Si scrive overtourism, si legge crisi climatica

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Si scrive overtourism, si legge crisi climatica

Il settore turistico è responsabile di quasi il 9% delle emissioni globali di gas serra. Come si può ridurre l’impatto ambientale.

Una scritta recitava “Stop over turismo”, l’altra “Start azione climatica”: sono frasi che si leggevano sugli striscioni con cui gli attivisti per il clima di Extinction Rebellion Sud Tirolo l’estate scorsa a Bolzano hanno messo in scena una protesta rivolta alla giunta provinciale altoatesina. Si mettevano chiaramente in relazione i due fenomeni e si invitavano gli amministratori pubblici a smettere di destinare risorse al primo per dirottarle invece a favore del contrasto alla seconda. In altre parole: togliere all’overtourism per dare all’azione climatica.

Ma riavvolgiamo brevemente il nastro dalla definizione di “overtourism”, espressione che la Treccani inserisce fra i neologismi, definendola così: “sovraffollamento turistico, concentrato in alcuni periodi dell’anno in città e siti famosi, che provoca o può provocare danni ai monumenti e all’ambiente, oltreché disagi per i residenti”. C’è anche chi traduce con iperturismo o sovraturismo, chi taglia corto considerandolo una forma di turismo insostenibile e chi lo bolla semplicemente come turismo di massa.

Di overtourism si parla da diversi anni. L’Organizzazione mondiale del turismo già nel 2018 aveva iniziato a mettere nel mirino il fenomeno con un rapporto che si concentrava sul sovraffollamento turistico nelle città e proponeva strategie d’azione focalizzate in particolare sulla migliore gestione dei flussi di turisti in aree urbane. Spesso ci si concentra sugli impatti negativi di carattere sociale, urbanistico, culturale dell’overtourism, come ad esempio la trasformazione dei centri storici in una sorta di “luna park” dove al primo posto si mettono le esigenze dei turisti mentre quelle dei residenti vengono posposte, se non proprio dimenticate. Con l’effetto ovviamente di rendere loro la vita quotidiana estremamente più complicata, oltre che costosa, e finendo per allontanarli. Anche gli impatti ambientali dell’overtourism entrano abbastanza abitualmente nel discorso: ad esempio il degrado delle attrazioni naturali e degli ecosistemi che provoca, lo sfruttamento del suolo, la distruzione di habitat, l’aumento della produzione di rifiuti, lo stress sull’utilizzo delle risorse idriche.

Forte impatto sul clima

Meno di frequente, invece, si guarda all’overtourism con le lenti della lotta alla crisi climatica. Cioè ai suoi impatti sul clima, al suo contributo alle emissioni di gas serra e al riscaldamento globale, o “ebollizione globale”, come ha preso a dire ormai da tempo il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, per evidenziare la gravità della situazione climatica in cui ci troviamo. Eppure, è largamente intuitivo che un turismo “over”, chiamiamolo così stavolta, non può che essere sinonimo di amplificazione estrema ed estremamente preoccupante degli impatti del turismo sulla crisi climatica. Che già sono enormi e con ogni probabilità aumenteranno, dato che, superata la “botta” della contrazione dovuta all’emergenza Covid-19, non solo si è ripreso di slancio ma oggi il turismo è uno dei settori in più rapida crescita a livello mondiale.

Secondo uno studio pubblicato a dicembre su Nature Communications, il settore turistico è responsabile di quasi il 9% delle emissioni globali di gas serra ed è tra l’altro un ambito emblematico delle disuguaglianze socio-economiche che esistono su scala mondiale, poiché 20 soli Paesi contribuiscono per i tre quarti delle emissioni globali. La voce principale delle emissioni è quella del trasporto aereo, che da solo conta per oltre la metà delle emissioni dirette collegate al turismo. L’intensità di carbonio del settore turistico (quantità di emissioni di gas serra per dollaro speso) è particolarmente elevata, pari a quattro volte quella del settore dei servizi e comunque maggiore del 30% rispetto all’economia globale. Tra 2009 e 2019, inoltre, le emissioni del settore sono cresciute del 3,5% l’anno, un ritmo doppio rispetto all’economia globale: se la crescita dovesse proseguire di questo passo, nel giro di vent’anni le emissioni potrebbero raddoppiare. Uno scenario da incubo.

Non resta allora che cercare di correre ai ripari, promuovendo un’azione contemporanea e integrata a molteplici livelli. Con l’obiettivo di ridurre le emissioni del turismo del 10% l’anno da qui al 2050, che è quello che servirebbe al settore per centrare i target dell’Accordo di Parigi. Fra questi molteplici livelli, tre sembrano spiccare. Il primo è il livello sistemico e qui gli enti a cui sono demandate regolamentazione, gestione e sviluppo del settore turistico sono chiamati ad intervenire sui suoi tre principali driver di emissioni: oltre alla già citata aviazione, l’utilizzo di veicoli privati alimentati a combustibili fossili e le utilities (in particolare l’elettricità). In questo senso iniziative come la Glasgow Declaration on Climate Action in Tourism vanno salutate con favore e soprattutto aiutate a scaricarsi rapidamente a terra.

Il secondo è quello degli operatori di settore, a partire naturalmente dai più grandi, con le strutture ricettive in primis. Che hanno un ventaglio molto ampio di soluzioni da mettere in campo per rendere strutture e servizi più ecosostenibili e soprattutto climate-friendly: basti citare a titolo di esempio, fra le innumerevoli, l’iniziativa di Ecobnb, che raggruppa oltre 3mila strutture ricettive di più di 55 Paesi del mondo e anni fa è stata premiata fra le eccellenze internazionali del turismo sostenibile.

Il terzo livello è quello individuale, i singoli turisti, che vanno resi più consapevoli del loro ruolo e insieme stimolati, educati ad adottare comportamenti più sostenibili riguardo al clima: scegliere strutture ricettive più climate friendly, mezzi di trasporto meno inquinanti (magari comparando prima di partire le emissioni collegate ai diversi mezzi, con calcolatori quali Travel CO2) e destinazioni meno distanti; e sviluppare abitudini di consumo più responsabili, quali evitare lo spreco di cibo, limitare la produzione di rifiuti e l’uso di sistemi di condizionamento dell’aria energivori, dotarsi di bottiglie da viaggio per ridurre il consumo di plastica.

Verso l’introduzione di soglie

Non c’è comunque da reinventare la ruota. Per diminuire l’impatto del turismo sul clima, infatti, la principale ricetta è ridurre l’overtourism e ciò chiama in causa tutti ma soprattutto alcuni. Il citato rapporto pubblicato su Nature Communications lo dice chiaramente: da sviluppi tecnologici e incrementi di efficienza, comunque benvenuti, non arriverà di certo la spinta sufficiente per un turismo Paris-aligned. Bisogna ridurre fortemente la domanda di viaggi, specie nei Paesi più responsabili delle emissioni legate al turismo e in relazione ai viaggi aerei a lungo raggio. E sarà inevitabile l’introduzione di soglie per i volumi turistici.

Si può fare? Certo che sì, se si vuole. Anche perché magari ce lo siamo scordati ma un esperimento del genere è già stato condotto con successo su scala globale solo pochi anni fa. Sebbene, diciamo così, involontariamente. Nel 2020, infatti, causa la pandemia Covid-19, le emissioni globali legate al turismo sono crollate da 5,2 a 2,2 miliardi di tonnellate di CO2, il che ha contato per i due terzi della riduzione totale delle emissioni globali di CO2 nel primo anno della pandemia.

Giornalista, blogger, storytweeter. Laurea alla Bocconi. Da metà anni ’90 segue il dibattito sui temi di finanza sostenibile, csr, economia sociale. Blogga su mondosri.info. Homo twittante.​​​​