Il gioco torna sul tavolo

Society 3.0


Il gioco torna sul tavolo

Nell’era in cui videogiochi e il gaming on line dominano il panorama e detengono il monopolio del tempo libero di giovani e non solo, i dati non mentono: il mercato dei cari, vecchi “board game” è in continua espansione.

C’è un’oasi di divertimento analogico che non solo resiste ai cambiamenti imposti dalla tecnologia, ma addirittura cresce di anno in anno: è quella dei giochi da tavolo. Non sarebbe corretto definirlo revival, perché in realtà i giochi da tavolo non sono mai scomparsi, e la passione nei loro confronti accomuna da sempre le più diverse fasce generazionali (quante altre cose riescono a farlo?). Un mercato globale con un giro di affari da 14 miliardi di dollari – le proiezioni da qui a meno di un decennio dicono che si potrebbe addirittura superare i 30 miliardi – non può basarsi solo sull’effetto nostalgia di boomer e figli della generazione X – c’è un neologismo per definirli, in questo caso: kidult, traducibile più o meno come “bambinoni” – rimasti legati ai ricordi di serate infinite con gli amici davanti ai carri armati del RisiKo! o di letargici pomeriggi natalizi in famiglia con il Cluedo o lo Scarabeo. C’è evidentemente una richiesta che si rinnova di continuo, anche da parte di un pubblico giovane. Indice forse anche di un bisogno di passatempi più socializzanti e del recupero di una dimensione ludica improntata alla lentezza, alla strategia, al ragionamento. E, perché no, anche al dialogo, alla cooperazione e al semplice piacere di trovarsi fisicamente insieme a giocare.

Certamente a trainare il settore sono sempre i classici, oggi disponibili in molteplici edizioni aggiornate. Come l’intramontabile Monopoly, che ai vecchi tabelloni con Parco della Vittoria e Viale dei Giardini ha affiancato versioni ispirate a Star Wars, Game of Thrones o i Simpsons (la sinergia con i franchising celebri è fondamentale e spesso inevitabile), così come – all’altro lato dello spettro – quelle che si incentrano sul localismo ambientando il gioco in città particolari e in alcuni casi addirittura con le carte in dialetto. Oppure leggende del role playing come Dungeons & Dragons, capostipite dei giochi fantasy che dominano l’immaginario dei giochi da tavolo, o successi da centinaia di milioni di scatole vendute come il Trivial Pursuit, il cui basico meccanismo domanda-risposta si è rivelato nei suoi quarant’anni di esistenza una carta vincente, anche perché il concetto di nozionismo su cui si fonda è adattabile a qualunque ambito: dal mondo di Harry Potter ai manga, dal calcio alla storia del rock. E poi appunto c’è il RisiKo! gioco di guerra simulata che si è adattato alle continue trasformazioni geopolitiche del mondo reale (nonostante il fascino della conquista delle mitologiche Kamchatka e Jacuzia, regioni che nessuno ha mai capito se esistono veramente, rimanga ancora oggi un plus della versione classica).

Giochi da tavolo: come cambia la narrazione

Oltre ai campioni della tradizione, c’è una sterminata offerta di giochi che coprono il range completo dei registri narrativi e dell’esperienza umana. Dalle crime-story in cui ci si improvvisa detective alle prese con casi irrisolti (uno dei titoli più di successo degli ultimi anni, in questo ambito, è Hidden Games) alle fondazioni di città o di intere civiltà (come in Cities, in cui si devono sviluppare complessi progetti urbanistici), dai viaggi alla cucina, dalla ricerca scientifica (il nuovo e curioso The Fox Experiment, che si ispira a un esperimento di scienziati russi degli anni 50 per addomesticare le volpi) agli inevitabili gattini (e qui si va del celebre Exploding Kittens al gioco di ruolo in solitaria Be Like a Cat, in cui ci si immagina sotto sembianze feline).

Ci sono i giochi impostati sulla memoria, sulla logica, sulle doti di simulazione, sulla fantasia e sulle capacità di entrare in relazione con gli altri. Ma anche quelli che solleticano istinti meno nobili come il pettegolezzo o il gusto di mettere in imbarazzo gli amici (il perfido Bad People, in cui ci si sfida ad attribuire i peggiori vizi agli altri giocatori, è solo un esempio di una certa tendenza al “cattivismo” che sta emergendo negli ultimi tempi). Particolarmente interessanti sono quelli che si aprono a tematiche contemporanee, care in particolari alle nuove generazioni, come l’inclusività o l’ambientalismo. Giochi come Daybreak, nel quale i partecipanti diventano potenze mondiali che devono collaborare per rallentare il riscaldamento globale, o Second Chance, in cui l’argomento è la creazione di tecnologie ecosostenibili in grado, appunto, di dare all’umanità una “seconda opportunità” che allontani il disastro incombente, hanno raccolto persino il plauso e l’interesse della comunità scientifica. E non va dimenticata, naturalmente, una categoria che ha ritrovato una enorme popolarità dopo il calo di interesse degli ultimi due decenni: i libro-game. Favorendo lo sviluppo delle potenzialità logiche, delle capacità di scrittura e dell’abilità nel padroneggiare meccanismi di narrazione e ipertestuali, i libro-giochi sono diventati anche uno strumento didattico molto utilizzato nelle scuole.

I giochi da tavolo sono tanti, dunque. Forse persino troppi. Il che rende il mercato congestionato di novità, e stranamente simile a quello librario: tolti i pochi campioni di vendite come quelli citati prima, gli altri giochi vendono poche migliaia di confezioni quando va bene. In molti casi per lanciare una nuova idea e trovare fondi, i creatori di board game si sono affidati a piattaforme di crowdfunding come Kickstarter, diventato quasi una risorsa imprescindibile. Così come in molti casi diventa necessaria la sinergia proprio con quel mondo dell’on line del quale i giochi da tavolo sembrerebbero la negazione: molti sono infatti pensati sulla base dell’integrazione con Internet, con app specifiche che ampliano le possibilità di divertimento e di sviluppo del gioco. Anche se nessuna applicazione e nessun sito, probabilmente, può battere il fascino antico e “tattile” di un tabellone, di un mazzo di carte e di segnaposto a forma di fungo o damigiana.

Copywriter, giornalista, critico musicale e docente di comunicazione. In pubblicità ha ideato campagne per brand come Fiat, Sanpaolo Intesa, Lancia, Ferrero, 3/Wind. Insegna comunicazione presso lo IAAD di Torino e la Scuola Holden. Collabora con testate quali Rolling Stone, Il Fatto Quotidiano, Rumore. Ha scritto e tradotto diversi volumi di storia e critica musicale per case editrici come Giunti e Arcana.​