Felicità sostenibile: cosa mettiamo nel piatto

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Felicità sostenibile: cosa mettiamo nel piatto

Vi siete mai chiesti qual è l’impatto economico e ambientale di una dieta sbagliata? E come sempre proviamo a giocare la partita del cambiamento come singoli? Dobbiamo farlo e vi spiego perché.

Continua il viaggio di Grammenos Mastrojeni alla ricerca di soluzioni che possono condurci con i nostri comportamenti verso una felicità sostenibile. Dopo aver esplorato i temi della sicurezza alimentare, qui si affronta il tema di una dieta corretta.

Una dieta sana abbonda di certi ingredienti e ne limita altri. Le giuste proporzioni sono descritte dai dietologi nella cosiddetta “piramide alimentare”.

Se scegliessi di attenermi alle proporzioni consigliate dai nutrizionisti, aumentano le mie probabilità di essere vitale, salutare, attivo e creativo. Probabilmente andrei meno dal medico, spenderei meno in farmacia, sarei più produttivo e competitivo sul lavoro e più sereno in famiglia. Potrei quindi ritrovarmi con un reddito più alto ma anche con diversi risparmi in tasca: oltre alla diminuzione dei miei esborsi sanitari, la composizione di questa dieta porta a un carrello della spesa meno caro di quello tutto carni e proteine animali. Naturalmente, ciò vale a parità di qualità dei cibi: un chilo di pollo all’antibiotico può costare meno di un cespo di fresca insalata e fornire molte più calorie ma, come vedremo, il sistema non ci costringe a barattare la qualità con la quantità salubre e necessaria. Possiamo invece sostituire la spesa per l’eccesso insalubre con una spesa per la qualità in giuste dosi.

Fin qui siamo nell’ovvietà: se scelgo i diversi nutrimenti nelle proporzioni raccomandate proteggo la mia salute, e quindi sto meglio con tutti i vantaggi annessi e connessi. Questo è già un primo vantaggio individuale, ma i suoi effetti si moltiplicano a dismisura e divengono benefici fiscali ed economici qualora la scelta di un dosaggio migliore degli alimenti fosse collettiva. Il nostro sistema iper-produttivo ha creato una crudele polarizzazione fra circa 2 miliardi di ipernutriti o nutriti male – generalmente i poveri del mondo ricco, ma in misura crescente anche i medio-poveri dei paesi in via di sviluppo – e circa 875 milioni di persone che vivono nell’insicurezza alimentare. Anche all’interno del mondo opulento, un miliardo e mezzo di persone vanno incontro a patologie per errata nutrizione costano moltissimo. Il peso economico globale della sola obesità è stimato in circa 2 trilioni di dollari all’anno, ovvero circa il 2,8% della ricchezza mondiale prodotta, un decimo del Prodotto interno lordo degli Stati Uniti, un settimo di quello cinese[1] e più o meno il PIL dell’Italia che è l’ottava potenza economica mondiale.

Per il mondo più sviluppato, le statistiche sono più precise e indicano che l’impatto economico della cattiva nutrizione è più alto. Si calcola che nel mondo ricco il sovrappeso e le malattie che vi sono associate – come il diabete o le fragilità cardiovascolari – riducono l’attesa di vita di 2,7 anni, bruciano l’8,5% dei bilanci per la sanità, contraggono la produttività in misura equivalente al contributo pieno di 54 milioni di lavoratori e nel complesso deprimono la ricchezza prodotta del 3,3%, ovvero lo 0,5 in più rispetto al dato globale. Le statistiche indicano anche che i giovani senza problemi di peso hanno una probabilità di successo scolastico del 13% migliore rispetto agli altri. Significa che se decidessimo collettivamente di dosare meglio quantità e ingredienti delle nostre diete ciascun paese avrebbe ogni anno vantaggi fiscali e di attività economica molto vicini a una media manovra di bilancio di una nazione normale. In pratica, si potrebbero di molto diminuire le tasse.

E fin qui, si diceva, siamo nell’ovvio: a occuparsi di sé stessi si sta meglio. Solo che siamo abitanti di un pianeta interconnesso e di questo si è accorta la Fondazione Barilla esplorando una sorprendente relazione. Supponiamo di non esserci ancora posti il problema della qualità e provenienza dei nostri alimenti, ma di volerli solo dosare saggiamente, e scopriamo che

accostando la piramide della salubrità dei cibi a quella del danno all’ambiente causato dalla loro produzione risulta una strana “coincidenza”: quanto più un certo tipo di cibo deve essere consumato in dosi ridotte per tutelare la salute, tanto più si usano risorse naturali per produrlo. Quindi, in pratica, se mi nutro in maniera salutare per me tutelo anche la salute del pianeta. E ciò mette in moto una miriade di straordinarie conseguenze. Ma prima di esplorarne alcune, occorre comprendere che non si tratta di una fortunata coincidenza nel settore dell’alimentazione. Questa relazione positiva fra benessere umano e benessere del sistema opera in ogni aspetto della vita – lo vedremo – e nasce dal fatto che ci siamo co-evoluti con il sistema stesso.

L’ecosistema ha trovato nei millenni delle nicchie di equilibrio per tutte le specie, una collocazione in cui prelevano dall’organismo planetario tanto quanto restituiscono. E la nostra nicchia è particolare: al vertice della catena alimentare, ma non è carnivora bensì onnivora, in proporzioni dettate dal maggior dispendio di energia che richiede all’ecosistema generare e rendere disponibile alla cattura una preda animale rispetto a un nutrimento vegetale. Come se la natura avesse già precalcolato il maggior impatto di una specie tecnologica e ci avesse raccomandato di non accaparrarci tutto. Quindi le nostre fisiologie sono adattate a consumare poca carne e molti vegetali mentre, specularmente, il sistema si è evoluto per rimanere florido fornendoci grandi benefici con poche proteine animali di alta qualità. Se ignoriamo questo equilibrio danneggiamo noi stessi e quanto ci circonda.

Vedremo nel prossimo post come sono globalmente potenti alcune piccole scelte, alla portata di tutti. Scelte davvero facili: pur nell’ammirazione di chi percorre cammini più elevati, come essere vegetariani, dobbiamo fare i conti con la realtà. Abbiamo poco tempo per scongiurare il collasso ecosistemico e dobbiamo considerare opzioni accessibili per l’individuo medio. Già solo mangiare meno carne ha dei riflessi straordinari sul sistema.


[1] International Monetary Fund World Economic Outlook, Ottobre 2019.

È​ Vice Segretario Generale per l’Energia e l’Azione Climatica dell’Unione del Mediterraneo. È​ un diplomatico italiano ed è stato coordinatore per l'eco-sostenibilità della Cooperazione allo Sviluppo. È stato delegato alle Nazioni Unite, console in Brasile, consigliere politico a Parigi e, alla Farnesina, responsabile dei rapporti con la stampa straniera e direttore del sito internet del Ministero degli Esteri. Da una ventina d'anni concentra la sua attenzione sui cambiamenti climatici. Nel 2009 la Ottawa University in Canada gli ha affidato il primo insegnamento attivato da un'università sulla questione ambiente, risorse, conflitti e risoluzione dei conflitti. Collabora da tempo con il Climate Reality Project, fondato dal premio Nobel per la pace Al Gore.