L’Oceano blu del tech riciclo

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L’Oceano blu del tech riciclo

Per molti prodotti, la parola rifiuto non è la più adatta a definire ciò che viene utilizzato e poi scartato. E per i settori tecnologici in particolare, dalle strumentazioni per l’ICT alle auto elettriche, comincia ad essere più calzante parlare di abituale riciclo.

Il settore delle tecnologie non è un oceano blu. Anzi, è un oceano rosso.  Possiamo vedere che è un ambiente altamente concorrenziale ed affollato con la lente offertaci dal bestseller del 2005 Strategia Oceano Blu – vincere senza competere di W. Chan Kim e René Mauborgne.

Quello delle materie prime – terre rare comprese – che ne alimenta la produzione globale è sì, un oceano rosso, perché anch’esso è altamente competitivo. Ma solo in parte, perché per un’altra è intasato da monopoli o quasi. Moltissime di queste materie si trovano infatti concentrate in pochissimi paesi, molti dei quali ne fanno una leva di potere geopolitico, creando dipendenza ed influenza verso i grandi i clienti che ne sono inesorabilmente affamati.

Oceano blu: nuove strade per il riciclo

La corsa globale verso il riciclo di scarti tecnologici, con la spinta fortissima dell’espansione produttiva del settore delle auto elettriche, sta però aprendo la strada a nuovi oceani blu. Ma quali? Ci sono terreni meno competitivi dove c’è spazio per creare mercati nuovi. E lo spazio e la novità di prodotto o processo, in questi mercati, potrebbe dar vita a giocatori talmente potenti da diventare addirittura monopolisti.

Oggi potremmo intuirne le prossime performance leggendo Zero to One: Notes on Startups, or How to Build the Future del 2014, scritto dell’eccentrico fondatore di PayPal nonché storico investitore di Facebook, Peter Thiel. Il suo libro – come dice proprio lui – è un esercizio di pensiero, ed è talmente spinto verso la ricerca di spazi nuovi e liberi per fare impresa, che lo potremmo tranquillamente chiamare Il Nuovo Testamento del monopolista. Dunque, quali sono i mercati oceano blu nel riciclo degli scarti tecnologici?

Cosa sono le filiere di recupero e come funzionano

Sono proprio quelli che presto prenderanno forma sotto forma di filiere di recupero di questi prossimi scarti generati dalle tecnologie. Il mondo produttivo sta infatti dando vita ad infinite miniere di rifiuti derivanti da molte nuove attività e molti nuovi prodotti, come:

  • le auto elettriche ed i relativi componenti;
  • il settore delle energie rinnovabili e della sostenibilità (cleantech);
  • le batterie elettriche;
  • gli schermi video, le lampade e le lampadine;
  • gli apparecchi per lo scambio termico;
  • i grandi apparecchi elettronici.

Dover recuperare e rimettere nel ciclo produttivo la maggior parte delle componenti di questi prodotti creerà quindi gli oceani blu per chi saprà ritagliarsi ruoli nuovi.

Infatti, nell’immaginaria futura filiera del recupero tech ci saranno:

  • consumatori che producono scarti e produttori che ne fanno altrettanti;
  • raccoglitori ed accumulatori;
  • trasformatori, negoziatori, rivenditori;
  • e poi anche distributori e trasportatori.

Ognuna di queste attività potrà creare spazi di business nuovi, anche e soprattutto in funzione del livello di disintermediazione oppure di futura concentrazione a cui il settore darà sfogo.

Tutti i numeri del Tech-riciclo

L’ampiezza di questi futuri mercati non è del tutto comprensibile, data l’assenza di numeri certi e la sola presenza di dati previsionali. Basti però considerare che solo il 90% dei materiali oggi realizzati viene riciclato. Il percorso verso la transizione sostenibile e quindi anche e soprattutto verso i motori elettrici è però così pieno di spinte, da lasciar pensare al futuro crearsi di nuovi agglomerati di business promettenti, proprio intorno al nuovo comparto del tech-riciclo.

Ed è ugualmente probabile che l’espandersi di questi mercati – insieme alle opportunità che darà – porterà anche nuove forme di rischio, del genere che abbiamo già toccato con mano durante l’epoca Covid-19:

  • la creazione di dipendenza dai nuovi protagonisti;
  • l’incertezza degli approvvigionamenti/sulle nuove funzioni di filiera;
  • la frenesia alimentare per investimenti e finanziamenti per l’espansione in corso.

La possibilità di inserirsi nel settore dipenderà molto – come accade con le materie prime critiche, o le terre rare – dalla capacità di:

  • monitorare e misurare flussi, quantità, attività di materiali così come di nuovi e vecchi protagonisti di settore;
  • generare e controllare la capacità nazionale di settore;
  • eccellere nella gestione attenta del fabbisogno.

Questo nuovo oceano blu presenta però una bizzarra novità: per la prima volta si tratta di un settore le cui mosse strategiche saranno molto influenzate da stimoli statali, diretti o indiretti. La tedesca BOSCH, per esempio, ha automatizzato a Magdeburgo il primo impianto di riciclo e smaltimento di batterie al litio. Sarà il primo in Europa in cui verranno accumulate, scaricate, testate e triturate in modo automatico. Per replicare un’iniziativa così è decisivo misurare la quantità del materiale riciclabile, il tempo necessario a farlo, le capacità degli eventuali impianti (per quello di Magdeburgo sarà di 15.000 tonnellate di materiali da batteria all’anno).

E sarà altrettanto importante migliorare il tasso di riciclo dei prodotti del proprio Paese e l’individuazione dei sottoprodotti che possono essere generati ed alimentati. Ma è difficile credere che simili scelte arrivino solo dal genio imprenditoriale.

​Antonio Belloni è nato nel 1979. È Coordinatore del Centro Studi Imprese Territorio, consulente senior di direzione per Confartigianato Artser, e collabora con la casa editrice di saggistica Ayros. Scrive d'impresa e management su testate online e cartacee, ed ha pubblicato Esportare l'Italia. Virtù o necessità? (2012, Guerini Editori), Food Economy, l'Italia e le strade infinite del cibo tra società e consumi (2014, Marsilio) e Uberization, il potere globale della disintermediazione (2017, Egea).