Dove sono finiti i bambini?
«I bambini di oggi non sono più quelli di una volta, crescono molto più in fretta». Quante volte abbiamo sentito queste frasi in metropolitana, al tavolo con degli amici, in qu
Supremazia costruita su fiducia, mercati e sicurezza: ora la moneta USA affronta minacce interne più che rivali esterni. L’economista Ketteth Rogoff spiega il futuro dell’ordine monetario globale.
Il bello de L’impero del dollaro è che si legge come un podcast brillante e si pensa come un manuale di strategia: Kenneth Rogoff accompagna il lettore dentro sette decenni di finanza globale per mostrare che l’ordine monetario non è un dato naturale, ma un equilibrio che cambia insieme alla politica, alle crisi e alle scelte dei governi. Non c’è il mito del Re Dollaro immortale: c’è la storia di una supremazia costruita da effetti di rete, fiducia e pura convenienza, dunque robusta ma non eterna. La doppia vita dell’autore (professore di Harvard e già capo economista del FMI, con lunga frequentazione delle banche centrali) regala al libro il mix raro di rigore accademico e sguardo da protagonista, capace di tradurre il gergo dei tecnici in una bussola limpida per non specialisti.
Rogoff ricostruisce perché il dollaro si è imposto dal 1945: la profondità e la liquidità dei mercati, lo stato di diritto (per ora…), il ruolo degli Stati Uniti nella sicurezza e nella supervisione finanziaria, una rete di pagamenti e contratti che rende la valuta americana l’hub naturale degli scambi. Non è solo prestigio: è un vantaggio costante, fatto di convenience yield (rendimento di convenienza) e della funzione dei Treasury bill (i titoli del debito pubblico americano) come collaterale globale che abbassa il costo di finanziamento per Washington e per il settore privato, dentro un sistema dove gli effetti di rete generano un quasi monopolio naturale.
E i numeri parlano: circa il 60% delle riserve valutarie mondiali è detenuto in dollari e il biglietto verde è coinvolto in quasi il 90% delle transazioni sul mercato dei cambi; percentuali che raccontano un’egemonia fondata prima di tutto sulla praticità e sulla fiducia nelle istituzioni americane (per ora 2…).
Ma questo non è un inno: è un avvertimento. Le minacce più serie, insiste Rogoff, vengono da dentro i confini americani: un debito federale in accelerazione, l’illusione rischiosa dei tassi “per sempre bassi”, il pericolo di pressioni politiche sull’indipendenza della Federal Reserve quando l’inflazione rialza la testa, e la scorciatoia di usare la finanza come arma (sanzioni e giurisdizione extraterritoriale) che spinge paesi e imprese a costruire vie di fuga dal circuito del dollaro. È così che la Pax Dollar, più che da un rivale esterno, può incrinarsi per un logoramento interno. E gli sfidanti? La Cina affascina, ma il renminbi resta frenato da cambio gestito, regole percepite come arbitrarie e mercati dei capitali ancora relativamente poco profondi; finché scambiare e convertire liberamente è difficile, gli investitori restano prudenti. L’euro è un co-protagonista solido, soprattutto come riserva secondaria, ma non dispone (ancora) dell’ecosistema completo americano. Per questo l’esito più plausibile non è un big bang de-dollarizzante: è un mondo a più valute regionali (dollaro nelle Americhe, euro in Europa, renminbi in Asia) con una quota di potere più distribuita e dinamica.
Rogoff collega il possibile riequilibrio a due dinamiche che in genere restano sullo sfondo. La prima è demografica: l’era dei risparmi asiatici iper-abbondanti che hanno compresso i tassi globali potrebbe chiudersi con l’invecchiamento, rimettendo pressione sui rendimenti proprio mentre l’America accumula debito. La seconda è la risposta asiatica alle crisi degli anni Novanta, un “consenso di Tokyo” fatto di riserve robuste, regolazione più severa e qualche freno ai flussi in entrata, capace di stabilizzare i cambi senza ricorrere a controlli pesanti e di rafforzare la resilienza del sistema. Nel frattempo, il libro entra nei meccanismi che tengono il motore acceso: le linee di swap della Fed, attivate nelle fasi di stress, inondano di dollari i principali hub e, per osmosi, allentano la morsa anche altrove; è uno dei modi con cui il centro sostiene la periferia e insieme ne riceve legittimazione. E lo status di “banchiere del mondo” permette agli Stati Uniti di detenere all’estero attività più rischiose mentre i risparmi degli altri parcheggiano volentieri in titoli sicuri americani: un’asimmetria di rendimenti che racconta perché la rendita del dollaro sia tanto concreta quanto invisibile.
Dentro questo quadro, Rogoff fa un bilancio sobrio. Pro: liquidità senza rivali, infrastruttura legale e di mercato, rete di contratti e clearing che riduce l’attrito, collaterale abbondante, capacità della banca centrale statunitense di agire da prestatore di ultima istanza globale. Contro: debito e disavanzi che erodono credibilità, la possibile fine del dividendo della globalizzazione e dei risparmi in eccesso, i costi geopolitici di un ruolo imperiale, il rischio che interferenze politiche minino la promessa di stabilità dei prezzi.
Il verdetto finale è chiaro e, soprattutto, adulto: una de-dollarizzazione improvvisa è improbabile (la benzina della convenienza e dell’abitudine dura più delle profezie) ma la direzione di marcia è una lenta erosione ai bordi, una “sfilacciatura” dell’egemonia man mano che il sistema si adatta e diversifica, soprattutto se gli Stati Uniti non metteranno in sicurezza i propri fondamentali fiscali e istituzionali. L’ordine mondiale viene spesso dato per acquisito, ma in realtà è un cantiere permanente che si ridisegna insieme alla politica; in questo cantiere il dollaro resterà pilastro importante, senza essere destino.
La forza del libro, alla fine, sta nel tono: pop ma preciso, capace di parlare al curioso, all’investitore e al decisore. È la scrittura di chi ha visto i dossier da vicino oltre che dalla cattedra, e non ha paura di mettere in guardia il lettore senza catastrofismi. Lo scacchiere economico internazionale è una partita di mosse incrociate; e Rogoff, che da giovane è stato scacchista professionista, guida con pazienza anche il lettore più sprovveduto dentro un tema complesso e attualissimo, ricordando che nelle valute, più che scacchi matti fulminanti, contano le posizioni costruite mossa dopo mossa (per ora 3…).