Questa terra non è un albergo

Prendete una mattina qualunque di un giorno qualunque. Voi uscite di casa e dagli alberi sul vialetto sentite il canto degli uccelli, dall’aiuola dei vicini vedete un glicine, qu
In Italia, la Torre di Babele sembriamo trovarla nell’incomunicabilità fra il PNRR da un lato e le siccità e le alluvioni dall’altro. Cosa ancora ci serve toccare con mano prima di crederci?
Nei miti e nelle legende si stratificano millenni di osservazioni sulla natura, compresa la natura umana. Un aspetto di noi umani che le diverse tradizioni hanno sublimato nei miti è che siamo capaci di migliorare la tecnologia, ma quando ce l’abbiamo non sembriamo abbastanza maturi per usarla in modo sensato: pensiamo di poter volare più in alto del sistema di cui siamo parte – chiamiamolo natura o volere divino – ma poi precipitiamo. Questo ci dice la leggenda di Icaro che si brucia le ali avvicinandosi al sole; e qualcosa di simile indica la narrazione biblica della Torre di Babele, aggiungendo che finiamo per sfracellarci perché quando abbiamo i mezzi li usiamo per dividerci invece di unirci.
Nel nostro presuntuoso entusiasmo di generazioni moderne e progredite, guardiamo a questi racconti come consigli superati: noi stiamo volando più in alto. Eppure, non siamo ancora usciti dall’epoca in cui uno dei principali “progressi” portati dalla comprensione della meccanica quantistica è la possibilità dell’ecatombe nucleare globale. E siamo nel bel mezzo dell’epoca in cui la tecnologia può distruggere le basi naturali prima del nostro benessere – ovvero uno sviluppo perseguito per aumentare la qualità della vita lo usiamo per annientarla – e poco dopo anche della nostra stessa sopravvivenza. Basterebbe continuare a sconvolgere il clima.
In Italia, la Torre di Babele sembriamo trovarla nell’incomunicabilità fra il famoso PNRR da un lato, e le siccità e alluvioni dall’altro. Cos’altro vogliamo toccare con mano – come San Tommaso – prima di crederci? Che la crisi climatica esiste e fa male? Che se non corriamo ai ripari sarà sempre peggio? Che, come già evidenziava nel 2006 il primo grande studio sugli impatti economici dei cambiamenti climatici – redatto dall’economista capo della Banca Mondiale Nicholas Stern – il costo di rimediare adesso è molto minore dei danni che avremo se non lo facciamo?
Proviamo per una volta a immaginarci razionali invece che schiavi di compulsioni competitive e consumistiche ed elenchiamo quello che sappiamo:
PERICOLI
Gli scienziati ci danno solo una manciata d’anni per correre ai ripari, trascorsi i quali la destabilizzazione globale sarà senza ritorno.
OPPORTUNITÀ
Eppure, continuiamo operai del cantiere di Babele, prigionieri di illusori vantaggi immediati e personali – non il governo, tutti noi! – contenti di quel finanziamento che ci piace perché arriva a me e non a te e, lasciatemelo dire, chi se ne frega se serve o no a rimettere la tecnologia al suo posto, proteggere il clima, rivitalizzare i territori. Senza accorgerci che così Icaro si sfracella, o forse annega. A Icaro servirebbe solo una cosa: passi che non abbia compassione per il pianeta o per i più poveri, passi che gli interessa volare più alto e in business class solo a lui; ma lo capisce che se continua così tutto questo se lo scorda? Che se l’aereo precipita si muore tutti, anche in prima classe? A Icaro, tutti noi, consiglierei solo di farsi bene i conti in tasca. Allora, come lo usiamo questo PNRR?