Sopravvivere all’informazione
Persino gli esseri unicellulari come l’ameba o una muffa, nel loro piccolo, sono attrezzati per esplorare l’ambiente, fiutarne i pericoli e poi scambiarsi informazioni. Figuria
Qual è il segreto del successo trasversale di quelli che secondo alcuni critici letterari sono da considerare i feuilletton del Ventunesimo secolo?
Il significato letterale di manga, secondo una etimologia che riporta indietro al Diciottesimo secolo, è “immagine derisoria”. Oggi la parola rischia di diventare un sinonimo di fumetto in generale, non soltanto di quello giapponese in particolare. Il successo stratosferico dei manga – e degli anime, i prodotti di animazione che chi è cresciuto negli anni Settanta-Ottanta di Goldrake, Mazinga, Capitan Harlock, Lady Oscar, Lupin III e Ken il guerriero forse chiama ancora ingenuamente “cartoni animati giapponesi” – è uno degli aspetti culturali più importanti e significativi degli ultimi decenni. Anche in Italia. Un successo che nel nostro Paese (che rispetto ad altri mercati occidentali si è dimostrato subito molto ricettivo nei confronti, appunto, degli anime citati, inamovibili nei palinsesti delle tv commerciali degli scorsi decenni) ha radici profonde. Già alla fine degli anni Novanta una serie leggendaria come Dragon Ball di Akira Toriyama vendeva più di centomila copie a numero, e il lavoro pionieristico di case editrici come Granata Press e Star Comics e di riviste come Mangazine e Kappa Magazine ha preparato nel migliore dei modi un terreno poi rivelatosi fertilissimo, oggi battuto con profitto anche da grandi gruppi editoriali che con le loro sezioni “comics” cavalcano il successo del genere.
Il vero boom tuttavia si è verificato, numeri alla mano, nel periodo immediatamente post-pandemico. Gli indicatori sono le classifiche di vendita del mercato librario (attenzione: non quello dei fumetti), con volumi di saghe come One Piece, Demon Slayer, Jujutsu Kaisen, Naruto o le ristampe di classici come Slam Dunk e dello stesso Dragon Ball che finiscono automaticamente ai primi posti tra i best seller. Stiamo quindi assistendo a un travaso dal settore strettamente fumettistico a quello della narrativa tout court, conseguenza anche del passaggio di consegne, come punto vendita deputato, dalle sempre più rare e sperdute edicole alle librerie. Chi è abituato a frequentare queste ultime se ne sarà accorto da tempo: intere pareti e sezioni sempre più ampie sono occupate dai manga, quasi sempre con le serie complete. Non è certo una esagerazione sostenere che una parte determinante del fatturato dei bookstore, indipendenti o delle grandi catene, dipenda ormai proprio dai manga. E non ci si riferisce solo agli albi di per sé: in diversi casi le serie più famose diventano veri e propri franchise, con tutto un indotto di dvd, giochi, pupazzi e gadget di varia natura. Oltre, ovviamente, alle trasposizioni cinematografiche e televisive.
Nella patria di elezione, il Giappone, quella di manga e anime è una industria gigantesca, che funziona attraverso moduli e codici rigorosissimi, molto diversi dalle abitudini del fumetto occidentale. Il mix di autorialità, organizzazione in team strutturati e ritmi da catena di montaggio ha trasformato nel corso dei decenni un prodotto popolare sviluppatosi nell’immediato dopoguerra in un fenomeno globale con un impatto enorme sia sul piano culturale che economico, fino a diventare una voce tutt’altro che irrilevante nel prodotto interno lordo del paese asiatico. Nel 2020 il valore “export” dei manga ha superato la cifra record di 10 miliardi di dollari. E nel prossimo futuro non si intravedono segnali di saturazione del mercato, anzi: è stato calcolato che fino al 2030 ci sarà un ulteriore incremento che sfiora il 20% annuo.
Al di là dei numeri, è innegabile l’influenza sempre più pervasiva sull’immaginario e sulla cultura occidentali. Estetica, atmosfere, tecniche di storytelling sono state ampiamente adottate in film, serie tv, narrativa, moda, costumi giovanili (il fenomeno dei cosplayer). E, naturalmente, nel mondo dei fumetti: si pensi, per rimanere in Italia, a quanto lo stile di uno Zerocalcare sia debitore dei maestri nipponici. Film di successo come Matrix e Inception sono solo due degli esempi più celebri di prodotti di intrattenimento diventati di culto sui quali manga e anime hanno avuto un influsso evidente. Il dinamismo delle sequenze di azione, la complessità dei personaggi, l’intrico di trame e sottotrame, la naturale propensione alla serialità sono solo alcuni dei tratti caratteristici dei manga ad essersi imposti nell’industria dell’entertainment americana e europea.
Ci si può chiedere: qual è il segreto di un successo così trasversale di quelli che secondo alcuni critici letterari sono da considerare i “feuilletton del Ventunesimo secolo”? Le risposte sono molteplici. Innanzitutto, la qualità grafica e narrativa delle storie raccontate, e subito dopo la loro diversità. Le ambientazioni vanno dal classico setting scolastico-adolescenziale al mondo dello sport, dagli universi fantastici al realismo della quotidianità, senza dimenticare le serie collocate temporalmente in epoche più o meno antiche nella storia del Giappone rivisitate con occhi moderni. La varietà delle ambientazioni riflette quella dei temi trattati, che uniscono l’universalità all’attenzione per questioni sociali specifiche, spesso trattate con una profondità che non si tende ad associare al fumetto (semmai alle cosiddette graphic novel): l’amore, l’amicizia, i traumi, il rapporto con la famiglia e le gerarchie sociali, la difficoltà di crescere e quella di adattarsi alle pressioni del mondo, la perseveranza. Ma anche tematiche delicate come il fenomeno degli hikikomori (i giovani che si ritirano volontariamente da qualunque interazione con il mondo) o quello del karoshi, cioè le morti da sovraccarico lavorativo che soprattutto in Giappone sono un tema drammatico.
Gli intrecci sempre molto densi e articolati delle storie riescono a offrire contemporaneamente una via di fuga fantasiosa così come un approfondimento e una interpretazione della realtà in molti casi di sorprendente finezza psicologica. Un esempio tra i tanti è Neon Genesis Evangelion di Hideaki Anno, un misto di azione e riflessioni filosofiche che affrontano il tema della crisi (psicologica, sociale, politica) attraverso le vicissitudini di personaggi tutt’altro che bidimensionali. Crisi, che, come si è detto, non è minimamente all’orizzonte per il mercato di manga e anime. Entrambe due forme d’arte contemporanea e in movimento, capaci di riflettere la complessità della commedia umana in termini comprensibili a chiunque a prescindere da età e provenienza geografica, così come di influenzare in modo diretto le tendenze culturali in senso lato di un mondo, quello sì, in crisi. Niente male, per quelli che molti considerano ancora fumetti strani che si leggono al contrario.