Se il consumatore va in letargo

Society 3.0


Se il consumatore va in letargo

Rincari di materie prime, logistica, energia, e anche della transizione verso un’economia sostenibile: il consumatore riuscirà a sopportare tutto questo peso?

Le imprese producono e vendono, il consumatore compra, e il Paese cresce. Dopo anni, siamo entrati finalmente in un’epica positiva, quella del lasciateci lavorare, è ora di correre! Eppure, neanche troppo dietro l’angolo, ci sono i rincari d​ei prezzi dovuti al rimbalzo post pandemia, alla scarsità di materie prime, ai ritardi della logistica e all’intasamento dei trasporti. E forse c’è anche il peso di una transizione verso l’economia sostenibile che non si fa da sola, ma ha bisogno di essere accompagnata con progetti, investimenti, e costi. Quindi, se tutto questo costa, dobbiamo fare un esercizio intellettuale molto schietto: chi potrebbe finire per pagare il sovrappiù che sicuramente accumuleremo nei prossimi mesi?

L’inflazione comincia a fare paura al consumatore

L’ipotesi più drastica, ma anche più probabile, è che pagherà, e forse già sta pagando, il consumatore.
Sembra incredibile, perché solo a settembre l’ISTAT aveva rilevato la loro fiducia ad un livello mai così alto da 23 anni; e secondo la società di consulenza McKinsey il loro ottimismo, da febbraio a ottobre 2021, è raddoppiato. I consumi salgono, l’eCommerce accelera, e tutto va bene…
Però i prezzi aumentano, e l’inflazione non si muove solo in Italia, tanto che in Usa ad ottobre sono aumentati dello 0,9% (il doppio del previsto) componendo un aumento annuo del 6,2%, mentre in Germania dello 0,5% mensile per un 4,5% annuo. La prima ipotesi è quindi che un taglio dei consumi possa arrivare per colpa dei prezzi, perché vivere costerà e sta già costando di più.

Consumatore : chi sostiene i costi del COVID-19 

Se continuiamo ad esercitare un pensiero alternativo come tara al grande ottimismo che circola in questi mesi, è inevitabile pensare al Covid. La pandemia ha bloccato in un attimo domanda ed offerta, e i vaccini le hanno sbloccate altrettanto di colpo, infuocando una corsa a consumi istintivi e immediati.
Le imprese hanno fatto scorte – di materie prime e semilavorati, e di prodotti da vendere – per paura di restare con i magazzini vuoti come durante il lockdown, ed hanno anche accumulato ordini per molti mesi a venire. Benissimo! Salvo che in poche settimane le filiere si sono intasate, hanno affastellato code e ritardi nella logistica e nei trasporti in un’apoteosi di container, navi e tir che hanno visto scarseggiare i carburanti e gli spazi di cui disporre tra scali e porti.

Una larghissima parte della crescita dei prezzi è infatti dovuta a questo insieme di fenomeni contemporanei, di cui il consumatore è stato anche la miccia. Sembrerebbe quindi strano, ma un prossimo letargo del consumatore costretto a comprare meno, potrebbe risultare il cortocircuito scatenato proprio dalla loro reazione impulsiva al liberi tutti post pandemico.

Chi paga i costi della sostenibilità 

C’è un terzo elemento a portare il suo contributo cospicuo alla crescita dei prezzi. Ed è la transizione verso un’economia sostenibile. Una rivoluzione non certo improvvisa, ma programmata e voluta, e pur sempre una rivoluzione.
Ed ogni rivoluzione ha un prezzo. Quella della sostenibilità, che prevede fonti alternative, conversione verso i motori elettrici, riciclo, riuso, riduzione dell’impatto ecologico, e altri mille interventi, ha un prezzo concreto e tangibile su batterie, metalli conduttori, semiconduttori, trasformazioni di linee produttive, prodotti e materiali che devono diventare sostenibili. Se deve andare nella direzione di consumare meglio, e non più drasticamente di consumare meno, sarà una rivoluzione lunga e costosa. E anche qui saranno i consumatori finali ad assorbirla, tutta o in grossa parte, pagando un prezzo maggiore per ciò che compreranno.

Cosa può cambiare

Molti di questi fenomeni – soprattutto la scelta della sostenibilità – sono innescati dai consumatori, che dovranno quindi farsene carico. Inoltre, mentre produttori e distributori tentano più o meno responsabilmente di scaricare tutto su di loro, i consumatori stanno anche vivendo un momento di cambiamenti di vasta scala in termini di abitudini. Potranno certamente andare in letargo, ma anche replicare alcuni gli esperimenti fatti in questi mesi:

  • dividersi, tra fasce di età, reagendo in modo diverso all’aumento dei prezzi;
  • risparmiare o fare arbitraggio tra prodotti necessari e superflui;
  • anticipare l’acquisto dei prodotti che temono poter tornare a scarseggiare;
  • posticiparlo per i prodotti non indispensabili;
  • dosare il digitale con il fisico a seconda delle necessità.

In fondo si tratta, con prudenza, di setacciare l’ottimismo tanto atteso e di esorcizzare i rischi dietro l’angolo, con tutti i filtri infiniti della realtà.

​Antonio Belloni è nato nel 1979. È Coordinatore del Centro Studi Imprese Territorio, consulente senior di direzione per Confartigianato Artser, e collabora con la casa editrice di saggistica Ayros. Scrive d'impresa e management su testate online e cartacee, ed ha pubblicato Esportare l'Italia. Virtù o necessità? (2012, Guerini Editori), Food Economy, l'Italia e le strade infinite del cibo tra società e consumi (2014, Marsilio) e Uberization, il potere globale della disintermediazione (2017, Egea).