre i giovani (16-35 anni) oggi si informano prevalentemente attraverso i social media, gli adulti (36-74 anni) continuano a privilegiare i media tradizionali, vuoi nella versione tradizionale broadcasting e carta, vuoi in quella online (quotidiani e riviste online, agenzie di stampa). È un fenomeno correlato in modo lineare all’età: i social dominano nella Generazione Z, e soprattutto fra i giovanissimi fino ai 22 anni; il ruolo dei media tradizionali diventa prevalente fra i 30 e i 35 anni e dominante nella maturità (Generazione X e Baby Boomers). Questa evoluzione è avvenuta in parallelo al sorpasso del canale online su quello offline, che è ormai compiuto anche per le generazioni adulte. La transizione della Generazione Z e dei Baby Boomers all’online non è avvenuta passando ai social come canale informativo principale ma conservando tale ruolo ai media tradizionali, seppure nella versione digitale.
La differenza profonda fra le generazioni non riguarda l’uso della tecnologia (prevale l’online per tutte) ma il modo di accedere ai media. Mentre gli adulti continuano in maggioranza “a prendersi del tempo in certi momento della giornata per ricercare e informazioni che li interessano”, i giovani fino a 35 anni sono “esposti ad un flusso continuo di informazioni in arrivo dai social, dai motori di ricerca, dalla televisione, dalle chat con gli amici ecc.”. In altre parole, mentre gli adulti vivono “fuori dai media” e vi entrano quando ne hanno necessità, i giovani vivono nei media, sono always-on.
Questo non significa che i giovani si informino attraverso modalità dal basso, dove l’informazione viene elaborata dagli utenti, circolata attraverso il passaparola ed è perduto ogni riferimento all’autorevolezza delle fonti e all’affidabilità delle notizie. Come gli adulti, i giovani cercano notizie affidabili e non fake news o informazioni distorte e, quando non si fidano di quello che è in arrivo dal flusso, cercano fonti autorevoli attraverso i motori di ricerca, e sono quasi sempre i grandi media.
Vivere nei media non significa neppure che i giovani abbiano abbandonato la lettura per sostituirla con un’esperienza solo visiva dell’informazione. Certo è cresciuto del consumo di contenuti video e audio nell’informazione. La lettura continua ad essere il modo di fruizione prevalente presso tutte le generazioni, con la sola eccezione dei giovanissimi fino a 22 anni. I giovani leggono meno giornali e riviste cartacei ma li hanno sostituiti con le pagine digitali dei quotidiani tradizionali, dei quotidiani nativi digitali (FanPage, Il Post, ecc.), delle agenzie di stampa, dei siti, delle newsletter. Le preoccupazioni di chi vede nell’avvento della tecnologia la fine della “civiltà alfabetica” (e con essa dell’intelligenza alfabetica) sembrano, per il momento, allarmistiche.
Il futuro dell’informazione non sarà né quello dei telegiornali delle 20 né quello dei reel da 15 secondi, ma qualcosa che dovrà tenere insieme profondità e immediatezza. La sfida – per giornalisti, istituzioni e lettori – è imparare a costruire senso dentro il flusso.
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