Vivere il presente: una competenza per non perdersi nel futuro

Ogni volta che la mente va al passato o al futuro, seguendo un pensiero che arriva, si comporta come una scimmia che salta da un ramo all’altro. È una tendenza comune, profondam
Le situazioni di disagio anche nella vita adulta provocano emozioni scomode che portano un messaggio. Non vanno colmati in fretta, ma interrogati con pazienza.
Laura ha 38 anni, vive in una grande città, ha un lavoro ben pagato in una delle principali banche italiane, una cerchia di amici solida, un marito presente. Viaggia, fa yoga, ha una casa luminosa arredata con gusto. Eppure, quando entra nel mio studio, la sua prima frase è «Non so cosa mi stia succedendo. Ho tutto, ma mi sento vuota».
Quel senso di vuoto, che molti adulti sperimentano nel silenzio, è spesso difficile da spiegare. Non è depressione clinica, anche se a volte la sfiora. Non è una crisi improvvisa legata a un evento specifico. È più sottile, più insidiosa: è un lento affiorare del dubbio che quello che stiamo vivendo non sia più allineato a chi siamo diventati.
La crisi esistenziale non è un errore di percorso: è una fase naturale dell’evoluzione umana. Carl Gustav Jung parlava del “processo di individuazione” per descrivere quel momento in cui siamo chiamati a integrare le parti di noi che avevamo lasciato in ombra per rispondere alle aspettative esterne. Ecco che allora, intorno ai 30, 40 o anche 50 anni, il castello che abbiamo costruito inizia a scricchiolare. Non perché sia fragile, ma perché siamo cambiati.
Nel mio lavoro di psicologa, vedo sempre più persone come Laura: adulti che si risvegliano con la sensazione che la vita non abbia più sapore. E questa sensazione, oggi, è molto più diffusa di quanto immaginiamo.
Nel 2024, oltre 16 milioni di italiani soffrivano di disturbi psicologici di media e grave entità, in aumento del 6% dal 2022. I malesseri più diffusi? Ansia e depressione in particolare nelle donne e nei giovani. Questi sono i dati che emergono dall’ultima analisi di Unicusano sulla salute mentale degli italiani. Mentre secondo il 58° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese, nel 2024 il 51,8% dei giovani dichiara di soffrire di stati d’ansia o depressione, mentre nelle persone tra i 35 e i 64 anni la percentuale scende al 40,8%.
Paradossalmente, più opzioni abbiamo, più ci sentiamo disorientati. Viviamo in un’epoca in cui tutto è potenzialmente a portata di clic: possiamo cambiare lavoro, partner, città, identità digitale. Eppure, questo potere di scelta spesso si trasforma in ansia da prestazione esistenziale:
«E se avessi sbagliato strada?»
«E se ci fosse qualcosa di meglio altrove?»
Siamo esposti continuamente alla vita degli altri (o meglio, alla loro versione socialmente desiderabile) e ci confrontiamo con modelli irraggiungibili. La pressione di “realizzarsi” può diventare un fardello, più che una spinta.
Laura ha iniziato a sentire questo vuoto quando ha ottenuto una promozione. «Ho pensato che mi avrebbe reso felice. Invece è stato come spegnere la luce».
Il primo passo non è reagire, ma ascoltare. Il vuoto, come ogni emozione scomoda, porta un messaggio. Non va colmato in fretta, ma interrogato con pazienza.
Con Laura abbiamo lavorato su questo: imparare a stare con il disagio senza giudicarlo, esplorando domande come:
A volte, le risposte non arrivano subito. Ma già il fatto di darsi il permesso di porsi queste domande apre nuovi spazi. E per farlo abbiamo bisogno di rallentare il ritmo della vita e prenderci l’occasione di guardarci dentro smettendo di essere continuamente proiettati all’esterno.
Nel tempo, Laura ha riscoperto passioni che aveva abbandonato: scriveva da ragazza, ma lo aveva dimenticato. Ha iniziato un laboratorio di scrittura creativa, senza aspettative. Ha messo in pausa alcuni progetti lavorativi e iniziato a prendersi settimane “vuote” da riempire non con to-do list, ma con ascolto.
Il vuoto ha iniziato a trasformarsi. Non era più un abisso da cui scappare, ma un terreno fertile.
«Non ho ancora tutte le risposte – mi ha detto qualche mese dopo – ma ora ho voglia di cercarle. E mi sento viva».
La crisi esistenziale non è un fallimento personale. È spesso una chiamata al cambiamento, un invito a lasciare ciò che non serve più e a tornare a ciò che conta davvero.
In un mondo che ci chiede sempre di correre, di mostrare, di performare, fermarsi e ascoltare può sembrare un atto rivoluzionario. Ma è lì, in quel silenzio, che iniziamo a risentire la nostra voce.
Se ti riconosci in queste parole, sappi che non sei solo. Forse non serve riempire il vuoto: forse serve imparare a starci dentro, ad abitarlo, per lasciar emergere qualcosa di nuovo.
E per chiudere questo articolo ti condivido un consiglio di lettura: Troppo comodi. Accettare il disagio per riconquistare la nostra parte selvaggia, felice e in salute di M. Easter.