Resistenza al cambiamento: perché facciamo fatica ad adattarci?
Viviamo in un’epoca in cui il cambiamento è diventato la regola, non l’eccezione. Dalle trasformazioni tecnologiche ai mutamenti sociali, economici e climatici, tutto sembra f
Una domanda all’IA. Il numero di trapianti è in costante crescita, ma la carenza di donatori resta un limite drammatico. Nel frattempo, la ricerca nel bioprinting avanza, promettendo organi su misura. Ma siamo davvero vicini al momento in cui stamperemo cuore, fegato o rene al posto di attendere?
La bioprinting, ovvero la stampa 3D di tessuti e organi biologici, ha fatto passi concreti: recenti studi parlano di scaffold avanzati (strutture di supporto per la crescita cellulare e la rigenerazione dei tessuti) per ossa e cartilagine, organi poco complessi come esofagi ricostruiti in modelli animali, e bio‐inchiostri che mantengono cellule pancreatiche produttrici di insulina vitali per settimane in vitro.
Sul fronte dei trapianti tradizionali, solo nel 2024 sono stati eseguiti 48.143 trapianti tra donatori vivi e deceduti negli Stati Uniti. Il dato più alto mai raggiunto, +3,3% rispetto al 2023. Eppure, la domanda supera di molto l’offerta: secondo l’Organ Procurement and Transplantation Network (OPTN), ad aprile 2025 le persone in lista d’attesa superavano le 100.000 solo negli Stati Uniti, con più di 5.000 morti ogni anno in attesa di un organo compatibile.
Gli studi recensiti sottolineano, però, gli ostacoli tecnici: la stampa di organi solidi richiede reti vascolari complesse, integrazione cellulare, bioinchiostri biocompatibili e normative rigorose. Le previsioni più concrete, basate su opinioni raccolte tra operatori del settore medico, suggeriscono che potremmo iniziare a vedere organi biostampati come opzione clinica “di nicchia” entro i prossimi 5 o 10 anni, ma non una sostituzione totale del sistema dei trapianti tradizionali.
Se la bio‐stampa diventerà una realtà clinica diffusa, cambierà non solo la tecnologia, ma l’intero ecosistema del trapianto: meno liste d’attesa, meno rigetti immunitari (grazie a stampe con cellule autologhe), minori costi sanitari legati al fallimento o al mantenimento del paziente in attesa.I risparmi sarebbero ingenti. Uno studio ha stimato che anche un modesto aumento del 5% dei trapianti di rene da donatori deceduti potrebbe far risparmiare 4,7 miliardi di dollari e aggiungere 30.000 QALY (anni di vita corretti per qualità) solo negli Stati Uniti. La bio‐stampa potrebbe moltiplicare questi benefici, soprattutto se resa accessibile su larga scala.
La bio‐stampa non è più fantascienza. È una frontiera concreta con studi promettenti, numeri reali di trapianto e mercato in forte crescita. Tuttavia, sarà probabilmente un’evoluzione graduale: non “trapianto versus stampa” ma “trapianto + stampa”. Perché la sostituzione totale degli organi tradizionali richiederà superare sfide enormi, tecnologiche e regolatorie, e soprattutto assicurare che questa nuova possibilità sia accessibile a tutti, non solo a pochi.