Se l’algoritmo definisce l’identità

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Se l’algoritmo definisce l’identità

La funzione “Per te” dei social media sta sostituendo l’esperienza diretta e le interazioni personali con i coetanei. Così il rapporto degli adolescenti con i social media crea una bolla pericolosa.

Nell’era dei social media, molti adolescenti sono costantemente esposti a un flusso di contenuti personalizzati. Questa realtà accomuna più piattaforme, e di conseguenza più target, ma a tracciare il sentiero è TikTok, il social per eccellenza delle nuove generazioni. O per meglio dire, come ci tiene a precisare la stessa Bytedance, azienda proprietaria di TikTok, piattaforma di intrattenimento. Queste piazze digitali presentano regolarmente video e post etichettati come “Per te”, suggerendo che ciò che appare sullo schermo sia fatto su misura, come se fosse uno specchio digitale della persona che lo guarda. L’algoritmo studia ogni singola interazione, tempo di visione del contenuto, e reazione, per costruire una sé digitale apparentemente molto simile a quello reale. Non a caso, uno dei commenti più in voga su TikTok è proprio “Io” e da “Per Te” a “Sei Te” è un attimo, per sottolineare quanto i contenuti siano relatable, ossia permettano agli utenti di immedesimarcisi. Ma quanto è affidabile questo riflesso? E, soprattutto, come percepiscono gli adolescenti questi contenuti apparentemente creati “per loro”?

Una cornice sul mondo

Gli adolescenti attraversano una fase della vita in cui l’identità è in continua evoluzione. Identità che in passato si costruiva attraverso esperienze dirette, interazioni con coetanei e riflessioni personali. Oggi, invece, gli algoritmi giocano un ruolo sempre più importante in questo processo. Sono progettati per mostrare contenuti che rispecchiano gli interessi e le abitudini degli utenti, creando una sorta di cornice sul mondo. Questa tendenza tecnicamente definita filter bubble porta, nel lungo termine, a gravi conseguenze. Basta leggere i numerosi studi sociologici sulle echo chamber, vale a dire ambienti digitali in cui gli utenti ricevono solo informazioni e contenuti che confermano le loro opinioni esistenti, indebolendo notevolmente lo spirito critico e la capacità di confrontarsi con chi la pensa in maniera diversa.

Molti giovani non sono consapevoli a pieno di queste dinamiche, e trovano gratificante riconoscersi nei contenuti che gli algoritmi selezionano per loro. Nel recente studio di The Conversation, si è scoperto che gli adolescenti di età compresa tra i 13 e i 17 anni apprezzano il fatto che i social media siano in grado di mostrare una rappresentazione accurata di chi sono.

Le ombre del riflesso

Tuttavia, non tutto ciò che gli algoritmi mostrano è sempre gradito o coerente con l’immagine di sé degli adolescenti. Quando il contenuto non corrisponde a ciò che pensano di essere, tendono a ignorarlo, attribuendo le discrepanze a errori tecnici o a interazioni accidentali del passato. Questo meccanismo di difesa permette loro di mantenere intatta la propria immagine di sé, evitando di mettere in discussione chi sono davvero. Proprio in questo momento la filter bubble prima citata si trasforma in una echo chamber.

Se da un lato gli adolescenti sembrano controllare ciò che vedono sui social media, dall’altro i ricercatori avvertono che questo equilibrio è più fragile di quanto sembri. Gli algoritmi non solo mostrano ciò che piace agli utenti, ma possono anche influenzare la loro percezione di sé e contribuire a problemi di salute mentale. La convinzione di poter semplicemente ignorare i contenuti che non piacciono potrebbe non essere sufficiente a proteggere la loro identità da queste conseguenze.

La strada verso il futuro

Per affrontare queste sfide, le soluzioni più realistiche ed efficaci sono due:

  1. l’introduzione di un’educazione digitale, fin dalle scuole primarie. Perché continuare a ignorare il problema o pretendere che le nuove generazioni acquisiscano da sole questa consapevolezza è utopistico;
  2. coinvolgere gli adolescenti nel dibattito sugli algoritmi e sul loro impatto con un approccio più leggero e coinvolgente, sulle stesse piattaforme che loro utilizzano quotidianamente. Non a caso ci si può spesso imbattere in contenuti in cui le nuove generazioni esprimono la necessità di trovare delle soluzioni.

Mentre il mondo digitale continua a evolversi, è fondamentale dunque comprendere e affrontare il rapporto unico che gli adolescenti hanno con gli algoritmi dei social media. Agire in questo modo sulla ormai datata Generazione Z potrebbe non essere più possibile, ma includere la Generazione Alpha può davvero portare a un nuovo inizio, non solo dell’alfabeto, per crescere mantenendo un senso di identità sano e autentico.

Creator, imprenditore e specialista in comunicazione digitale. Ogni sabato sera, su La7, nel programma “In altre parole” di Massimo Gramellini fa il resoconto social dell’attualità. Ha iniziato la sua carriera sul web dieci anni fa con una serie di progetti virali, ma tutti accomunati da un focus sulla responsabilità e il sociale. Oggi, oltre ad essere consulente creativo all’interno della sua azienda Billover 3.0, si occupa di sensibilizzare le nuove generazioni sui rischi e le potenzialità del web. Crede fortemente nell’educazione e nella consapevolezza che racchiude all’interno del neologismo “Unfluencer”.