Cose di cui non possiamo fare a meno

Society 3.0


Cose di cui non possiamo fare a meno

Sono indispensabili, invisibili, strategici. Sono i prodotti critici che hanno un ruolo chiave nell’economia globale e dei quali guerra, inflazione e nuovi utilizzi hanno reso difficile il reperimento.

C’è un grappolo di cose che diamo per scontate. Ma hanno un ruolo chiave nell’economia globale, ed è giusto chiamarle cose, perché si tratta pur sempre di elementi fisici. Non possiamo proprio farne a meno, anche se sono sempre nascoste tra le nostre abitudini quotidiane. Ed ora vengono alla luce grazie ai conflitti, l’inflazione e i loro nuovi utilizzi, che ne rendono difficili la produzione, il reperimento e l’accaparramento.

Quelle cose che sono considerate invisibili

Un diamante, per esempio, è un elemento fisico. Ma è molto visibile e forse deve grandissima parte del suo valore proprio al dono che fa agli occhi: anche per chi lo tiene in un cassetto come investimento, prima o poi deve sbocciare alla luce ed esprimersi in favore della nostra vista.

Anche le materie prime sono doni, dice lo scrittore francese Erik Orsenna. Doni che ci fa la terra, ma sono doni nascosti e doni invisibili. E per l’economia globale sono molto più importanti di un diamante, anche se sono nascosti alla nostra vista.

Sono queste piccole cose (invisibili) che fanno il nostro mondo. Ed oggi han cominciato a far molto rumore.

  • Potrebbe essere una manciata di litio concentrata in una batteria del nostro smartphone.
  • Potrebbe essere il gas che fa funzionare la nostra caldaia, o un magnete per un motore elettrico.
  • Oppure il rame per i sistemi di segnalazione e alimentazione elettrica del treno che prendiamo tutti i giorni.
  • quel poco platino utilizzato dal nostro dentista o che sta nell’hard disk del nostro Pc portatile.
  • Spesso piccole, son quasi sempre cose invisibili.

Ma come mai sono anche inconsuete e dimenticate? Forse per una ragione ontologica, quindi filosofica: per l’uso che ne facciamo, una batteria al litio, per il nostro cervello, è sempre e solo una batteria, perché quella è la funzione che svolge. Diamo quindi valore al contenitore, alla carrozzeria, all’interfaccia, ma ci risulta molto difficile attribuire un valore oggettivo al contenuto. Perciò molti dei prodotti oggi indispensabili all’economia sono nascosti dentro alle cose che utilizziamo.

E per questo sono smaltiti dal nostro linguaggio come cose secondarie. Che invece risultano avere un ruolo primario, soprattutto nell’economia e per il loro specifico funzionamento. Sono infatti moltissimi i prodotti di uso comune che diventano importanti perché è importante una loro precisa componente, benché ci sia sconosciuta.

Quelle cose che sono piccole e strategiche

Dicevamo che molte di queste cose indispensabili sono invisibili.  Ed altrettante hanno anche dimensioni molto ridotte e son dunque ben nascoste dentro le cose che usiamo. Questo essere piccole e nascoste ce ne fa mancare il ricordo quando le utilizziamo, un ricordo oggi suscitato improvvisamente perché mancano, perché costano, perché generano conflitti, rincorse e rialzi dei prezzi.

Il solo fatto di essere componenti ne riduce le dimensioni concettuali: c’è sempre un fuori, un sopra, un intorno di più grande. Ed è in questo insieme esterno che si scioglie e disperde la loro importanza ai nostri occhi. Sono dunque strategiche solo quando le apriamo e spacchettiamo il concetto di come sono fatte le cose di ogni giorno. Finché non ci fermiamo ad aprirle trovandoci pezzi cinesi, componenti americane, e parti europee, le cose che usiamo restano oggetti inconsapevoli, confinati alla loro funzione.

Quelle cose invisibili e strategiche diventate critiche

Misurati sulla bilancia delle geopolitica questi oggetti, questi materiali abitualmente misurati dall’economia, si trovano un nuovo appellativo.

È l’aggettivo inglese critical, che significherebbe decisivo, importante, cruciale. Ma se tentiamo la traduzione italiana con critico – quindi prodotti critici – funziona forse meglio perché in Italia può essere connesso alla parola crisi.

Rame e microchip, litio e cobalto e terre rare in generale, infatti, non sono sempre critici, ma lo diventano quando lo diventa il contesto:

  • quando le filiere produttive rallentano;
  • quando i prezzi estrattivi o d’acquisto si alzano;
  • quando un produttore ne applica l’embargo…

Sono critici quando diventano pochi perché se ne calcola il vicino esaurimento, quando diventano costosi, o quando il luogo della loro produzione ha un problema, oppure quando l’uso che se ne fa diventa conteso, pericoloso, limitato.

Alcune terre rare, per esempio, potrebbero diventare un po’ meno critiche con il ritrovamento di nuovi giacimenti, come spera l’Europa con quello individuato nel 2022 in Svezia nell’area di Kiruna.

Altri prodotti potrebbero ridurre la loro criticità grazie a:

  • nuove scoperte scientifiche;
  • serrate corse all’accaparramento con accordi tra paesi;
  • miglioramenti in efficienza che rendono scalabili estrazione, raffinazione, produzione e ne riducono la dispersione;
  • attenta gestione delle riserve strategiche;
  • riapertura di siti di estrazione (come potrebbe presto accadere alle miniere in Europa);
  • investimenti pubblici o privati condivisi, come l’European Chips Act.

Invisibilità, criticità e strategicità sono quindi condizioni momentanee e mutevoli. Oggi stressate da un’economia globale che cambia velocemente, in cui ogni Paese continua a far leva su ciò che ha, che produce, che controlla, per attaccare, per difendersi, per sopravvivere.

​Antonio Belloni è nato nel 1979. È Coordinatore del Centro Studi Imprese Territorio, consulente senior di direzione per Confartigianato Artser, e collabora con la casa editrice di saggistica Ayros. Scrive d'impresa e management su testate online e cartacee, ed ha pubblicato Esportare l'Italia. Virtù o necessità? (2012, Guerini Editori), Food Economy, l'Italia e le strade infinite del cibo tra società e consumi (2014, Marsilio) e Uberization, il potere globale della disintermediazione (2017, Egea).