Fatto è meglio che perfetto

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Fatto è meglio che perfetto

Si può smontare un mantra del management per sbloccare i meccanismi di analisi/paralisi? In un mercato altamente competitivo, la ricerca della perfezione sembra essere l’unico modo per avere successo. E se invece non fosse così?

Nel 2020, quando ho deciso di lanciare il mio business, ero convinto che la perfezione fosse una condizione necessaria per esistere sul mercato. Venivo dal mondo della consulenza “impeccabile” e quel modello mi spingeva a voler pianificare tutto con attenzione chirurgica. Ogni decisione era accompagnata da domande paralizzanti: “Questo prodotto interesserà davvero?”, “Sto dimenticando qualcosa?”, “Cosa succede se fallisco?”.

Mi ritrovavo intrappolato in un limbo: analizzavo, perfezionavo, pianificavo… senza mai partire davvero. Poi ho letto un post di Reid Hoffman, fondatore di LinkedIn, che mi ha cambiato il punto di vista:

“If you’re not embarrassed by the first version of your product, you’ve launched too late.”

Paralisi e mito della perfezione

Il mito della perfezione è uno dei principali responsabili della paralisi nelle decisioni, soprattutto per chi, come imprenditori e manager, vive una profonda identificazione con il proprio progetto. La paura di sbagliare, di non essere all’altezza delle aspettative o di perdere credibilità frena qualsiasi azione concreta.

Ma mentre ci perdiamo nella ricerca della forma ideale, la realtà continua a scorrere. Il mercato evolve, i bisogni cambiano, le opportunità si spostano. E noi rischiamo di arrivare tardi, o peggio, di non arrivare mai.

La svolta: il principio di Reid Hoffman

La frase di Hoffman ha due implicazioni fondamentali:

  1. Se non ti sei ancora esposto abbastanza da sentirti in imbarazzo, probabilmente sei in ritardo.
  2. Il vero apprendimento avviene dopo il lancio, non prima.

Questa mentalità può sembrare controintuitiva, soprattutto in ambienti professionali dove l’eccellenza è data per scontata. Ma è proprio nell’imperfezione del primo passo che si apre la possibilità del miglioramento. In altre parole, meglio essere presenti e imperfetti, che perfetti e invisibili.

L’importanza della velocità

La velocità è un vantaggio competitivo ancora sottovalutato. In un ecosistema saturo di proposte, chi arriva per primo spesso conquista l’attenzione – e il cliente.

Nel nostro lavoro quotidiano, abbiamo imparato che il time to market conta quanto (se non più) della qualità iniziale. L’obiettivo non è lanciare qualcosa di perfetto, ma qualcosa di utile, funzionale, tempestivo.

Anticipare i bisogni dei clienti, proporre soluzioni rapide e adattabili, accorciare il tempo tra intuizione e azione: questi sono i veri acceleratori della crescita.

Il valore dell’imbarazzo

Il primo feedback è spesso il più scomodo, ma anche il più prezioso. È lì che scopriamo cosa manca davvero, cosa funziona e cosa va rivisto.

Sentirsi imbarazzati all’inizio è naturale. Ma è proprio quell’imbarazzo a segnalarci che abbiamo messo qualcosa di reale sul tavolo, qualcosa su cui costruire.
Senza il confronto diretto con il mercato – e con i clienti – restiamo prigionieri delle nostre ipotesi. Il feedback autentico, anche (e soprattutto) quando è critico, ci permette di trasformare un’idea in una soluzione migliore.

Conclusione: meglio fatto che perfetto

La perfezione è un’illusione che immobilizza. Il progresso, invece, è figlio dell’azione.
Come ci insegna Reid Hoffman, fare è meglio che finire.
Partire con qualcosa di buono, anche se migliorabile, è spesso la scelta più intelligente. Il percorso verso l’eccellenza passa per il confronto, l’ascolto, il miglioramento continuo.

E nella consulenza – dove sì, ogni dettaglio conta – questo approccio si traduce nel fornire sempre valore reale, anche prima che sia “perfetto”. Perché l’unico errore imperdonabile, in un mercato in corsa, è non muoversi affatto.

*Articolo pubblicato a maggio 2024 e sottoposto a successive revisioni

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Economista, consulente strategico e corporate trainer. Si è formato all’Università Bocconi di Milano e all’INSEAD di Fontainebleau, e ha girato il mondo per lavoro e per passione: Head of Business Development Unit di Finmeccanica in Russia, Senior Manager di McKinsey a Londra e Principal di AlphaBeta a Singapore, dove ha gestito progetti con aziende del calibro di Google, Uber e Microsoft. In precedenza, ha lavorato anche presso Goldman Sachs e le Nazioni Unite a New York. Tornato a Bari, ha fondato la Disal Consulting e si occupa di ricerca, consulenza, comunicazione e formazione per grandi aziende italiane (Ferrari e UniCredit), colossi digitali (Netflix e Amazon), istituzioni multilaterali (World Economic Forum) e governi nazionali (Francia, Cina e Germania). Insegna alla IE Business School di Madrid e alla Nanyang di Singapore, e dirige il Master in Digital Entrepreneurship presso H-Farm, dove cerca di trasmettere l’importanza dello storytelling per la riuscita di un progetto imprenditoriale. Dopo il successo del suo primo libro Flow Generation - manuale di sopravvivenza per vite imprevedibili, ha pubblicato con Hoepli Phygital - il nuovo marketing tra fisico e digitale.