La società dei poli opposti
L’inondazione di Valencia ha ben evidenziato i pericoli di una gestione territoriale in cui pochissimi erano decisori e concentrati su altri obbiettivi, mentre i molti, e veri co
La capacità di saper creare, gestire e manutenere le relazioni interpersonali ha un valore nel tempo. Quali sono gli elementi fondamentali di questa attività?
Saper creare relazioni positive è la madre di tutte le soft skill. Ce lo ricorda Gianfranco Minutolo, per anni responsabile della direzione Alumni della Bocconi: «Leggendo gli elenchi di soft skill il fil rouge che li unisce è la capacità di saper creare, gestire e manutenere le relazioni interpersonali nel tempo». Ma cos’è il networking? E, soprattutto, quali sono gli elementi fondamentali di questa attività? Ricordiamoci, infatti, che il successo è il participio passato del verbo succedere: il successo del networking è qualcosa che è seguito a qualcos’altro, l’effetto di una serie di azioni. Detto in poche parole il networking richiede cura: vediamo insieme i passi da fare.
Di cosa parliamo:
Il vero networker ha costanza: «Un orto produce frutti se il contadino semina con metodicità, mantiene il terreno, garantendo le cure richieste. I frutti di una pianta possono nascere anche da un semino gettato per caso, ma se si vuole avere un orto produttivo, occorre attivarsi», spiega Minutolo nel suo libro “I robot non sanno fare networking (per adesso”)”. Oltre alla perseveranza, il costruttore di reti deve essere sincero: la sincerità, volendo usare una metafora, è la sciolina di una relazione durevole, perché rappresenta il trampolino di lancio di ogni momento d’incontro. Altra caratteristica importante è la curiosità: il networking è interessato al mondo che lo circonda e cerca di unire i puntini. Ultima dote del networker è la responsabilità. Come spiega il dizionario Treccani, è responsabile «chi si comporta in modo riflessivo ed equilibrato, tenendo sempre consapevolmente presenti i pericoli e i danni che i propri atti o le proprie decisioni potrebbero comportare per sé e per altri, cercando di evitare ogni comportamento dannoso».
Chiarite le qualità del networker, occorre individuare le azioni da compiere. Proviamo, rispetto alle 12 azioni indicate da Minutolo, ad arrivare a una rosa di 4: la prima è definire gli obiettivi da raggiungere. Dopo aver individuato dove si vuole arrivare, bisogna lavorare sui propri punti di miglioramento: tutti noi abbiamo dei “bachi” e, consapevoli dei punti di forza, dobbiamo lavorare per migliorare i punti di debolezza. Sotto questo aspetto uno o più sparring partner può essere di grande aiuto: può essere – come racconta Minutolo – un “mentor strutturato”, ossia una persona molto logica e pratica, un “consigliere”, ossia «chi ti fa vedere l’ostacolo incombente dietro l’angolo e che ci sfugge per inesperienza», un mentor appassionato, ovvero colui che ci trasmette passione ed entusiasmo, e, da ultimo, una guida, intesa come colui con il quale beviamo un caffè, ci guida con pazienza e ci riprende in modo delicato in separata sede.
La terza azione da compiere è di fare in modo che le cose accadano: nulla, infatti, può essere lasciato al caso. «Se vogliamo che qualcosa avvenga, dobbiamo attivarci, pianificare i prossimi passi senza dimenticare la passione, il talento e le buone relazioni interpersonali. Le opportunità non nascono da sole, ma occorre seminarle per tempo, allenandosi a vedere le cose anche con una prospettiva diversa da quella abituale».
Ultimo mattone delle cose da fare è pianificare il networking: «La favola dei “Tre porcellini” ci dovrebbe aver insegnato sin da piccoli che per ottenere qualcosa occorre impegnarsi con lungimiranza, costanza e focalizzazione al risultato. La fortuna è essenziale, ma non sufficiente nella buona gestione delle relazioni interpersonali e il time management è basilare se si vuole migliorarne la loro qualità».
Il networking ha successo se si crea una community. Possiamo promuoverla in prima persona oppure inserirci, ma importante è che alla fine si stata sviluppata una rete fattiva e operativa. Prendiamo il caso di un’azienda: costruire una community significa – mutuando l’esempio che Minutolo fa a proposito delle community nate in ambiti formativi – pianificare un “prima”, un “durante” e un “dopo”. Il “prima” è rappresentato da tutte le iniziative volte a ingaggiare i futuri colleghi: la comunicazione esterna, sotto questo aspetto, è basilare così come il buzz positivo creato da chi già lavora in azienda. Il “durante” è dato da tutte le iniziative pianificate dentro e fuori dall’azienda. Il “dopo”, infine, è dato dalle iniziative di ingaggio con gli ex colleghi: un professionista che esce da un’impresa è un ambasciatore a vita e, dunque, è importante mantenere il contatto con lui, oltre che – laddove possibile – coinvolgerlo per condividere i passi fatti nel corso della sua permanenza in azienda.
Ciò che non si misura non può essere migliorato: «Tutto deve essere quantificabile e condiviso». Vale sia per quanto riguarda l’attività promossa da noi come networker sia per quella, in caso ci veda protagonisti, portata avanti come referenti di una community. I KPI o indicatori del networking devono essere stabili a monte e non a valle dell’attività pianificata: «Per questo – tira le somme Minutolo – è essenziale costruire un “tableau de bord” che rilevi e monitori costantemente le attività pianificate e una “balanced scorecard” con i macro obiettivi da raggiungere». Non resta, dunque, che mettersi all’opera nella consapevolezza che il networking è come i mobili dell’Ikea: sta a noi costruirlo.