Sfidare lo stress da acqua

Environment


Sfidare lo stress da acqua

La scarsità di risorse idriche che il pianeta sta attraversando non può essere superata solo con soluzioni tecniche. Perché occorre un approccio politico di sistema.

La sfida con l’acqua è una scena ricorrente nella storia dell’uomo. Così come, più in grande, la sfida con la natura. Ed eccoci ancora una volta a doverla gestire. Da circa 3.8 miliardi di anni l’acqua che circola sul pianeta è sempre la stessa. Gestirla, poca o tanta, dolce o salata, ferma o corrente, potabile o no, è sempre un affare complesso.
Il pianeta e la sua economia sta attraversando un forte stress da risorse, in particolare energetiche e produttive.  Ma uno dei sistemi oggi più sofferenti è proprio quello idrico. Da una parte per la pressione che subisce da quattro elementi:

  • la crescita demografica,
  • lo sviluppo economico,
  • il cambiamento climatico,
  • la veloce urbanizzazione.

Proprio per l’influenza che l’acqua esercita sul pianeta, essendo un vettore di altri elementi (vd. l’inquinamento) da una zona ad un’altra, per esempio, ed anche una causa di possibili guai. Gestirla sarà una delle grandi sfide di questo tempo, e vedremo come.

Un eterno disequilibrio

Intanto parliamo di stress perché, secondol’ONU, se un territorio preleva più del 25% della sua acqua dolce “rinnovabile” allora lo si può considerare in uno stato di stress idrico. E come possiamo qualificare questo stato di stress? Nel suo complesso possiamo definirlo come un elevato disequilibrio. Per esempio di tipo:

  • geografico: c’è tanta acqua dove non serve, e ce n’è poca dove invece servirebbe;
  • temporale: c’è quando non serve, e viceversa.

Ragionando di disequilibri, consideriamo, per esempio, che:

  • entro una ventina d’anni la domanda di acqua supererà l’offerta disponibile del 40%,
  • già oggi la siccità colpisce circa 1,5 miliardi di persone.

Ci sono quindi gli eccessi oppure le carenze, rappresentati da alluvioni, inondazioni, allagamenti, oppure da scarsità e possibili esaurimenti delle falde acquifere…

La gestione è tecnica

Ragioniamo ora sulle possibili soluzioni. Per prima cosa va immediatamente chiarito che lo schema mentale attuale, rispetto al problema, è di due tipi: tecnico e ideologico. E sono entrambi più che comprensibili e giustificabili. Vedremo però che serve un passo in più.
Ma diciamo subito che l’approccio ideologico fa parte del giusto ragionare sul clima, mettere la sua difesa nella costituzione e negli ordinamenti che regolano le scelte e le priorità delle nostre istituzioni, e costruire giustamente un grande discorso pubblico sul risparmio di risorse.

Quello tecnico (tecnologico e/o scientifico) è invece l’approccio più consueto: l’uomo si è sempre servito di soluzioni, strumenti e infrastrutture per spostare l’acqua da dove c’è a dove serve, per esempio, oppure a limitarne l’afflusso oppure l’eccesso. Tutto questo può essere rappresentato da una tubatura nel sottosuolo di una grande metropoli, da un argine a fianco di un fiume che ogni tanto si lascia andare, da una diga cinese con finalità energetiche, da un vecchissimo acquedotto romano, oppure da un dosatore o un semplice rubinetto, ma anche da un modernissimo impianto di dissalazione installato in qualche caldissimo posto della regione mediorientale.

Da sempre l’uomo si serve delle proprie idee per spostare l’acqua, gestirla, accumularla, orientarne il flusso artificialmente, evitarne la dispersione, estrarla e canalizzarla, ed anche sfruttarla o inviarla alle comunità più vulnerabili. Ma anche per sfruttare con finalità idriche gli strumenti e le infrastrutture che ha già a disposizione e magari utilizza per altri scopi, come potrebbe accadere negli Stati Uniti con il sistema di tubature della Louisiana, oggi usate per petrolio e gas e domani chissà…

Eterno adattamento

La forza impiegata nell’affrontare lo stress idrico si esprime quindi in due modi. Uno teorico e l’altro molto pratico. Entrambi utilissimi. Ma torniamo indietro per un attimo.

Cos’è davvero l’acqua? È una risorsa, un bene primario? È un prodotto, oppure un genere di consumo? O è una necessità, un bisogno, o addirittura un diritto? Potremmo semplicemente pensare che sia un elemento che ci compone e che, con molta probabilità quella che beviamo oggi sia passata attraverso il rene di un dinosauro. L’acqua è sicuramente tutte queste cose insieme.

Ma è anche un elemento di contesto che eternamente l’uomo cerca di trasformare e controllare. E lo spiega bene Giorgio Boccaletti nel suo libro Water a biography. Perché da sempre l’uomo ha cercato di controllare l’acqua, così come la natura. E per farlo ha compiuto e compie sforzi tecnici e infrastrutturali titanici, con uno spirito di continuo adattamento, quasi una danza, dove ad un passo avanti dell’uno corrisponde un passo indietro dell’altra e viceversa. Ma con la consapevolezza che serve anche adesso, secondo cui l’acqua c’entra con la democrazia, quindi con le tasse, il diritto ed i diritti, ma è anche un elemento politico e geopolitico, che ha a che fare con la sovranità, il potere e la forza.

​Antonio Belloni è nato nel 1979. È Coordinatore del Centro Studi Imprese Territorio, consulente senior di direzione per Confartigianato Artser, e collabora con la casa editrice di saggistica Ayros. Scrive d'impresa e management su testate online e cartacee, ed ha pubblicato Esportare l'Italia. Virtù o necessità? (2012, Guerini Editori), Food Economy, l'Italia e le strade infinite del cibo tra società e consumi (2014, Marsilio) e Uberization, il potere globale della disintermediazione (2017, Egea).