Giovani e risparmio: sanno cosa vogliono ma non come arrivarci

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Giovani e risparmio: sanno cosa vogliono ma non come arrivarci

Tra lavoro povero e desiderio di stabilità, le nuove generazioni guardano con preoccupazione al futuro, ma sono diffidenti verso gli strumenti e gli operatori finanziari. Aspettare, tuttavia, è un lusso che non ci possiamo permettere, come individui e come Paese: serve una nuova alleanza fra famiglie, operatori, imprese e politica.

Con un ritardo di diversi decenni rispetto al sorgere del problema, negli ultimi due o tre anni gli italiani hanno iniziato ad interrogarsi sulle conseguenze a lungo termine del calo della natalità. Senza un profondo cambiamento di rotta, le prospettive a lungo termine sono nere: una piramide demografica rovesciata e un welfare destinato a collassare.
Uno dei fronti più caldi sono le pensioni future dei giovani. Qualche numero aiuta a cogliere la portata del problema:

  • Un giovane italiano, dopo gli studi e qualche anno di precariato, raggiunge una stabilità lavorativa intorno ai 30 anni.
  • Mediamente nel corso della sua vita lavorativa guadagnerà 1.600/1.700 € netti al mese
  • Andrà in pensione a circa 70 anni, dopo 40 anni di contributi.
  • Al netto dell’inflazione, riceverà una pensione intorno a 750–900 € al mese, pari a circa il 45–50% dell’ultimo reddito.
  • Se non aderirà a qualche forma di previdenza integrativa, il rischio è di una vecchiaia al di sotto della soglia di povertà, specie nelle aree metropolitane.

Non sarà il destino di tutti: una minoranza ha un buon reddito ed è in condizione di accantonare risorse per il futuro. Inoltre, una parte dei Millennials e pusa riceverà un’eredità dai propri genitori, che, se gestita per tempo e bene, li aiuterà ad affrontare le sfide dell’ultima fase della vita.
Per i meno fortunati – reddito basso e niente eredità- si apre uno scenario inquietante: una povertà prolungata, più gravosa al calare delle forze e della salute, con un’assistenza sanitaria sempre più precaria. Declino fisico delle generazioni e declino del welfare correranno in parallelo, con effetti potenzialmente devastanti. Per fortuna abbiamo ancora un po’ di tempo davanti ma occorre muoversi subito.

Lo scenario di partenza: una condizione difficile e consapevole

 I giovani italiani di oggi iniziano il loro viaggio nella vita in condizioni fortemente svantaggiate rispetto ai loro genitori. Nonostante un percorso di studi prolungato, all’entrata nel mondo del lavoro li attendono precarietà lavorativa e stipendi bassi: il 44% dei giovani lavoratori (fino a 35 anni) ha un salario mensile inferiore a 1500 euro, che sale al 56% fra le giovani donne.
Con queste retribuzioni non tutti arrivano alla fine del mese. Infatti, un quarto del totale (un terzo delle ragazze) è costretto a farsi aiutare dai genitori. Anche quando questo non accade, mancano le risorse per fare progetti e avviare una famiglia.
La grande maggioranza reagisce a questa situazione in modo responsabile: rinvia il “grande passo”, cerca attivamente un’occupazione più sicura e meglio retribuita, si impegna nel lavoro e risparmia. Dopo qualche anno, quando per molti le condizioni economiche finalmente migliorano, la finestra riproduttiva ha iniziato a chiudersi e i figli non si fanno più oppure se ne fa uno solo.
Rispetto alle generazioni precedenti, una rivoluzione culturale e sociale: la famiglia non è più la priorità assoluta della vita ma una variabile dipendente dalla ricerca della serenità e del benessere.
I giovani sono consapevoli della portata di questo cambiamento e lo rivendicano. Sono anche coscienti dei rischi che li attendono: anzitutto il declino del sistema pensionistico, poi le crisi economiche ricorrenti legate a dinamiche internazionali, il prevedibile ritorno di fasi di inflazione elevata e il declino del Sistema Sanitario Nazionale. Sono fenomeni che hanno già conosciuto nel corso della loro vita o che sono in atto in questo momento. Si tratta di eventi sistemici, che non risparmiano nessuno e che non si possono prevenire. Il mondo è cambiato e bisogna adattarsi. I giovani rispondono a questo mondo instabile con una nuova bussola valoriale, fondata su stabilità, sicurezza, autonomia ed equilibrio. È una generazione prudente, consapevole e responsabile.

Il risparmio come strategia di vita

Le nuove generazioni hanno elaborato una strategia per affrontare uno scenario così ricco di rischi ed incertezza. È una visione basata su sé stessi e sulla propria capacità di essere efficaci nel tempo. Il risparmio è la priorità assoluta di questa strategia ma è risultato di un mix che comprende un ampio spettro di attività: la cura della propria salute fisica e mentale, l’equilibrio fra vita privata e lavoro, il lavorare sodo, l’investire sulla formazione e sull’aggiornamento continuo, il coltivare relazioni professionali.
Una visione sofisticata e lungimirante. Il risparmio è l’esito di un processo integrato, a lungo termine, che unisce la concretezza delle generazioni passate alla consapevolezza contemporanea del prendersi cura di sé e dell’abitare un mondo complesso e collegato. L’immagine del risparmio è quella antica – sacrificio, rinuncia, auto-imposizione – interpretata in chiave positiva, di raggiungimento di obiettivi personali e di controllo sulla propria vita.
La povertà relativa di cui soffrono oggi non è un ostacolo ma uno sprone. La capacità di sacrificio dei giovani, infatti, non è inferiore e a quella degli adulti. Mentre questi ultimi accantonano l’11.8% delle loro entrate, i giovani arrivano al 15.9%, probabilmente anche in ragione del supporto che ricevono dalle famiglie.

Ma è un risparmio parcheggiato

Il problema sorge quando si è cominciato ad accantonare qualche risorsa: quasi metà dei giovani (41%) parcheggia i risparmi sul conto corrente e rinuncia ad investire. Chi lo fa, sceglie forme a basso rischio e, quindi, poco profittevoli nel lungo periodo, come i conti deposito. Solo un quarto sceglie strumenti specificamente previdenziali, come i Fondi Pensione, e solo il 18% opta per la Borsa. La ragione è un profondo deficit di competenze finanziarie: la maggioranza dei giovani non conosce neppure di nome i prodotti finanziari più comuni, come i Piani di Accumulo, i Fondi Comuni o gli ETF.
Non sorprende che a non investire siano maggiormente le giovani donne. Hanno un livello di competenza finanziaria inferiore e una maggiore avversione al rischio. In questo modo, tuttavia, il divario di partenza fra i generi (minore retribuzione e capacità di risparmio) è destinato ad ampliarsi.

La pensione: un rischio percepito ma lontano

Il ritardo delle nuove generazioni è ancora più macroscopico per la previdenza integrativa. La crisi del sistema pensionistico è il rischio futuro a cui i giovani sono più sensibili: più della precarietà lavorativa, del cambiamento climatico o del rischio di perdere il lavoro per effetto delle nuove tecnologie.
La pensione è uno dei pilastri del sistema di vita occidentale, al punto che l’abbiamo considerata per molto tempo una conquista irreversibile della modernità. Le nuove generazioni sono le prime a non poter fare pieno affidamento su di essa. Sanno che non arriveranno alla pensione prima dei settant’anni e che non garantirà loro un tenore di vita dignitoso.
Nonostante ciò, molti non passano all’azione: meno di un quarto dei giovani che risparmiano, e solo il 19% delle ragazze, ha investito in un Fondo Pensione o in un Piano integrativo pensionistico.  Certo, il margine di manovra consentito dalle entrate è limitato, soprattutto per le ragazze. Tuttavia, si sconta probabilmente anche una sottovalutazione del rischio pensionistico in quanto lontano nel tempo. Il problema è che la possibilità di gestire un problema di questa portata è tanto maggiore quanto prima si interviene: una pensione integrativa avviata a 25 anni ha un potenziale di creazione di un capitale e di una rendita ben diverso da una iniziata a 50.

Dove si fermano i buoni propositi

Il percorso dalla preoccupazione alla decisione di sottoscrivere una pensione integrativa è irto di ostacoli.

  1. Il primo ostacolo è cognitivo. La pensione integrativa è un buco nero della conoscenza. Quasi la metà non sa di cosa si tratti e solo il 9% ritiene di essere realmente informato sul tema. L’ostacolo maggiore alla previdenza integrativa non è il denaro ma la distanza cognitiva.
  2. Il secondo ostacolo nel customer journey è motivazionale. Due terzi dei giovani non ha mai avuto occasione di ricercare o ricevere informazioni su prodotti previdenziali. I giovani non si muovono, probabilmente per diffidenza verso gli intermediari, paura di vincolarsi e anche mancanza di liquidità. Tuttavia, neppure gli operatori finanziari sono particolarmente determinati e capillari nella promozione.
  3. Il terzo ostacolo è di natura commerciale: la minoranza di giovani che si è informata o che è stata raggiunta dagli operatori (un terzo dei giovani) non è rimasta pienamente soddisfatta dell’esperienza. Il personale commerciale – in particolare i promotori – ha evidenziato un atteggiamento troppo push e un know-how consulenziale insufficiente.

Un’alleanza fra famiglie, operatori finanziari, imprese e politica

Come uscirne?

Le generazioni più giovani percepiscono che un patto si è rotto:

  • i loro genitori hanno avuto certezze (pensione, sanità pubblica efficiente, ecc.),
  • loro invece affrontano precarietà, salari bassi e un futuro pensionistico incerto.

La promessa implicita dello Stato sociale – “lavora, contribuisci e sarai protetto” – non regge più nei fatti.
Negli ultimi decenni si è spostata la responsabilità del futuro dallo Stato all’individuo (“devi pensarci tu”). Ma questa individualizzazione ha prodotto disuguaglianze crescenti: chi può permettersi di risparmiare, si tutela; chi non può, resta esposto. Nessuno può farcela da solo. Non possono farlo i cittadini: non hanno le risorse, gli strumenti o la cultura finanziaria per costruirsi un futuro stabile. Non può farlo probabilmente nemmeno lo Stato, vincolato dal calo della popolazione che lavora e contribuisce, arduo da compensare anche aprendo a flussi migratori dall’esterno, peraltro esclusi dall’agenda del governo attuale.
Ricostruire un patto significa ripristinare quella promessa in forme nuove, adatte al lavoro frammentato e alle biografie non lineari dei trentenni e quarantenni di oggi. Un nuovo patto significa condividere di nuovo il rischio — tra i giovani, le famiglie, gli operatori finanziari, le imprese e le istituzioni — attraverso strumenti che combinino previdenza pubblica, integrativa e welfare aziendale, come ad esempio:

  • Incentivi fiscali per i versamenti dei genitori e dei familiari nei fondi pensione dei ragazzi.
  • Semplificazione dei prodotti previdenziali (trasparenza, portabilità, fee ridotte per under 35).
  • Piani welfare aziendali “generazionali”.
  • Campagne pubbliche di alfabetizzazione finanziaria congiunte Stato–imprese

Serve una grande progettualità collettiva, in cui ciascun attore contribuisca e riceva dei vantaggi. Un’alleanza non astratta ma basata sulla volontà di cambiare priorità e pratiche da parte di tutti gli attori coinvolti. Un Paese che non investe sul futuro dei giovani rinuncia anche al proprio. Il nuovo patto non è un ideale: è la condizione minima per tornare a credere, insieme, che un domani esista.

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Primo laureato in Italia in data analysis applicata alle scienze umane, ha insegnato Tecniche di ricerca psicologica e analisi dei dati presso l’Università di Torino. Ha fondato e attualmente dirige Kkienn Connecting People and Companies, azienda specializzata nella ricerca e consulenza sul cliente. Come direttore di istituti di ricerca, vicepresidente di società di consulenza internazionali (Cap Gemini) e ricercatore ha collaborato con molte delle maggiori imprese del Paese. Scrive per il Corriere della Sera. Per il Gruppo Unipol cura la realizzazione di GenerationShip, l’osservatorio sulle nuove generazioni.