L’inquinamento invisibile che entra nel corpo

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L’inquinamento invisibile che entra nel corpo

Da una cannuccia di plastica a una realtà globale di contaminazione: le micro e nanoplastiche sono ormai ovunque, dai ghiacciai alpini al cervello umano. Le evidenze scientifiche mostrano correlazioni con patologie gravi e alterazioni biologiche.

Appena insediato alla Casa Bianca, Donald Trump ha firmato un decreto che sembra riguarda un aspetto irrilevante della vita dei concittadini che è stato chiamato a governare: l’utilizzo delle cannucce nei drink. Devono tornare a essere in plastica, perché quelle di carta sono scomode e, in fondo, non fanno male a nessuno.

Quella che a molti è sembrata quasi una bizzarria, in realtà è una vicenda che ha ripercussioni tutt’altro che minime, e che illustra le difficoltà che incontra chi cerca di spiegare perché è necessario ridurre la produzione e il consumo di plastiche. Solo negli Stati Uniti si consumano ogni giorno tra i 350 e i 500 milioni di cannucce, ciascuna in media per meno di trenta minuti. E di quell’enorme quantità di plastica solo circa il 10% viene avviato al riciclo. Tutto il resto finisce in discarica, ma soprattutto si disperde ovunque, perché si trasforma in micro e nanoplastiche, ovvero frammenti di diametri che vanno, rispettivamente, da pochi millesimi a pochi milionesimi di millimetro, di composizione e forme diverse che contaminano – virtualmente per secoli – ogni tipo di ambiente e di essere vivente.

Nei ghiacciai, nelle acque, nei terreni, nel vento

Che sia così lo confermano continuamente gli studi. Non passa quasi settimana senza che non sia mostrata la presenza di micro e nano-plastiche nei mari, nell’aria, sulle montagne, nei terreni, negli esseri umani o negli animali. Di fatto, ovunque le si cerchi, le si trova.

In febbraio, per esempio, è stato reso noto l’esito di un esperimento di Citizen Science, nato da una collaborazione tra esperti e persone non specializzate, in questo caso alpinisti, reclutati per la raccolta dati. I ricercatori dell’Helmholtz Centre for Environmental Research (UFZ) di Leipzig, in Germania, hanno chiesto a un gruppo di loro prelevare campioni in 14 punti della cosiddetta Alta via, che passa a circa tremila metri di altitudine e va da Chamonix, in Francia, a Zermatt, in Svizzera, toccando anche il territorio italiano, per poi portarli da loro per le analisi. Il risultato, pubblicato su Scientific Reports, è stato che cinque dei 14 punti di prelievo avevano nanoplastiche in concentrazioni comprese tra i 2 e gli 80 nanogrammi per millilitro di neve sciolta. La provenienza dei polimeri, stabilita in base al tipo, era soprattutto dagli pneumatici (polietilene e polistirene), e in misura minore dalle bottiglie (polietilen-tereftalato). Ma ciò che fa capire perché si tratti di una questione dalla quale nessuno è esente, sono le strade percorse da quelle nanoplastiche. L’analisi dei dati atmosferici ha mostrato che, per lo più, arrivavano da ovest (Francia e Spagna) e, in gran parte, dall’Oceano Atlantico.

Prima di questo, un altro studio aveva messo a confronto diversi sali da cucina, trovando che in quello proveniente dalla catena dell’Himalaya è presente una concentrazione di microplastiche superiore a quella di diversi sali estratti dai mari, a riprova del fatto che nessun ambiente è risparmiato dalla dispersione. Le conseguenze si vedono per esempio in mare, dove i frammenti si accumulano nei pesci in misura proporzionale alla taglia e, da loro, tornano all’uomo tramite la catena alimentare. E poi si vedono sui coralli e sui sedimenti dei fondali. Secondo alcune ricerche recenti, le micro e le nanoplastiche sarebbero all’origine dello sbiancamento delle barriere, che non riflettono più la luce, e dei cambiamenti osservati in molte specie marine, con danni alla riproduzione, disorientamento e così via.

L’equivalente di cucchiaio di plastica… nel cervello

Tutti questi miliardi di frammenti arrivano inesorabilmente anche all’uomo, attraverso appunto l’ingestione e, come hanno dimostrato numerose ricerche, l’inalazione. La plastica è talmente ubiquitaria che l’aria che circonda la Terra ne è intrisa, e non respirarla è impossibile, anche in ambienti all’apparenza lontanissimi da fonti di contaminazione o dispersione. Non a caso, ogni volta che si cercano micro e nanoplastiche nell’organismo umano, le si trova, virtualmente in tutti gli organi e tessuti, anche se con differenze rilevanti di accumulo. Uno studio di poche settimane fa rende l’idea.

I ricercatori dell’Università del New Mexico di Albuquerque hanno analizzato il cervello di alcune persone decedute, scoprendo che la quantità di microplastiche presenti era sensibilmente più elevata (da sette a trenta volte) rispetto a quella, per esempio, di fegato e reni. Ma, soprattutto, dimostrando che, dal 2016 a oggi, c’è stato un autentico balzo. La media, per una persona attorno ai cinquant’anni, è di 4,8 milligrammi, pari allo 0,48% del peso corporeo. Rispetto al 2016, l’aumento è del 50%. Il che significa che un cervello umano oggi è composto per il 99,5% da cervello, e per il resto da plastiche. Con conseguenze tutte da capire. In precedenza, micro e nanoplastiche sono state trovate, oltreché nel fegato e nei reni, nelle arterie, nei polmoni, nella placenta e in altri organi e tessuti.

Gli effetti sulla salute

Come ha sintetizzato un importante rapporto internazionale reso noto nel 2023, i danni sulla salute umana già accertati sono decine, e vanno dal momento della gestazione fino alla vecchiaia. Tumori, sviluppo cognitivo, funzionalità endocrina e sessuale, patologie metaboliche, obesità, diabete e chi più ne ha più ne metta, stando solo a ciò che è stato dimostrato in modo più o meno diretto. Tuttavia, moltissimo resta da capire, soprattutto perché le variabili in gioco sono centinaia, e la scienza sta iniziando solo ora a capire come studiarle.

Le plastiche sono composte da decine di polimeri diversi, derivati del petrolio (e ciò significa che la loro produzione è associata a una quantità enorme di emissioni di gas serra). Ciascuno di essi ha tempi e modalità di degradazione differenti. Inoltre, degradandosi, anche in base al tipo di agente che agisce su di esse (per esempio meccanico, oppure atmosferico) assumono le forme più disparate, dai fili invisibili alle sferette, dai frammenti irregolari alle soluzioni, e ciascuna di esse reagisce con i tessuti biologici a suo modo, anche in base a leggi fisiche. Oltre ai polimeri, poi, tutte le plastiche contengono decine di plastificanti e sostanze diverse, alcune delle quali note per essere pericolose come i perfluoroalchili o PFAS.

E poi c’è la controparte biologica, cioè i tentativi di capire che cosa succeda attraverso test in vitro, sui modelli animali e sugli esseri umani. E qui sorgono altre difficoltà: non solo non necessariamente gli esiti sono gli stessi ma, per quanto riguarda le persone, è estremamente difficile, mentre sono ancora in vita, capire quali plastiche ospiti il loro corpo e se questo abbia riportato o meno danni da esse. Non a caso lo studio sui cervelli è stato fatto su reperti autoptici.

Siamo solo all’inizio della comprensione. In attesa che si conoscano meglio le conseguenze del plasticene, come è stata chiamata la nostra realtà, e in attesa di un trattato internazionale per ridurre produzione e consumo, in discussione da oltre due anni, sul quale non si riesce a trovare un accordo, ciascuno deve fare la propria parte, limitando al massimo l’utilizzo degli imballi e dei materiali monouso. Comprese le cannucce che, come i tappi delle bottiglie o altri oggetti comuni quali gli spazzolini da denti, tornano nel nostro organismo, dove aver contaminato i mari, le montagne, l’aria, e lì restano. Nel 2020 sono stati prodotti 81 milioni di tonnellate di plastica, che si sono aggiunto a tutti gli altri già presenti. Se non cambierà nulla, secondo l’OCSE nel 2040 la produzione salirà a non meno di 119 milioni di tonnellate.

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È una giornalista scientifica e una scrittrice con un passato da ricercatrice e un dottorato in farmacologia. Oggi collabora con i principali gruppi editoriali italiani (GEDI, Il Sole 24 Ore) e con diversi siti (Il Tascabile, Lucy, Ilfattoalimentare.it e altri) e svizzeri (assediobianco.ch e Ticonoscienza.ch) su temi inerenti alla salute, l'alimentazione, la sostenibilità, la scienza e la promozione della cultura scientifica. Tiene lezioni e partecipa a trasmissioni radiofoniche e televisive, incontri e podcast. Il suo ultimo libro è Alzheimer spa – Storie di errori e omissioni dietro la cura che non c’è (Bollati Boringhieri, 2024).