Food economy: perché è un’emergenza

Society 3.0


Food economy: perché è un’emergenza

Non c’è solo la guerra Russia-Ucraina. La convergenza di fattori di crisi sul settore alimentare globale può diventare la sfida più grande dei prossimi anni.

In questi mesi molti fattori negativi convergono sul grande sistema globale del cibo. Alcuni ne rendono difficilissima la gestione nel presente, ed altri complessa e quasi impraticabile la prevedibilità del futuro. Non era immaginabile che a rendere difficili le attività di semina e raccolto, allevamento e produzione, distribuzione e consumo, oltre al clima, alla scarsità di materie prime, alla crescita veloce dei prezzi, arrivasse una guerra.
Ed è una guerra che colpisce forte il sistema agricolo perché si sta svolgendo in uno dei luoghi più importanti per la fornitura di cibo al mondo. Russia e Ucraina, infatti, detengono il 28% dell’export globale di frumento, e solo l’Ucraina il 14% di grano.

Il territorio ormai comunemente definito granaio del mondo, a causa del blocco del porto ucraino di Odessa, non ha più legami commerciali internazionali. Ma perché, se questa guerra non li tocca, i prezzi del riso e dei semi di soia sono saliti del 50% nel 2021? Perché il conflitto ucraino è solo uno degli elementi combinati che stanno influenzando l’andamento della food economy globale.

Acqua e clima

A comporre questa combinazione potenzialmente letale ci sono anche ragioni lunghe, che partono da lontano. La prima è l’acqua, inclusa nel più ampio problema del clima, un elemento decisivo nella gestione del sistema globale del cibo. Prendiamo come un esempio la siccità recente sulla costa ovest americana, che è una delle più grandi limitazioni alla produttività agricola USA. Ci sono poi il caldo dell’anno scorso in Canada, o l’aridità della scorsa estate francese a stravolgere la consueta coltivazione di semola, indispensabile alla produzione della pasta. Il problema dell’acqua si presenta però anche all’inverso: nel 2021 alcune province settentrionali della Cina hanno subito piogge così intense da causare la perdita di raccolti, con ripercussioni sui prezzi del cibo per miliardi di dollari.

Eventi estremi come questi, che le previsioni annunciano come sempre più frequenti, influiscono sulle dinamiche dei prezzi per il consumatore, date dalla scarsità di cibo, ed anche sui risultati economici di coltivatori, produttori, distributori.
Ma c’è un’altra tipologia di scarsità ad aumentare i problemi internazionali del settore.

Scarsità di risorse e prezzi

Partita poco tempo fa con la pandemia, e persistente in questi mesi, c’è infatti la scarsità di risorse connesse a tutte le attività produttive, e quindi anche a quelle agroalimentari.
È difficile stabilire se sia la causa del disordine delle filiere produttive e logistiche o la sua diretta conseguenza. In ogni caso, l’irreperibilità e i ritardi nelle consegne, nei trasporti – già solo per il sistema globale del food – riguardano:

  • i carburanti (dal gasolio al gas naturale);
  • le attrezzature ed i metalli indispensabili alla loro produzione (dall’acciaio al rame);
  • i macchinari per la produzione;
  • gli imballaggi per la distribuzione.

Tutto ciò ha legami diretti con i prezzi. Ed anche qui è difficile riconoscere l’uovo dalla gallina.

In ogni caso, osservandola nel suo complesso vediamo un’inflazione generalizzata, ma tra le pieghe del sistema food possiamo definirla con un aumento dei prezzi specifici di:

–         prodotti finiti sugli scaffali (pasta, pane, riso…);

–         semilavorati per la produzione alimentare (farine, salse, etc…);

–         risorse energetiche (elettricità, gas…)

Tra questi ci sono anche elementi ignoti al consumatore, ma strategici per tutto la food economy globale.

Fertilizzanti

Azoto, fosforo e potassio sono i più importanti fertilizzanti inorganici al mondo. Ormai utilizzati con frequenza, costituiscono un mercato globale legato al food di circa 185 miliardi di dollari, di cui 55 miliardi esportati per essere inviati a paesi che non li producono. Russia e Bielorussia sono produttori importanti, la cui assenza influisce – come oggi – sui prezzi. Ma anche se i paesi importatori sono ormai piuttosto organizzati nella diversificazione, farne mancare grosse fette sul mercato a causa del conflitto ucraino produce conseguenze molto negative.

I fertilizzanti sono infatti una commodity tra le più importanti del settore, tanto che incidono in maniera consistente sul prezzo finale con una percentuale di costo di produzione molto elevata. Non tutti i terreni ne sono naturalmente dotati, per questo sono distribuiti e destinati alla resa delle piante ed alla loro crescita robusta e soprattutto veloce, così da garantire un’alta redditività ai coltivatori.

Il loro apporto nel ciclo agroalimentare è diventato quindi imprescindibile, tanto da essere uno degli elementi chiave per il sostegno di tutta la catena. Oggi, la loro crescita del 50% è un ulteriore elemento di pesantezza per un sistema globale già in grossa difficoltà, di cui non sappiamo la durata ma possiamo intuirne l’esito, soprattutto per i paesi più deboli.

Dietro l’angolo ci sono infatti flussi migratori, rivolte sociali e rivoluzioni che hanno già dimostrato – come le Primavere Arabe – di avere la fame come elemento scatenante.

​Antonio Belloni è nato nel 1979. È Coordinatore del Centro Studi Imprese Territorio, consulente senior di direzione per Confartigianato Artser, e collabora con la casa editrice di saggistica Ayros. Scrive d'impresa e management su testate online e cartacee, ed ha pubblicato Esportare l'Italia. Virtù o necessità? (2012, Guerini Editori), Food Economy, l'Italia e le strade infinite del cibo tra società e consumi (2014, Marsilio) e Uberization, il potere globale della disintermediazione (2017, Egea).