Accendiamo la luce sul futuro
La serie di fantascienza Star Trek è ambientata nell’anno 2264. Gli esseri umani viaggiano nella galassia insieme agli alieni, aiutati da computer, propulsione più veloce d
Che ne è stato del progetto a cui nel 2013 l’Unione Europea destinava oltre 1 miliardo di euro? L’obiettivo di costruire una mappa digitale del cervello non è stato pienamente raggiunto, ma l’impegno della ricerca prosegue.
Come funziona il cervello umano? Come avvengono i processi di relazione tra le sue cellule? Cosa succede al nostro cervello quando abbiamo paura o rabbia, quando ci innamoriamo oppure ci disperiamo? Domande da un milione di dollari, o meglio da un miliardo di euro. A tanto, infatti, è ammontato il finanziamento dell’Unione Europea dell’Human Brain Project (HBP), la più mastodontica opera di ricerca sul nostro cervello, coordinata dall’Ecole Polytechnique Fédérale di Losanna e promossa nel 2013 da Bruxelles per accelerare gli studi che sin dal 2005 il neuroscienziato Henry Markram e i suoi collaboratori stavano conducendo.
Nel maggio di quell’anno, infatti, Markram aveva avviato con IBM Blue Brain, un progetto volto a simulare digitalmente il cervello umano. Un’impresa titanica che otto anni dopo l’UE avrebbe deciso di sostenere, lanciando una sfida affascinante anche (ma non soltanto) per l’evoluzione dell’intelligenza artificiale. Un tema, quest’ultimo, futuristico nei decenni passati, ma che oggi ai tempi delle AI generative e di Chat-GPT ci pare quantomai attuale.
L’Human Brain Project promosso e finanziato dall’Unione Europea aveva una scadenza: dieci anni. Come è andata a finire? A quali risultati siamo giunti? Diciamolo subito, una ricerca di tale portata è impossibile da sintetizzare in un giudizio più o meno lapidario. La storia di questa impresa è lunga e come visto affiora le radici nei decenni precedenti alla decisione dell’UE di investire quel miliardo di euro. Su questa storia è stato addirittura girato un film-documentario. Si chiama “In Silico” è del 2020, è diretto da Noahn Hutton e racconta proprio la storia del sogno di Henry Markram. Il titolo evoca una nuova locuzione del mondo scientifico, che indica la riproduzione in una simulazione matematico-digitale dei processi biochimici. Niente provette, dunque, ma dati. «Proprio quello che intendeva fare l’Human Brain Projet e il suo sogno di creare un gemello digitale del nostro cervello». A dircelo è il professore Sanzio Bassini, direttore del dipartimento SuperComputing Applications and Innovation Department (SCAI) di Cineca, consorzio interuniversitario italiano che ha contribuito alla realizzazione della piattaforma HPC, fornendo uno dei quattro supercomputer da cui è composta. «Sgomberiamo subito il campo da un possibile equivoco: HBP non è un progetto di neuroscienza, ma un progetto di indirizzo tecnologico, che nelle intenzioni avrebbe avuto un importante ruolo nella comprensione fisiologia del cervello umano», precisa Sanzio Bassini.
86 miliardi di neuroni e 100 trilioni di sinapsi: queste le cifre di un organo ancora misterioso, su cui è impegnata a livello multidisciplinare la ricerca scientifica mondiale. L’Human Brain Project, insomma, nasceva con l’ambizioso proponimento di simulare i meccanismi del cervello e di riprodurli digitalmente. «La suggestione era semplice, ma al contempo complessissima: il nostro cervello ha una capacità computazionale enorme, nell’ordine di exaFLOPS, ovvero miliardi di miliardi di operazioni al secondo. Una potenza imparagonabile a qualsiasi computer o calcolatore. Al contempo, il networking tra le sue cellule, le sinapsi, le relazioni delle reti neurali sono altamente efficienti, molto di più di qualsivoglia tecnologia attuale».
È possibile riprodurre tutta questa potenza in un computer senza perdere efficienza? «Riuscire a simulare il comportamento del cervello al fine di riprodurre la stessa capacità di rielaborazione è stato uno degli obiettivi principale del progetto». Un obiettivo a questo punto mancato? Rispondere a questa domanda come detto non solo è complesso, ma rischia di essere fuorviante. È indubbio che a dieci anni dal finanziamento europeo del sogno di Markram nessun gemello digitale del cervello è stato ancora creato. HBP non ha avuto insomma gli stessi risultati del Progetto Genoma Umano, che ad inizio degli anni 2000 ha contribuito a svelare la sequenza dei geni umani. Eppure, come si sottolinea sul sito della Commissione Europa, «la ricerca HBP ha prodotto oltre 3.000 pubblicazioni, nuove infrastrutture di ricerca uniche ed eventi scientifici di alto livello». Di certo non i risultati sognati, ma passi importanti verso la conoscenza di quel mistero chiamato cervello umano.
Negli anni anche gli USA hanno lanciato un progetto similare. La Brain Initiative nel 2013 prevedeva di sviluppare e applicare nuove tecnologie alla comprensione del cervello. L’allora Presidente Barak Obama giunse a definirlo «il prossimo grande progetto americano». Nel 2020 è partita la nuova fase del progetto americano. Con Brain 2.0 l’obiettivo principale è quello di creare un mapping 3D di tutte le cellule del cervello e della loro posizione.
La partita a livello mondiale, dunque, non è chiusa. Anche perché dall’HBP è nato Ebrains, una nuova infrastruttura di ricerca digitale che, come si legge sul sito ufficiale del progetto, «raccoglie dati, strumenti e strutture informatiche per la ricerca legata al cervello». Il nodo italiano dell’iniziativa è EBRAINS-Italy ed è stato finanziato dal PNRR e tra i risultati ottenuti c’è stato anche quello comunicato nel marzo del 2023 dal CNRR: la creazione del primo modello 3D di un’area del cervello umano: l’ippocampo.
Insomma, cambiano i nomi dei programmi, si espandono gli ambiti territoriali coinvolti, ma l’obiettivo rimane sempre quello che animava ad inizio millennio i ricercatori del progetto Blue Brain. Il tutto tenendo conto che, come evidenzia Bassini, «arrivare a costruire un gemello digitale del cervello non è solo una sfida tecnologica e computazionale, ma è un obiettivo che aiuterebbe a capire il confine tra sanità e malattia, a rispondere alle situazioni patologiche, ad avere una mappatura della propagazione dei segnali sinaptici e avere comprensione di come il nostro cervello reagisce, per esempio, negli stati di panico, di ansia o di paura». A fare, in fin dei conti, la cosa più difficile di tutte: conoscerci meglio. E la sfida continua.