Addio PIL comanda il benessere

Well being


Addio PIL comanda il benessere

Prima la pandemia ha messo in discussione la crescita ad ogni costo. Ora la transizione ecologica impone nuove regole.

Mettiamola così: non ci può essere transizione ecologica senza transizione economica. Significa che la cosiddetta “dittatura del PIL”, cioè della crescita a tutti i costi come principale se non unica bussola – o, meglio, mantra ideologico – a orientare l’azione in campo economico, è in netta, profonda, insanabile contraddizione con la possibilità di raggiungere gli obiettivi della transizione ecologica. Insomma, o l’una o l’altra. Tertium non datur.

Non che si tratti di una questione nuova, anzi di andare “oltre il PIL” si parla da decenni. In pratica dall’invenzione stessa del PIL, dato che fu proprio il suo inventore a mettere in guardia sul fatto che il PIL non era, perché non è pensato per esserlo, una buona misura della qualità dello sviluppo e in particolare del benessere sociale.

A ribadirlo però di recente in modo inequivocabile è stato il professor Giorgio Parisi, premio Nobel per la Fisica 2021, nel discorso tenuto alla Camera dei Deputati ai primi di ottobre in occasione dell’incontro dei parlamentari italiani in vista della COP26 che si è tenuta a Glasgow a inizio novembre: «Il Prodotto Interno Lordo (PIL) dei singoli paesi – ha detto Parisi – sta alla base delle decisioni politiche e la missione dei governi sembra essere quella di aumentare il PIL il più possibile, obiettivo che però è in profondo contrasto con l’arresto del cambiamento climatico». Aggiungendo poi anche: «Se il PIL rimarrà al centro dell’attenzione come adesso, il nostro futuro sarà ben triste. Tutti coloro che pianificano il nostro futuro devono usare un indice che consideri altri aspetti oltre il PIL».

Difficile essere più chiari di così. Infatti il discorso del premio Nobel, che richiamava esplicitamente quello celeberrimo e altrettanto critico sul PIL pronunciato da Robert Kennedy nel 1968, è stato subito apprezzato anche a livello internazionale e giustamente può essere considerato come una sorta di manifesto per la giustizia climatica.

​L’esigenza di andare “oltre il PIL” sembra dunque essere tornata prepotentemente alla ribalta. Probabilmente perché, da una parte, si è finalmente diffusa un po’ a ogni livello la consapevolezza che imboccare la strada della transizione ecologica è un imperativo categorico per il modello di sviluppo. Che bisogna accelerare di molto su questa strada, se il mondo vuole almeno provare a evitare le conseguenze più catastrofiche della crisi climatica già ampiamente in atto. E che a tal fine occorre mettere radicalmente in discussione il concetto stesso di crescita economica. Dall’altra, perché l’enorme impatto della crisi sanitaria legata al Covid-19 ha innescato profonde riflessioni intorno alle fondamenta stesse su cui fin qui il modello di sviluppo, la cui in-sostenibilità è ormai acclarata, e soprattutto la sua narrazione si sono retti.

Hanno dunque preso nuovo vigore le richieste di archiviare una volta per tutte l’era della dittatura del PIL. E di passare a una nuova era in cui il “well being”, il benessere, sia finalmente al centro degli obiettivi delle politiche pubbliche in primis e più in generale del modello di sviluppo. Cosa non certo facile, tecnicamente anzi assai complessa a cominciare dalla questione delle metriche da utilizzare – il progetto del Bes-Benessere equo e sostenibile sviluppato dal 2010 da Istat e Cnel è all’avanguardia in tal senso -, per certi versi forse addirittura utopica. Ma che, per i motivi di cui s’è detto, s’ha da fare e possibilmente con rapidità.

Il Club di Roma è l’associazione che nel 1972 pubblicò il famoso libro The Limits to Growth, pietra miliare nella critica alla possibilità di una crescita economica senza fine. Dall’alto della sua indiscussa autorevolezza, proprio il Club di Roma ha lanciato di recente un appello all’Unione europea e in particolare alla Commissione Ue affinché le politiche europee si focalizzino finalmente non più rigidamente sulla crescita del PIL, ma sul benessere delle persone e del pianeta. L’appello prende le mosse da due studi pubblicati dal Club di Roma nella prospettiva della ripresa post-Covid 19, che analizzano come e dove la ripresa dovrebbe essere orientata in Europa. La proposta è di rifondare il paradigma sociale ed economico del modello europeo. E i temi del benessere, insieme a quelli della lotta alla crisi climatica e della promozione di reddito e lavoro equi, sono al centro delle raccomandazioni formulate.

Sempre in ambito europeo, all’inizio di quest’anno è stata addirittura l’Agenzia europea dell’Ambiente a sottolineare in una nota come ci sia la necessità di ripensare cosa veramente s’intende quando si parla di crescita e di progresso, considerando gli impatti che l’aumento della produzione, dei consumi e dell’utilizzo delle risorse naturali ha sugli ecosistemi e sulla salute umana. E che è opportuno guardare a concetti come quelli di decrescita e post-crescita, perché è assai improbabile che una cosa come la cosiddetta “crescita verde” possa realizzarsi soprattutto in un’ottica di lungo periodo.

​Precise raccomandazioni in questo senso, forse ancora più esplicitamente, erano già state rivolte all’Unione europea nella storica Post-Growth Conference organizzata tre anni fa presso il Parlamento europeo. Circa 250 tra scienziati, accademici, politici, attivisti le avevano indicate nella lettera aperta intitolata “Europa, è il momento di porre fine alla dipendenza dalla crescita”. Si proponeva ad esempio di costituire una commissione speciale sui Futuri post-crescita nel Parlamento dell’Ue; di incorporare indicatori alternativi nel quadro macroeconomico dell’UE e dei suoi Stati membri; di trasformare il patto europeo di stabilità e crescita in un patto di stabilità e benessere; di istituire un Ministero per la transizione economica in ogni Stato membro.

Intorno a quella che viene definita well being economy, o economia del benessere – che si è meritata una voce anche sull’enciclopedia Treccani -, si muovono da tempo una grande quantità di organizzazioni e iniziative a livello internazionale. Molte delle principali sono rappresentate all’interno della Wellbeing Economy Alliance (WEALL), che alla fine di ottobre ha lanciato la quinta edizione del suo Happy Planet Index: è un indice che valuta come i vari Paesi del mondo riescono a utilizzare in modo efficace le risorse che hanno a disposizione per far sì che le persone possano avere un’esistenza più felice e più sostenibile.

A fine 2020 WEALL ha pubblicato anche un breve paper in cui si delineano quali sono le caratteristiche che identificano il “well being business“, cioè un modo di concepire l’attività economica che sia finalizzato al miglioramento del benessere sociale e ambientale: si va dalla visione di lungo-termine (chiamata a sostituire quella di breve-termine purtroppo ancora dominante) all’internalizzazione delle esternalità, dall’apertura alla diversità alla produzione circolare, alla valutazione dei collaboratori non come costi ma come asset. Per ciascuna caratteristica sono indicati una serie di esempi di aziende che stanno provando a mettere in pratica la well being economy nel proprio business. Ma affinché la well being economy si trasformi in cambiamento a livello sistemico, sarà indispensabile l’azione dei governi: a questo, sempre nell’ambito di WEALL, è dedicata WEGO (Wellbeing Economy Governments), un’iniziativa che vede governi nazionali e regionali impegnati a mettere in campo politiche innovative per la creazione di un’economia del benessere.

​Fra i Paesi coinvolti in WEGO c’è la Nuova Zelanda. Che nel 2019 ha prodotto quello che viene considerato il primo bilancio nazionale al mondo direttamente ispirato a principi e criteri di well being. Come dire, una legge di bilancio del benessere, che ha dato priorità a voci quali la salute mentale, la povertà infantile, la lotta alla violenza familiare, la qualità dell’aria, il supporto alle popolazioni indigene. Avrà aperto una strada? Lo vedremo in futuro. Speriamo assai prossimo.​​

Giornalista, blogger, storytweeter. Laurea alla Bocconi. Da metà anni ’90 segue il dibattito sui temi di finanza sostenibile, csr, economia sociale. Blogga su mondosri.info. Homo twittante.​​​​