La società dei poli opposti
L’inondazione di Valencia ha ben evidenziato i pericoli di una gestione territoriale in cui pochissimi erano decisori e concentrati su altri obbiettivi, mentre i molti, e veri co
La gratitudine come antidoto alla frustrazione dei tempi moderni. Changes ne ha parlato con Luca Streri, fondatore del movimento Mezzopieno.
C’è il mezzopieno, ossia colui che vede vita dal lato positivo. E lui, Luca Streri, ha fondato il movimento del Mezzopieno. «È la rete italiana della positività – dice a Changes dall’India, collegandosi tramite WhatsApp – Sono nato a Torino 51 anni fa e lì sono cresciuto e ho studiato. Sono diventato un economista e appena laureato ho iniziato a lavorare in borsa e nell’alta finanza, prima in Italia e poi in Svizzera dove mi sono trasferito a 27 anni. A Ginevra gestivo i patrimoni degli uomini e delle donne più ricchi del mondo, calciatori, corridori di formula uno, cantanti famosi, grandi imprenditori, magnati russi e petrolieri arabi. È successo tutto in fretta: in pochi anni mi sono trovato a operare nella finanza internazionale, a muovere capitali impressionanti e a vivere a 200 all’ora, mi sembrava di essere in un film. Ho sempre cercato il massimo dalla vita, il bello e il senso delle cose. In quegli anni tutto questo pensavo di averlo trovato».
Dalla finanza in Svizzera alla missione nel sud dell’India: com’è nato in lei il cambiamento di vita a 32 anni?
Dopo una decina di anni di vita luccicante e incantata tra denaro, grandi soddisfazioni e successi, ho maturato la consapevolezza che volevo qualcosa di più dei soldi e che desideravo soprattutto rendere felici le persone. Nel 2005 ho lasciato tutto e mi sono trasferito in India, tra le tribù più povere del sub-continente asiatico. Ciò che facevo con il mio lavoro in Svizzera non portava felicità. Io ero felice e avevo avuto molto di più di quanto mi potessi immaginare, ma sentivo che potevo essere più utile al mondo. Volevo restituire qualcosa di quel tantissimo che avevo ricevuto. È stata la gratitudine la prima cosa a muovermi: mi sono sempre sentito molto amato dal mondo e a un certo punto ho realizzato che anch’io potevo amarlo di più. Fin dal mio primo viaggio in India all’età di 12 anni, il mio sogno è sempre stato quello di poter alleviare le sofferenze delle persone che faticano per vivere e che soffrono. Un giorno mi sono detto, «se non lo faccio ora non lo farò mai più», e sono andato. Ho raggiunto un padre missionario che curava i lebbrosi nell’Andhra Pradesh e che conoscevo fin da piccolo e insieme a lui ho incominciato la mia nuova vita da missionario laico.
Lei vive nel sud dell’India per gran parte dell’anno: cos’ha imparato in questi villaggi sperduti?
Da 19 anni vivo tra l’India e l’Italia, mi sento pienamente occidentale e pienamente orientale. Ho accolto la cultura dell’India senza rinnegare quella da cui provengo, ma integrando la saggezza e la forza del sapere tradizionale di una delle civiltà più antiche del mondo. Sono arrivato in India con una grande voglia di abbracciare gli esseri umani e ho scoperto lo spirito. Ho incontrato un grande uomo nel mio cammino, Raimon Panikkar, un mistico indo-ispanico con cui ho condiviso molti anni di vita e di percorso e con cui ho creato quello che lui chiamò Arbor, un programma di sviluppo e organizzazione su base comunitaria, che oggi coinvolge centinaia di villaggi rurali e decine di migliaia di persone in stato di povertà nel sud dell’India. Con Panikkar ho scoperto la mistica, le religioni, il dialogo interculturale, una nuova innocenza. Ho appreso il piacere di conoscere i testi sacri, i miti e i riti di tante fedi differenti e ho aperto la mia vita all’incontro con tante forme e dimensioni diverse dell’esistenza. Ho imparato a farmi piccolo, a mettermi al servizio, ad ascoltare la voce dello spirito, attraverso le persone e le situazioni, ad accogliere il mistero della vita, ad accettare ciò che non capisco, a contemplare, a pregare, a sentire con il cuore, a ridere e a piangere di felicità, a fiorire insieme al mondo. Ora non guadagno più nulla, ma mi sento ricchissimo come non mai, colmo di felicità.
Cambiare vita o sguardo: cosa suggerisce di fare?
Il cambiamento è un elemento che la nostra mentalità occidentale ha fortemente mitizzato. Sembra che si debba sempre cambiare per poter trovare qualcosa di più o per crescere. Ho scoperto che non è così dappertutto e che non è il solo modo di essere generativi. La cultura orientale, per esempio, è storicamente riluttante al cambiamento e ha sempre basato la sua armonia sulla conservazione e sulla protezione delle tradizioni e degli usi. Dall’India ho imparato che si può crescere anche senza mutare, andando in profondità prima ancora che oltre: un concetto profondamente spirituale. Una delle più grandi ossessioni della nostra società occidentale è la rincorsa al cambiamento e al miglioramento. I valori del successo e dell’eccellenza sembrano fare sempre più parte del nostro impianto sociale ed educativo, e sono trasmessi come icone di superiorità e parametri di perfezione. Ci viene insegnato a essere i migliori, a superare gli altri e ad affermare la nostra individualità. Principi che nondimeno, per risultare realisti e naturali, dovrebbero comprendere, oltre ai concetti di competizione e di conquista, anche quelli di accettazione, di fragilità e di arrendevolezza, gli stessi che guidano la natura. Il mondo è talmente meraviglioso che cercare di cambiarlo rischia di diventare una battaglia contro esso e contro sé stessi e che ci impedisce, a volte, di contemplarne in pieno la bellezza. Siamo talmente immersi nell’abbondanza e nella meraviglia da darla per scontata. Questo è il cambiamento che suggerisco: cambiare lo sguardo, per tornare ad amare ciò che è, senza aspettarsi qualcosa di diverso; prendere le cose e le persone come vengono e imparare ad amarle profondamente.
Ha fondato il movimento del Mezzopieno: chi sono i “mezzopieni” che ha conosciuto e che l’hanno colpita? E cosa fate voi per diffondere la cultura del mezzopieno?
Dopo tanti anni di viaggi tra l’India e l’Italia mi sono accorto che nella nostra società c’è molto di più di quello che ci serve, ma che manca la capacità di rendersene conto. Siamo sempre alla ricerca di qualcosa di più e non ci accorgiamo di dare per scontate le cose più belle della vita. Le persone che più mi hanno insegnato questo sono sicuramente le popolazioni tribali dell’India che non hanno quasi nulla di ciò che abbiamo noi, ma che sanno apprezzare ogni cosa, come se fosse l’unica che hanno. È strano ma spesso le persone più semplici sono state quelle che mi hanno insegnato di più. La donna che mi fa da mangiare a Khammam non sa leggere né scrivere, ha perso il marito a 30 anni, con due figli piccoli: dopo anni di violenza e di abusi in famiglia, lei si affida alla vita senza pretese, sorridendo a ogni occhio che incontra, offrendo sé stessa al mondo e adorando la vita; ogni giorno è un dono per lei. Al mio autista in India, Ravi, un giorno ho proposto di aumentare l’orario di lavoro da mezza giornata a tutto il giorno. Pensavo che lo rendesse felice, invece mi ha detto «e poi come faccio a stare con la mia famiglia?». Ha rifiutato. In Italia ho creato Mezzopieno, un movimento che si occupa di diffondere la cultura della positività. Lo facciamo con una rete di tanti enti, associazioni, professionisti e volontari attivi nelle scuole, nelle università, nelle aziende, nelle redazioni dei giornali, negli ospedali, nei Comuni e tra la gente. Lavoriamo per costruire strumenti che aiutino le persone a cambiare lo sguardo, a riscoprire la bellezza del mondo attraverso la gratitudine e la fiducia. Abbiamo creato la prima free press di buone notizie italiana, il primo TG delle buone notizie nazionale fatto dai ragazzi di centinaia di scuole. Facciamo laboratori sulla positività e sulla gentilezza e abbiamo creato il primo corso universitario sulla felicità, a Torino. Formiamo gli imprenditori, i giornalisti, gli insegnanti e le persone, e camminiamo insieme a loro per imparare a vivere con positività e coltivare il desiderio di trasmetterla agli altri. Viviamo l’economia del dono».
Da ultimo, quanti e quali sono i passi per essere felici?
La felicità si realizza nella differenza tra ciò che siamo e quello che vorremmo essere. Più sottile è la distanza tra queste due dimensioni, più forte è la nostra percezione di felicità. Ogni cosa che contribuisce ad avvicinare i due estremi dell’essere e del diventare, collabora ad alimentare la nostra percezione di soddisfazione. Questo continuo movimento che spinge tutta la nostra vita si sviluppa attorno a due approcci diversi e talvolta opposti: l’azione e l’accettazione. Il primo passo per la felicità è smettere di cercare di essere felici. Il nostro pensiero razionalista può aiutarci nell’accettazione, passando attraverso un impegno consapevole che migliori la nostra capacità di coltivare la comprensione, la gentilezza, la collaborazione, il perdono, la mitezza e quanto ci mette in condizione di metterci in sintonia con gli altri e con il mondo; condividere bellezza e fallimenti, riconoscere le differenze e valorizzarle, abbassare le pretese e convivere con i nostri limiti e con quelli degli altri. Il secondo passo è imparare a riconoscere a e ringraziare ciò che la vita ci dà e la meraviglia in cui siamo immersi. La gratitudine è l’antidoto alla frustrazione dei tempi moderni, alla polemica e alla mancanza di senso. Smettiamo di lamentarci e impariamo a riconoscere e ad accogliere la vita e tutte le sue manifestazioni. È qualcosa che si può allenare. Provate a ringraziare ogni sera, prima di coricarvi, per le tre cose più belle della vostra giornata appena conclusa. Createvi giorno dopo giorno un bagaglio di gratitudine che vi accompagni: quando arriveranno le tempeste della vita avrete una forza inattaccabile che vi permetterà di guardarle con un altro sguardo.