Demografia: la sfida dell’invecchiamento e del declino delle nascite

L’Europa è il continente più vecchio sul pianeta, l’Italia è il Paese più vecchio nel continente più vecchio. Ancora pochi comprendono la reale portata della rivoluzione d
Migliora l’occupazione e, con essa, aumenta la soddisfazione dei giovani per il proprio lavoro e per la sicurezza del posto. Non cambia però la voglia di guardarsi intorno per cercare un lavoro più interessante, pagato di più e che garantisce un migliore equilibrio lavoro/vita privata. È una generazione che non fugge, ma esplora. I risultati della ricerca Generationship 2025 di Unipol Changes realizzata da Kkienn su un campione di Millennials e Generazione Z.
Dopo la crisi del 2022-2023, la soddisfazione nei confronti del lavoro è tornata a salire. I fattori sono molteplici: la maggiore facilità a trovare lavoro, le opportunità aperte dal pensionamento dei Baby Boomer, un maggior potere contrattuale con i datori di lavoro, una migliore qualità del lavoro, la diffusione dello smart working. Parallelamente, anche la fiducia nella stabilità a lungo termine del proprio impiego si rafforza.
Eppure, i giovani continuano a muoversi. In misura leggermente ridotta rispetto a qualche anno fa, ma pur sempre in maggioranza, rimangono attivi nel mercato: esplorano, valutano nuove opportunità, talvolta declinano offerte e non di rado cambiano lavoro. La ragione principale è il livello ancora basso delle retribuzioni, che rende difficile pianificare il futuro – famiglia, casa, figli.
Quello che qualche anno fa veniva interpretato come Great Resignation oggi appare con chiarezza come un fenomeno diverso. Non è una fuga dal lavoro, ma un processo di ricalibrazione: i giovani cercano un migliore allineamento tra retribuzione e progetti, tra vita e professione, tra competenze e aspirazioni. Potremmo definirlo workflowing: un fluire continuo, in cui il cambiamento diventa la norma e non l’eccezione.
Lo stesso approccio emerge nel tema della mobilità internazionale. Se in passato si parlava di “emigrazione” e “fuga dei cervelli”, oggi la realtà appare più sfumata. La propensione a trasferirsi all’estero è calata dal 58% del 2022 al 41% del 2025: un effetto, probabilmente, della maggiore occupazione in Italia e della ridotta attrattività di paesi come Germania e Regno Unito.
Tuttavia, la disponibilità a partire resta significativa, anche tra gli adulti. E il senso del partire non è più quello di un addio definitivo: chi sceglie l’estero lo fa per studiare, lavorare, crescere, ma senza recidere il legame con l’Italia. Si tratta di una mobilità fluida, identitaria e temporanea. L’Italia resta sullo sfondo, come opzione sempre recuperabile.
Una ricerca della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro conferma la tendenza: solo un quarto dei giovani italiani è partito per mancanza di lavoro, mentre due su tre considerano possibile un ritorno, purché si creino le condizioni adeguate. Non un’emigrazione irreversibile, dunque, ma un’esplorazione attiva.
Un altro elemento che alimenta inquietudine è l’Intelligenza Artificiale. Negli ultimi dodici mesi, la preoccupazione dei giovani per gli effetti dell’IA sulla sicurezza del lavoro è cresciuta. L’esperienza diretta nell’utilizzo di queste tecnologie ridimensiona i timori più catastrofici, ma non alimenta nemmeno un ottimismo pieno: prevale un cauto pessimismo.
L’IA non viene percepita come uno tsunami in grado di cancellare milioni di posti di lavoro, ma nemmeno come un’innovazione senza conseguenze. La sensazione diffusa è che i cambiamenti saranno inevitabili e che il futuro richiederà adattabilità, formazione continua e la capacità di integrare le nuove tecnologie senza subirle.