Gerontecnologia: cos’è e come funziona

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Gerontecnologia: cos’è e come funziona

Quando l’innovazione rende migliore la salute nella terza età e quali sono gli aspetti critici.

Un visore per far ritrovare agli anziani il piacere di ritrovarsi in mezzo alla natura. È stato proprio un supporto con immagini virtuali in 3d a dare la possibilità a una trentina di ospiti della struttura APSP “Margherita Grazioli” di Povo, a Trento, di immergersi in un ambiente «naturale, senza dover uscire. Gli anziani con problemi di deambulazione hanno potuto scegliere come e dove vivere l’esperienza: in un contesto montano, di campagna o al mare; se vedere il tramonto, l’alba, aggiungere al paesaggio le nuvole, la pioggia, la neve, o il prato con animali, fiori, piante, alberi; osservare corsi d’acqua, o cascate; o ancora se ascoltare una melodia classica o la musica leggera e aggiungere il suono della pioggia, del vento, il canto degli uccelli. Il risultato è stato un aumento dello stato di rilassamento degli anziani, una riduzione dell’ansia e “l’ipotesi che la realtà virtuale possa servire per ridurne l’isolamento e incrementare il coinvolgimento in attività ricreative e utili per il benessere» spiega Susanna Pardini, dottoranda presso il Digital health and Wellbeing center della Fondazione Bruno Kessler di Trento, autrice di uno studio sull’esperimento.

I casi di successo

Quello di Trento non è l’unico caso italiano di interazione tra anziani e tecnologia. Nell’ambito del progetto Sciam – Spazio Comune Invecchiamento Attivo Multidimensionale, Pld Artech con la collaborazione scientifica del dipartimento di Informatica dell’Università di Bari ha creato 3 robot al servizio degli over 65.  Ubkit aiuta a esercitare la manualità, Alpha mini, serve ad allenare le capacità verbali e la lingua inglese, e Dinerbot T8 è in grado di stimolare le emozioni degli anziani per favorire l’incontro con gli altri, ricordando gesti come l’abbraccio o il saluto. Il robot, in più, offre anche un sostegno nello svolgimento delle azioni quotidiane, comprese le prescrizioni di una dieta alimentare personalizzata.  «Il fatto è che da circa 25 anni in Italia si conducono tante sperimentazioni tecnologiche», spiega Alberto Pilotto, docente di geriatria a Bari e presidente di Sigot – società di geriatria ospedale e territorio che al tema della tecnologia per la terza età ha dedicato un saggio: Gerontechnology: a clinical perspective (Springer international). In particolare, sotto il nome di Multiplatage abbiamo raccolto 5 forme di possibile applicazione delle tecnologie ai cittadini anziani, tra cui una casa domotica costruita all’ospedale Galliera di Genova per ripristinare aspetti funzionali e di stimolazione sensoriale dei pazienti che stanno per essere dimessi, o come Easy dom, una “ciclette elettronica” sviluppata dall’università Federico II di Napoli per monitorare attenzione, equilibrio, e parametri cardio vascolari degli anziani. Tuttavia, «se la gerontecnologia aiuta, ci sono degli aspetti problematici» chiarisce Pilotto.

E le criticità

Il primo è sicuramente la necessità di una stabile connessione alla rete, essenziale per queste tecnologie avanzate, che tuttavia manca in alcune zone d’Italia. In secondo luogo, occorre un’alfabetizzazione digitale “binaria”: significa, spiega l’esperto, «che l’anziano deve adattarsi agli strumenti, ma anche che gli informatici devono adattarsi alle caratteristiche fisiche e funzionali degli anziani». Per esempio, «con una ricerca abbiamo scoperto che molti anziani non hanno fatto il vaccino anti covid non perché erano no vax bensì perché non riuscivano a prenotare online né sapevano usare lo Spid». Una terza criticità è che lo sviluppo di nuovi strumenti richiede una adeguata formazione degli operatori sanitari: una visita in telemedicina è necessariamente diversa che in presenza e bisogna saper valutare le situazioni in modo differente.

E poi c’è il problema dei costi di queste tecnologie al servizio degli anziani, che sono variabili. «Come è successo con i telefonini, all’inizio un nuovo strumento può costare molto di più che pochi mesi dopo», precisa Pilotto. «Ma anche se uno smartwatch che monitori le condizioni cardiache costa qualche centinaio di euro, quanti anziani con una pensione minima se lo possono permettere?». Infine, digitalizzando le cure si pone la questione della tutela di dati sensibili come quelli sanitari. La strada verso una gestione hi tech della terza età, insomma, non è priva di ostacoli. Eppure, la direzione è obbligata, riconosce il professore. «Oggi chi ha 65 anni in media ha davanti a sé altri 20 anni di vita, di cui la metà gravati da disabilità e da una qualità di vita ridotta. La tecnologia ridurrà il numero di anni di minor benessere. E i sessantenni di domani saranno sempre più abituati al digitale, risolvendo spontaneamente il problema della alfabetizzazione dei pazienti». Per accogliere le potenzialità allargando il più possibile il numero di persone che ne beneficiano, però serve uno sforzo collettivo dello Stato e delle realtà locali. E, al momento la prospettiva pare molto limitata. Due anni fa Sigot ha svolto un sondaggio sulla presenza della tecnologia nelle Asl. Ne è emerso che i percorsi funzionanti su tutto il territorio non superavano il 15% del totale e riguardavano soprattutto la telemedicina o la tele riabilitazione. Per la domotica o i robot la percentuale era vicina allo zero. In un Paese in cui l’età media si alza sempre di più, il margine di miglioramento è evidente.

Mantovana, giornalista da oltre 15 anni in Mondadori, collabora a numerose riviste nazionali su temi di attualità e stili di vita. Ha collaborato a una monografia sul cinema di Steven Spielberg e curato la traduzione dall’inglese di un saggio sul Welfare State. ​