Fake news: come difendersi nella guerra dell’informazione

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Fake news: come difendersi nella guerra dell’informazione

Come durante la pandemia, anche nei giorni della guerra in Ucraina sui social e non solo imperversano bufale e notizie di propaganda. Ecco come orientarsi al meglio.

Cosa si intende per fake news? Il termine viene comunemente utilizzato per indicare notizie false, costruite per disinformare o manipolare l’opinione pubblica. Oggi, però, le fake news oggi non sono solo bufale virali, ma strumenti sofisticati di propaganda e manipolazione. Si diffondono attraverso i social media, ma arrivano anche sui media mainstream, creando confusione, sfiducia e polarizzazione. Il significato di fake news è cambiato: da fenomeno marginale è diventato un problema globale.

Le origini delle fake news: dalla storia alla rete

Quando è nata la prima fake news della storia? È difficile dirlo con certezza, perché la manipolazione dell’informazione accompagna la storia dell’umanità fin dalle sue origini. Ma se nel passato le notizie false erano diffuse da poteri forti e limitate dai mezzi tecnici del tempo, oggi viaggiano alla velocità della rete e si moltiplicano grazie alla logica della viralità. Le fake news sono passate dalla propaganda dei regimi totalitari al feed di Instagram.

Fake news e guerra dell’informazione

C’è il caso del cosiddetto fantasma di Kiev, il pilota ucraino che avrebbe abbattuto decine di aerei russi la cui esistenza reale non è mai stata provata, oppure la sfida a colpi di fotogrammi sul destino delle partorienti dell’ospedale pediatrico di Mariupol, o ancora la narrazione della propaganda russa volta a sminuire gli orrori di Bucha, sino ad arrivare all’incredibile bufala dell’arruolamento dell’attore Steven Seagal tra le fila delle milizie russe.

Sin da quel nefasto 24 febbraio, la prima guerra social della storia europea è stata caratterizzata da un profluvio di false informazioni, notizie di propaganda, mistificazioni e vere e proprie bufale che hanno avvelenato il clima, inquinato il dibattito, distorto il racconto di una pagina di storia che ha rimandato l’orologio della geopolitica mondiale indietro di decenni.
Il fenomeno delle fake news che dai social migrano sui media mainstream non è ovviamente nuovo. Ne abbiamo avuto un’eclatante prova durante gli anni della pandemia, tuttavia secondo Giovanni Zagni, direttore di Pagella Politica e di Facta, progetto di fact-checking che si occupa di notizie false e disinformazione: «Oggi rispetto al recente passato pandemico, la disinformazione viaggia su canali ufficiali e ogni giorno assistiamo a profili social delle varie ambasciate spingere tesi di disinformazione dimostrabilmente false».

Quindi, se durante la pandemia da Covid-19 c’era una contrapposizione netta tra mondo scientifico-istituzionale e diffusori virali di fake news, oggi, durante la guerra in Ucraina, il contesto si fa più sfumato. «Negli ultimi due anni abbiamo dovuto affrontare questioni scientifiche complesse, appoggiandoci sull’expertise dei tecnici (virologi, infettivologi, ecc…), mentre oggi si assiste a una disinformazione bipartisan, dinanzi a cui è molto difficile mantenere l’imparzialità, con il perenne rischio di essere percepito come sostenitore dell’una o dell’altra parte».

Propaganda ucraina e propaganda russa disegnano un contesto dove è sempre più difficile orientarsi, eppure, come sottolinea Zagni: «Un fattore appare chiaro: una delle due parti della contesa è più credibile dell’altra, perché poggia su fonti più sicure, più dimostrabili».

Ovviamente questa parte è quella che può contare su un’informazione più libera, su giornalisti che sono sul campo e che con i loro occhi, i loro obiettivi e le telecamere stanno documentando quello che realmente sta accadendo sul terreno di guerra. «Oggi si assiste a una vera rinascita del ruolo dell’inviato, che rappresenta una fonte primaria, proprio grazie alla sua capacità di documentare i fatti» ci dice Zagni.
«Un esempio? All’indomani della Pasqua ortodossa più fonti hanno avanzato il dubbio sulla reale autenticità dei video che ritraevano Putin presente alle cerimonie. In realtà questi dubbi sono stati fugati proprio dai reporter che hanno diffuso real time sui social le foto del capo del Cremlino».

La propaganda è sempre esistita in ogni conflitto, ma quella che era la disinformatia tipica del clima di guerra fredda oggi assume connotati più pervasivi, data l’alta capacità virale dei social che raggiungono anche quei pubblici in passato ai margini della sfera pubblica mondiale.

Come si diffondono le fake news

Proprio al rapporto tra utente e social network è dedicato Sociability, l’ultimo libro di Francesco Oggiano, giornalista di Will Media e “profilo noto” di Instagram. «I social sono i bar del futuro e si basano sulla ricerca da parte dei creatori di fake news della viralità della notizia, che a sua volta si basa sull’emozione dell’indignazione che può essere provocata anche da notizie amplificate, quando non del tutto false», osserva Oggiano.

Ma i social permettono anche la verifica delle fonti e degli stessi contenuti. I social, dunque, come veleno e antidoto di un dibattito in cui per orientarsi bisogna cimentarsi in arditi slalom tra le trappole delle fake news.

Gli effetti delle fake news su società e democrazia

Le fake news non sono un problema solo informativo, ma sociale e politico. Generano sfiducia nelle istituzioni, polarizzazione, perdita di pensiero critico. Alimentano una realtà alternativa in cui è impossibile il confronto civile e razionale. Quando la verità diventa soggettiva, il rischio è che venga meno la possibilità stessa di una democrazia informata.

Difendersi dalle fake news: strumenti e strategie

Ma come può ciascuno di noi difendersi da tutto questo? Secondo Oggiano «innanzitutto bisogna sempre ad avere più fonti per le proprie informazioni, perché se ne abbiamo una sola lei controlla noi, se ne abbiamo dieci siamo noi che controlliamo loro; poi si deve cercare sempre la fonte originale, ovvero chiedersi chi ha diffuso e condiviso, per primo la notizia; diffidiamo poi dalla notizia che ci sembra troppo bella o poetica che spesso è costruita ad arte per la narrazione social e infine dobbiamo sempre sospettare di quelle notizie che confermano pregiudizi personali o i bias che spesso guidano il nostro modo di informarsi».

Social e fake news: problema e risorsa

I social network rappresentano oggi uno dei principali canali attraverso cui si diffondono le fake news. La struttura stessa di queste piattaforme, progettata per massimizzare l’interazione, favorisce la viralità dei contenuti più emotivi e polarizzanti, a prescindere dalla loro veridicità. Notizie false, titoli fuorvianti e immagini decontestualizzate trovano terreno fertile in un ambiente che premia la velocità di condivisione più della qualità dell’informazione.

Questa dinamica ha trasformato i social in un potente strumento di disinformazione, contribuendo alla diffusione di bufale che spesso raggiungono milioni di utenti prima di essere smentite. Un quadro reso ancora più complesso dall’irruente ingresso nella nostra vita quotidiana dell’IA generativa. Tuttavia, gli stessi social media possono anche rivelarsi una risorsa per contrastare le fake news, se utilizzati in modo consapevole.

Le piattaforme digitali mettono infatti a disposizione strumenti sempre più sofisticati per la verifica delle informazioni. È possibile segnalare contenuti sospetti, accedere rapidamente a fonti autorevoli, consultare i profili di giornalisti presenti sul campo e utilizzare motori di ricerca inversi per risalire all’origine di un’immagine o di un video. Alcuni social, inoltre, collaborano con organizzazioni di fact-checking per etichettare notizie fuorvianti e ridurne la diffusione.

I consigli del New York Times

Per non naufragare nel mare delle fake news, recentemente anche il New York Times ha espresso una serie di consigli. Secondo il noto giornale americano, dinanzi a un contenuto che vogliamo diffondere è utile:

  • chiedersi quale sia l’identità del suo autore;
  • prestare attenzione alle fonti che cita;
  • diffidare dagli account con numeretti e nomi buffi;
  • evitare post con troppi hashtag che sono acchiappa-clic.

Si possono poi usare i motori di ricerca per risalire alle prime condivisioni delle news o alle prime versioni delle immagini o dei video, consultare i fact checker e prestare attenzione anche alle truffe che possono arrivare da iniziative di raccolta fondi.

La consapevolezza è la prima arma di difesa

Consigli che possono valere in tempi di pace, di guerra o di pandemia, anche perché non è un caso che i meccanismi di diffusione delle bufale siano simili, così come i gruppi sociopolitici che le diffondono. «Abbiamo assistito a un certo legame tra i gruppi Telegram dei no vax e quelli pro-Putin – ha osservato Francesco Oggiano – segno che credere alle fake news è una questione di metodo, più che di merito. Alla base c’è la voglia di andare a seguire un’altra verità rispetto a quella ritenuta dominante. Una reazione che risponde anche all’istinto che vede l’uomo esprimere innanzitutto negazione dinnanzi a un trauma (che sia un virus o una guerra)». E parlarne, alimentare il dibattito e la consapevolezza potrebbe rappresentare davvero la nostra prima arma di difesa.

*Articolo pubblicato il 6 giugno 2022 e sottoposto a successive revisioni

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Giornalista, pugliese e adottato da Roma. Nel campo della comunicazione ha praticamente fatto di tutto: dalle media relations al giornalismo. Brand Journalist e conduttore radiofonico, si occupa prevalentemente di economia, energia ed innovazione. Oltre la radio ama la storia e la politica estera.