Adattarsi al clima: le città cambiano colore
Le aree urbane risentono più delle aree rurali del surriscaldamento globale. Il cosiddetto “effetto isola di calore” può aumentare le temperature di 4-5 gradi centigr
L’estate più calda di sempre in Italia è appena finita, il tema della scarsità di risorse idriche è rimasto. Quali sono le soluzioni possibili.
La siccità non fa paura ai Fremen, gli abitanti di Dune, racchiusi nelle loro “tute distillanti”, una seconda pelle super-tecnologica che filtra il sudore corporeo e le urine per poi rimettere tutti i liquidi in circolo, dando così a chi le indossa ben tre settimane di autonomia senz’acqua nel deserto. Una visione che non è solo fantascienza, ma potrebbe ben presto diventare realtà: il riciclo totale dell’acqua, cosiddetto “toilet to tap”, cioè dal gabinetto al rubinetto, è già utilizzato in molti Paesi del mondo, dalla California a Singapore, e potrebbe essere la soluzione giusta anche per l’Europa, colpita da ondate di siccità sempre più frequenti e disastrose.
Il Vecchio Continente è più riluttante dei nostri alleati d’oltre Atlantico sulla potabilità delle acque rigenerate, ma un primo passo verso l’economia circolare dell’acqua è stato già compiuto, nell’ambito del Circular Economy Action Plan varato da Bruxelles due anni fa. L’obbligo di depurare tutte le acque reflue urbane e di riutilizzarle completamente in agricoltura, infatti, è già in vigore dal 13 maggio 2020 sul territorio dell’Ue e l’Italia sarà passibile di sanzioni se non recepirà la nuova normativa di qui a un anno, entro il 26 giugno 2023.
A parte le carenze normative, resta il fatto che il nostro Paese è molto indietro su questo punto. Dalla mappa interattiva del Water Information System for Europe – water.europe.eu/freshwater, dove sono pubblicati i dati sui progressi di ciascun Paese verso gli obiettivi di trattamento delle acque reflue, la protezione dei sistemi idrici sensibili, l’utilizzo dei fanghi e le emissioni di gas serra dal settore – risulta che nei 27 Paesi Ue si raccoglie in media il 90% delle acque reflue urbane, con quattro Paesi – Austria, Germania, Lussemburgo e Paesi Bassi – che trattano il 100% delle proprie acque reflue in conformità ai requisiti della direttiva, mentre altri 10 Paesi hanno raggiunto un tasso di conformità superiore al 90%. All’altra estremità della scala ci sono cinque Paesi – Irlanda, Bulgaria, Romania, Ungheria e Malta – che rispettano gli standard in meno della metà delle loro aree urbane.
Per quanto riguarda l’Italia, il dato sulla raccolta delle acque reflue urbane è molto alto, quasi al 100% (ma dall’ultimo rapporto Istat risulta invece che solo il 94,7% della popolazione italiana residente nei capoluoghi di Provincia sia allacciata alla rete fognaria, figuriamoci gli altri), ma solo il 56% di queste acque risulta trattato in conformità con la direttiva, contro una media Ue del 76%. Secondo l’Istat, appena il 70% della popolazione italiana sarebbe connesso a impianti di depurazione delle acque reflue, con enormi differenze fra Nord e Sud. La Sicilia, dove il 20% della popolazione risiede in Comuni completamente privi del servizio pubblico di depurazione, e la Campania (8%) sono le principali destinataria delle quattro procedure d’infrazione in carico all’Italia, avviate tra il 2004 e il 2017 in campo fognario-depurativo, e dovute al mancato adeguamento degli agglomerati alla direttiva comunitaria sulle acque reflue (Direttiva 1991/271).
Il trattamento delle acque conforme alla direttiva è già un buon inizio, ma non è ancora il conseguimento dell’obiettivo. In Europa si trattano ogni anno oltre 40 miliardi di metri cubi di acque reflue, ma se ne riutilizza soltanto 1 miliardo. Gli altri 39 miliardi finiscono in mare e quindi vanno persi per gli usi umani. L’Italia, da parte sua, continua a utilizzare acqua potabile anche in agricoltura, perché costa meno. Un disastro, considerando che l’agricoltura italiana utilizza almeno il 51% di tutta l’acqua disponibile (contro una media europea del 40%), una percentuale che probabilmente è salita negli ultimi anni, caratterizzati da una siccità sempre maggiore e da un utilizzo sempre più spinto dell’irrigazione per non perdere i raccolti. Si tratta di uno spreco gigantesco, che si aggiunge ad altri sprechi per cui l’Italia è tristemente nota, come la perdita del 42% dell’acqua immessa negli acquedotti-colabrodo.
Considerando il fatto che il settore idrico globale vale oltre mille miliardi di dollari e cresce del 20% l’anno, comunque, anche nel resto d’Europa c’è moltissimo da fare se si vuole mettere in moto un’economia circolare dell’acqua, prendendo esempio dai Paesi con risorse limitate come Singapore, Israele e l’Australia, che già da decenni riciclano le loro acque reflue con sistemi “toilet to tap”. In California, dove il problema della siccità ormai ha raggiunto livelli drammatici, le acque reflue rigenerate sono considerate una risorsa preziosa ed oltre ad essere già ampiamente utilizzate in agricoltura escono da tutti i rubinetti delle case nella ricca Orange County. Un’esperienza che sta facendo scuola anche in altri Stati colpiti dall’insicurezza idrica, dal Texas alla Florida. La seconda opzione esplorata un po’ dappertutto è la dissalazione, che filtra l’acqua dell’oceano. In California il primo impianto da 1,5 miliardi di dollari è stato costruito nel 2015 a Carlsbad e ora fornisce il 10% dell’acqua di San Diego. Ne sono seguiti altri, ma il riciclo delle acque reflue resta la soluzione migliore, perché è molto più economico della dissalazione: costa circa la metà a parità di volume.
Sia l’acqua di mare che le acque reflue sono trattate meccanicamente, pompate attraverso un processo di filtrazione in più fasi che culmina con membrane a osmosi inversa, per estrarre tutte le impurità, compresi virus, agenti patogeni, sostanze chimiche che alterano gli ormoni e sale. L’impurità più difficile da rimuovere è proprio il sale, che non è sospeso in acqua, ma disciolto. Le acque reflue sono più facili ed economiche da filtrare rispetto alla salamoia marina semplicemente perché hanno una salinità molto più bassa e quindi richiedono meno energia per pompare l’acqua attraverso le membrane. Sono anche più disponibili visto che non tutte le fattorie o le città si trovano vicino al mare, ma tutte producono liquami. Inoltre, dalle acque reflue si possono estrarre materiali preziosi come il fosforo e l’azoto, che poi possono essere utilizzati come fertilizzanti. Il riciclo dell’acqua, quindi, è il primo passo contro la siccità.