Adattarsi al clima: le città cambiano colore
Le aree urbane risentono più delle aree rurali del surriscaldamento globale. Il cosiddetto “effetto isola di calore” può aumentare le temperature di 4-5 gradi centigr
Troppo di tutto e a caro prezzo. Il nostro sistema alimentare si basa sulla quantità spesso a discapito della qualità. Ecco perché fare la spesa è un’azione che da sola può aiutare il Pianeta.
Continua il viaggio di Grammenos Mastrojeni alla ricerca di soluzioni che possono condurci con i nostri comportamenti verso una felicità sostenibile. Dopo aver esplorato i temi della sicurezza alimentare e di una dieta corretta, qui ci fa riflettere su come il nostro sistema alimentare sia progettato sulla quantità e non sulla qualità con ricadute evidenti sul Pianeta.
La scelta di un dosaggio sano fra diversi ingredienti apre la strada alla possibilità di una qualità migliore. Partiamo dal vertice della piramide, la carne. Se mangiamo meno carne, potremmo permetterci carne di migliore qualità. È più cara, ma comunque risparmiamo con un carrello della spesa meno animale e più vegetale, senza contare che il nostro migliore stato di salute prelude a un reddito migliore e a meno spese mediche. E senza considerare che se mangiamo meno ma più costoso, facciamo più attenzione agli sprechi, che nella famiglia media bruciano circa il 20% della spesa per alimenti.
La qualità che ora possiamo permetterci – in dosi minori ma salutari – si trova fuori dal circuito dell’allevamento industriale di modo che se compro qualità sottraggo forze a un mercato del dolore. Gli allevamenti intensivi, inoltre, non sono solo luoghi di degradazione del vivente ma anche meccanismi di moltiplicazione di:
Se quindi ci rivolgiamo all’allevamento naturale – consumando carni nella scarsa misura che ci fa bene e che tende a coincidere con la capacità produttiva naturale – ci garantiamo migliore salute grazie a un buon dosaggio nella nostra dieta, ma anche per il contesto produttivo che creiamo.
Questa nostra scelta crea anche contrasto ai cambiamenti climatici e al degrado ambientale, con tutti gli ulteriori vantaggi sanitari – e siamo già a una terza ondata di ricadute positive sulla salute e quindi sul reddito, la serenità, ecc. – che derivano da ecosistemi più integri.
Gli allevamenti intensivi accelerano la crisi climatica in molti modi e soprattutto con la catena dei mangimi. Quando abbiamo voluto veramente sconfinare nell’abiezione verso la natura e la dignità di esseri senzienti abbiamo creato mangimi in cui macinavamo le ossa delle loro stesse specie, e ciò ha fatto scattare la “malattia della mucca pazza” – o encefalopatia spongiforme: chi la fa, l’aspetti! Ma anche oggi che abbiamo smesso, per convogliare nutrimento alle fabbriche di carne occorre coltivare immense distese di mais e soia e, per mantenere bassi i costi, a loro volta devono essere coltivazioni industriali altrettanto avvelenate degli allevamenti che esse riforniscono: fertilizzanti e pesticidi ne sono il motore, di modo che il loro ampliamento introduce inquinanti agricoli che entrano nella nostra catena alimentare e alterano gli equilibri naturali, ad esempio decimando le api. Se però portiamo al collasso le api – e assieme a loro il 60% degli insetti impollinatori – creiamo un paradosso perché ci priviamo di un meccanismo fondamentale di sicurezza alimentare, proprio in nome dell’obbiettivo di avere sempre più cibo. Se mi sottraggo a questa sequenza, sospingo un quarto fattore di miglioramento della salute, e più sicurezza per tutti di avere il nostro pane quotidiano oggi e in futuro.