In un mondo dominato dai social network bambini e adolescenti sono sempre più adultizzati con gravi ripercussioni sul loro sviluppo educativo. Da dove partire per una nuova educazione?
«I bambini di oggi non sono più quelli di una volta, crescono molto più in fretta». Quante volte abbiamo sentito queste frasi in metropolitana, al tavolo con degli amici, in qualche ritrovo tra parenti? Luoghi comuni buoni per qualche conversazione stanca, che però nascondono un nucleo di verità. È quello che sociologi e psicologi hanno chiamato “adultizzazione” dei bambini, ovvero la propensione di adolescenti e preadolescenti ad assumere atteggiamenti, modi di fare e spesso di pensare tipici degli adulti. Una tendenza spesso indotta dal crescente carico di aspettative e loro riposte dai genitori, ma che viene ulteriormente amplificata dalla pervasività dei media digitali, sempre più presenti nella vita degli adolescenti e persino dei bambini.
Adultizzazione e social network
Essere nativo digitale oggi, infatti, non vuol dire solamente riuscire a maneggiare meglio applicazioni, software e piattaforme social, ma determina una diversa maniera di stare al mondo e di relazionarsi con gli altri. Secondo Francesco Pira, professore associato di Sociologia dei processi culturali e comunicativi presso l’Università di Messina, «la nostra società è in grande trasformazione e i social network, dove sempre più i nostri figli vivono, rappresentano un’arena in cui ad essere modificati sono tre processi fondamentali: quelli del gioco, dell’apprendimenti e delle relazioni».
Sono queste le dimensioni che guidano la crescita dei ragazzi che, come spiega Francesco Pira, trovano nei social network un alleato solo apparente, «grazie alla loro presunta inclusione», che poi in realtà diventa «esclusione, motore di emulazione forsennata di modelli devianti e dipendenza». Da sempre gli adolescenti, infatti, subiscono l’ansia dell’accettazione, ovvero, spiega Pira, «l’importanza di farsi accettare dal gruppo di pari». Nel mondo social questa tensione è acuita da stimoli emulativi, che possono diventare devianti e da fenomeni come il bullismo e il cyberbullismo. L’esibizione di sé per autoaffermarsi nel gruppo sociale è in questo senso un effetto dell’adultizzazione accelerato dai social network.
Adultizzazione ieri e oggi
Eppure, a ben guardare, anche i novecenteschi mass media avevano prodotto l’esibizione di bambini e adolescenti, spesso inconsciamente sessualizzati dal cinema e dalla televisione. Fenomeni globali come quello di Sherley Temple ad inizio degli anni Trenta del secolo scorso, oppure quello più locale del programma televisivo “Non è la RAI” degli anni Novanta, rappresentano esempi di un dibattito sempre presente sull’eccessiva esposizione anche corporale dei giovani. Cosa è cambiato dunque con i social network? «L’adultizzazione degli adolescenti era prima mediata da un editore, una casa di produzione, un regista televisivo, oggi è invece un fenomeno più fai da te, con tutto quello che questo può comportare», risponde Francesco Pira. Il potere adultizzante dei social network, inoltre, è reso evidente da quei fenomeni ribattezzati come kidfluencing, veri e propri influencer baby di moda, di sport, di videogiochi, o di semplici pratiche come quello dell’unboxing, ovvero l’atto di scartare giocattoli o altri regali. Un mondo redditizio (secondo l’Harvard T.H. Chan School of Public Health, nel corso del 2022 ha fruttato quasi 11 miliardi di dollari) ma che espone questi baby adulti a problematiche di sicurezza online, di privacy o di adescamenti di varia specie.
Come infatti Pira spiega nel suo ultimo libro La buona educomunicazione, edito da Franco Angeli, «la tecnologia non è più un semplice strumento, ma un ambiente relazionale» ed è per questo che urge «riconsiderare il ruolo che famiglia, scuola e società giocano nella crescita educativa dei ragazzi».
Il rumore dei social e il silenzio delle famiglie
L’approccio fai da te di cui il professore Pira parla è alla base anche di un altro aspetto connesso al rapporto tra adolescenti e media digitali: quello dell’informazione. Secondo l’ultima Flash Eurobarometer Youth Survey relativa al 2024 i social media per quasi la metà dei giovani italiani ed europei sono la principale fonte di informazione sulle questioni politiche e sociali. In questo scenario un silenzio risulta assordante: quello delle famiglie. Sempre secondo il Prof, Pira, infatti, oggi, oltre ad avere bambini molto adulti, siamo in presenza anche di genitori “adultescenti”. «Si assiste, infatti a una crescente aspettativa dei genitori nei confronti di figli che devono diventare celebri o comunque affermati e lo devono fare in fretta”. Questo porta i ragazzi a «prendere decisioni che bruciano le tappe evolutive, oppure al contrario ad essere perennemente assistiti da genitori elicottero», che li trascinano tra le varie scelte. «Tutto questo genera scompensi educativi colmati dalla rete», dove il fai da te dei ragazzi cerca di barcamenarsi in uno scenario minaccioso. Un atteggiamento che si riflette anche nell’informazione su tematiche sensibili. «Se non parlo di sesso con i genitori, sarò portato a cercare informazioni online, dove a parlarmi di sesso saranno, per esempio, i vari siti pornografici dove vien meno uno dei massimi insegnamenti che ciascun ragazzo oggi dovrebbe far proprio: il rispetto dell’altro».
Una nuova strada da percorrere
Andare oltre la sterile critica al mondo digitale significa tornare a problematizzare il rapporto tra figli-genitori e media online. Secondo il prof. Pira, «occorre promuovere una nuova genitorialità che segua percorsi nuovi e che sviluppi una nuova coscienza che parta anche dalla formazione digitale». Gli esempi non mancano: «come posso affrontare un caso di sexting se non conosco il funzionamento dei mezzi utilizzati dai ragazzi? Di fronte a una società ipertecnologicizzata bisogna intervenire in maniera radicale con alleanze educative che mettano in rete la famiglia, la scuola e le altre agenzie di socializzazione». Discorsi che vanno oltre lo scetticismo o la miope nostalgia per presunte età dell’oro passate. I social e i media digitali sono, insomma, una realtà con cui dobbiamo confrontarci.
Per farlo però, conclude Pira, dobbiamo «uscire dal fatto di cronaca, dal sensazionalismo che ne scaturisce e iniziare a programmare processi formativi che siano legati ai genitori, ai ragazzi e ai docenti, senza silos o comportamenti stagni. Abbiamo bisogno che questo lavoro sia fatto dalle istituzioni che però in questo oggi risultano ancora molto dormienti».