Siamo pronti all’IAcene?
L’intelligenza artificiale è arrivata e non manca giorno che non scopriamo nuove applicazioni. Siamo di fronte a una rivoluzione copernicana al punto che possiamo parlare di IAc
I limiti dei veicoli elettrici potrebbero essere superati con la tecnologia delle fuel cell, già oggi caratterizzata da grande potenziale. L'Italia ha grandi vantaggi da poter sfruttare ma, come al solito, serve una politica industriale.
I limiti dei veicoli elettrici potrebbero essere superati con la tecnologia delle fuel cell, già oggi caratterizzata da grande potenziale. L’Italia ha grandi vantaggi da poter sfruttare ma, come al solito, serve una politica industriale.
L’auto elettrica non è ancora diventata un fenomeno di massa nonostante l’impegno massiccio dei costruttori ma qualcuno ne recita già il “de profundis”. Eppure, sembra non ci siano dubbi su un futuro sempre più “elettrico” per le quattro ruote. Lo vogliono i politici europei, lo pensano, obtorto collo. le Case automobilistiche, lo pretendono gli ambientalisti, lo subiscono i consumatori.
Ciononostante, sono molti i dubbi che stanno emergendo sull’effettivo contributo dell’auto elettrica alla risoluzione del più grande problema della società moderna: il cambiamento climatico. I maggiori interrogativi arrivano dalla Germania, la nazione che più sta investendo su un futuro elettrico, e non da esperti o analisti, bensì da persone che hanno “le mani in pasta” più di chiunque altro, i manager di alcuni dei maggiori player del settore. Bastano le dichiarazioni, per quanto riviste e corrette in un secondo momento, di Klaus Froelich, direttore della ricerca e dello sviluppo della BMW: «Potremmo consegnare un modello elettrificato a ciascun automobilista ma il cliente europeo non è disposto a correre il rischio di acquistare un veicolo elettrico perché l’infrastruttura non è presente, così come non si sa nulla sul suo valore alla rivendita. Abbiamo spinto queste auto sul mercato e gli acquirenti non le vogliono». Froelich non ha fatto altro che evidenziare il problema fondamentale dell’assenza di una domanda capace di sostenere gli investimenti e l’impegno dei costruttori. C’è, però, un problema anche tecnologico. In tal senso vale la pena leggere le affermazioni di Felix Gress, responsabile affari pubblici della Continental, uno dei maggiori fornitori al mondo di componentistica: «Per i clienti, sarà difficile accettare una vettura elettrica sul mercato: si paga un prezzo più alto, si ottiene meno in termini di prestazioni di una macchina con il motore a scoppio, quindi per il mercato sarà dura. Secondo le nostre previsioni la tecnologia delle batterie ha dei limiti evidenti. Per alcuni utenti, l’autonomia che garantisce è ancora troppo limitata».
Ci sono, allora, alternative? La domanda non trova altra risposta che in una soluzione per ora limitata ma, a detta di molti, caratterizzata da un potenziale enorme: l’idrogeno. Ne è convinto lo stesso Gress. «Le auto elettriche hanno i loro limiti, le vetture del futuro saranno ad idrogeno. La tecnologia Fuel Cell non è ancora pronta per fare il suo ingresso sul mercato, ma entro il 2030 lo sarà, specialmente nelle autovetture che percorrono lunghe distanze o camion».
La soluzione ai problemi dell’elettrico, quindi, esiste ed esiste già da tempo. Del resto, già qualche anno fa sembrava una delle alternative più pronte per il mercato. Il gruppo BMW aveva anche iniziato a commercializzare un suo modello con un motore tradizionale alimentato a idrogeno liquido. Purtroppo, l’esperimento ha avuto vita breve, se non brevissima a causa di due fattori determinanti: l’ingombro e il peso dei serbatoi e dei sistemi per mantenere l’idrogeno allo stato liquido (serve una temperatura di -253 gradi Celsius); l’assenza di stazioni adeguate e gli eccessivi costi legati ai relativi sistemi di rifornimento. In fin dei conti non si tratta di altro che di fattori analoghi a quelli che oggi rappresentano un freno anche per l’adozione di massa dell’elettrico.
Oggi si sta tornando a parlare sempre di più dell’idrogeno anche se con applicazioni del tutto differenti grazie alla tecnologia delle “fuel cell”, le celle a combustibile di idrogeno. Si tratta, in estrema sintesi, di un dispositivo elettrochimico che converte l’energia prodotta dalla combinazione di idrogeno, immagazzinato in serbatoi ad alta pressione e sotto forma di gas, e ossigeno, prelevato dall’atmosfera, in energia da utilizzare per alimentare un motore elettrico.
Al momento è una tecnologia ancora limitata e con ben poche applicazioni di mercato, ma qualcosa si sta muovendo grazie soprattutto ad alcune Case giapponesi come la Toyota e la Honda o coreane come la Hyundai. È ancora poco conveniente, per quanto i costi rispetto al passato siano stati abbattuti, e caratterizzata da molti vincoli produttivi: le fuel cell sono molto complesse e collegate a tecnologie ingombranti che aumentano considerevolmente il peso delle auto. Tuttavia, anche in questo caso il vantaggio rispetto all’elettrico puro è netto: pesano circa 10 chili contro i 400 di un sistema di accumulatori di analoga potenza. Anche solo per questo motivo nel futuro potrebbero prendere il sopravvento e lo faranno ancor più rapidamente se la ricerca e l’innovazione porranno le basi per garantire economie di scala ed esternalità positive tali da rendere sempre più conveniente la loro applicazione pervasiva nel campo dei trasporti facendo leva sui molti vantaggi rispetto all’elettrico puro delle batterie agli ioni di litio.
Pochi giorni fa nel corso di un convegno organizzato dal Politecnico di Milano dal titolo “Mobilità: tecnologie ed emissioni-Propulsione pulita e infrastruttura energetica” l’idrogeno e le sue potenzialità sono stati illustrati da Stefano Campanari, docente del Dipartimento di Energia dell’ateneo milanese, e dalla sua presentazione sono emersi i numerosi vantaggi che già oggi – e ancor più in futuro – garantiscono le fuel cell.
Innanzitutto, è emerso come risolvano uno dei grandi problemi che al momento il settore automobilistico sta affrontando a costo di enormi sacrifici finanziari. La transizione verso l’elettrico sta infatti obbligando i costruttori a modificare integralmente l’approccio all’auto perché servono piattaforme e architetture di prodotto totalmente nuove e funzionali alle batterie per l’elettrico. Non solo. È tutta la struttura legata alla produzione di auto che deve essere modificata: nuove catene di montaggio, nuove lavorazioni, nuove qualifiche sono solo alcune delle novità in fase di emersione. Inoltre, l’elettrico si porta dietro un problema di non poco conto. Essendo i motori elettrici meno complessi di quelli tradizionali, servono meno operai. È per questo motivo che sono in molti a parlare di una prossima “macelleria sociale” per effetto di una transizione energetica imposta al settore ma non richiesta, quantomeno nelle fasi attuali, dal mercato.
Già su questo fronte l’idrogeno garantisce un primo vantaggio visto che fondamentalmente la struttura del veicolo non deve subire grandi modifiche. Dunque, non aumentano per le aziende i costi per nuove piattaforme o architetture dedicate. E già questo fa capire quanto l’idrogeno possa diventare una soluzione ideale per il settore pur non escludendo, ovviamente, l’elettrico puro. Infatti, secondo Campanari, sono due tecnologie complementari: le auto a batteria sono idonee per le brevi distanze mentre le fuel cell sono adatte per veicoli medi o medio-grandi, per gli autobus, per i camion, insomma per il trasporto merci e per le lunghe distanze.
Un ulteriore beneficio è probabilmente quello cruciale rispetto all’elettrico puro. Oggi le auto elettriche generano una gran mole di scetticismo tra i consumatori per due problematiche: la capacità e i tempi di rifornimento e la disponibilità di una rete di ricariche pervasive. In pratica l’elettrico genera ancora un’ansia tale da non renderlo nelle considerazioni degli automobilisti una soluzione ideale per lunghe percorrenze.
Con i veicoli a idrogeno, invece, si ha un rifornimento in tempi analoghi a quanto già oggi avviene, per esempio, con il metano o il gas naturale: 4 minuti per avere un’autonoma di 600 chilometri contro i 30 e più minuti per consentire a un’auto a batteria di percorrerne almeno 500. Non solo vengono ridotti i tempi ma anche la rete di rifornimento garantisce dei vantaggi visto che può essere utilizzata quella attuale con pochi accorgimenti dal costo decisamente basso in virtù di infrastrutture meno costose e meno ingombranti. Un esempio? Bastano solo 4 pompe per rifornire i veicoli e non le decine e decine di colonnine necessarie per le BEV. Secondo i calcoli 4 pompe a idrogeno avrebbero lo stesso ruolo di almeno una sessantina di colonnine fast-charger per le elettriche. Con una differenza fondamentale: per ricarica all’80% un’auto a batteria ci vogliono almeno 30 minuti, contro i 4 minuti di un rifornimento di idrogeno. In tal modo non ci sarebbero neanche problemi di congestione o coda alle stazioni provocati dalle lunghe attese per la ricarica. Si pensi a cosa succederebbe a una stazione di servizio autostradale nel pieno dell’esodo estivo: centinaia se non migliaia di auto in attesa di poter ricaricare le proprie batterie.
Al tutto si aggiungono ulteriori fattori positivi. L’idrogeno può essere, per esempio, prodotto tramite un processo di elettrolisi dell’acqua alimentata da fonti rinnovabili, il che eliminerebbe un grande problema delle attuali produzioni di elettriche. L’assemblaggio delle batterie per auto è ad alta intensità di anidride carbonica e l’estrazione e la raffinazione di componenti chimici fondamentali come cobalto e litio è altamente inquinante, oltre che eticamente fonte di grandi criticità. Infine, si risolverebbe il problema della produzione di energia: già oggi si ritiene che un grande parco circolante di auto elettriche non possa essere sostenuto dall’attuale rete di centrali energetiche né tantomeno dall’infrastruttura di trasmissione. Al contrario l’idrogeno consente di accumulare grandi quantità di energia e in particolare lo stock in eccesso generato dalle fonti rinnovabili in momenti di scarso fabbisogno o utilizzo. E anche in questo caso i costi sarebbero di molto inferiori a quelli di sistemi di accumulo a batteria: circa 18 euro a megawatt/ora contro 180. Infine, non va trascurato il fatto che l’idrogeno può essere trasportato tramite gli attuali gasdotti ed essere utilizzato per numerosi altri processi industriali con le conseguenze di generare economie di scala ed esternalità positive con altre industrie.
Per ora, comunque, si parla di potenzialità, che per quanto enormi rimangono sulla carta ma comunque pronte a emergere anche alla luce delle crescenti attenzioni dei legislatori e degli investimenti pubblici e privati che hanno, per esempio, portato al lancio in Germania dei primi treni a idrogeno e spinto l’italiana Fincantieri ad avviare attività di ricerca per navi a celle di combustibile.
Per il mondo dei trasporti alcuni esperti ritengono che un punto di svolta possa avvenire tra una decina di anni circa, una volta risolte alcune problematiche tecnologiche e di mercato, a partire dal prezzo di produzione ancora troppo elevato di oltre 6 euro al chilo. Secondo un recente studio di Bloomberg New Energy Finance, i costi di produzione dell’idrogeno verde (ossia prodotto dall’elettrolisi dell’acqua) potranno scendere di oltre il 70% nei prossimi dieci anni. Quando e se scenderà sotto i 2 euro, allora si avrà una soluzione veramente low-cost. Già oggi un pieno di idrogeno presso l’unica stazione attiva in Italia, a Bolzano, costa poco più di 12 euro e con solo 5 chili si riescono a percorrere circa 600 chilometri: in pratica l’idrogeno può essere già oggi equiparato al diesel. Inoltre, circolano previsioni che indicano per il 2025 il pareggio anche con l’elettrico a batteria.
Serve ancora qualcosa di più ovviamente: per abbattere i costi di produzione e quindi i prezzi di vendita saranno necessari enormi investimenti sulla ricerca e lo sviluppo di processi di produzione efficienti che riducano il consumo di elettricità (l’elettrolisi ha bisogno di notevoli qualità di energia) e una risorsa sempre più scarsa come l’acqua e aumentino quindi la resa produttiva, di grandi sistemi di accumulo che eliminino gli attuali rischi per la sicurezza, di tecnologie per il trasporto affidabili e di reti di distribuzione capillari.
Un ulteriore fattore che non va trascurato nelle analisi previsionali è legato alle economie di scala. In tal senso basti come esempio quanto avvenuto nel recente passato grazie a chi oggi ha un vantaggio competitivo assoluto in altri ambiti. La Toyota ha iniziato a sviluppare sistemi di ibridazione dei motori endotermici quasi 30 anni fa ed è stata la prima a lanciare vetture ibride sul mercato di massa ma solo dopo circa venti ha iniziato a coglierne i frutti e a recuperare gli investimenti effettuati. Non si sa quando ma non si sbaglia nell’affermare che l’ibrido abbia iniziato a essere redditizio per i giapponesi nel momento in cui decisero di aprire i loro brevetti consentendo così a tutti di sviluppare tecnologie analoghe e ponendo le basi per quelle economie dimensionali necessarie per ridurre i costi delle componenti fondamentali. Se venisse intrapreso un percorso simile anche per le fuel cell, probabilmente verrebbe sancito il predominio delle celle sull’elettrico puro alla luce degli ulteriori vantaggi di costo generati da una rapida adozione di tale tecnologia sul mercato.
In questo quadro l’Italia potrebbe, tra l’altro, giocare un ruolo di primo piano grazie alla sua estesa rete di gasdotti gestiti dalla Snam. Ed è proprio la società statale guidata da Marco Alverà che recentemente ha organizzato un convegno per illustrare il suo impegno a partire dalla sperimentazione, la prima in Europa, dell’immissione a Contursi Terme (Salerno) di un mix di idrogeno al 5% nella rete nazionale del gas per rifornire due imprese del salernitano. Secondo la società basterebbe immettere il 5% su tutta la rete, per un totale di 3,5 miliardi metri cubi, per coprire il fabbisogno annuo di 1,5 milioni di famiglie ed evitare l’emissione di 2,5 milioni tonnellate di Co2, pari alle emissioni di una città grande come Roma. Ora Snam sta portando avanti le verifiche di compatibilità dell’intera infrastruttura aumentando la percentuale di idrogeno miscelato al gas naturale fino al 10% ed esaminando le modalità di produzione da fonti rinnovabili. Del resto, l’estensione della rete e il potenziale italiano di generazione da fonti rinnovabili rappresentano delle enormi opportunità per l’Italia. Secondo uno studio condotto dalla stessa Snam con l’assistenza della società di consulenza McKinsey, l’idrogeno potrebbe per esempio coprire un quarto della domanda energetica nazionale entro il 2050 in uno scenario di decarbonizzazione al 95% (necessario per non superare la soglia degli 1,5 gradi di aumento della temperatura), rappresentare il carburante ideale per il trasporto pesante su lunga distanza soprattutto se venisse confermata la parità di costo con il diesel entro il 2030, generare ulteriori opportunità di sviluppo nel caso di una quota tra il 10% e il 20% rimessa nella rete del gas e, infine, sostenere un’ulteriore diffusione su larga scala delle rinnovabili agendo come elemento di flessibilità e di stabilità per lo stoccaggio.
L’Italia ha, del resto, alcuni vantaggi competitivi “naturali”: grazie alla forte presenza di energie rinnovabili potrà avere costi competitivi per l’idrogeno già entro il 2030, con l’idrogeno verde al punto di pareggio con quello grigio (prodotto da fonti fossili) 5 o 10 anni prima rispetto a molti Paesi, come la Germania. La sua vicinanza all’Africa potrebbe, inoltre consentire di importare idrogeno a un prezzo inferiore del 14% rispetto alla produzione domestica: sarebbe sufficiente investire nel solare africano per poi importare l’idrogeno in Sicilia tramite i gasdotti esistenti. Le attuali infrastrutture potrebbero anche consentire di collegare il Mezzogiorno, ricco di energia eolica o fotovoltaica, con le industrie del Nord creando nuovi sistemi energetici locali.
Il punto nodale, come per qualsiasi innovazione o sviluppo industriale, è sempre lo stesso. Serve una politica industriale nazionale e ancor di più una forte collaborazione tra industria e politica per promuovere un quadro normativo a sostegno della crescita del sistema. Purtroppo, alla luce di quanto avvenuto negli ultimi anni, si è di fronte a un problema ormai atavico per l’Italia che, se non risolto, rischia di cancellare, sin da subito, tutte le potenzialità dell’idrogeno per una nazione con un enorme opportunità da sfruttare all’interno, tra l’altro, di una sempre maggior spinta a livello europeo.
L’associazione europea dei costruttori automobilistici Acea, ha unito le forze con il consorzio Hydrogen Europe e l’Unione internazionale dei trasporti stradali Iru per chiedere esplicitamente alla politica europea di aumentare gli investimenti sulle infrastrutture di rifornimento nella convinzione che sia proprio l’idrogeno a poter fornire un contributo alle strategie di riduzione delle emissioni di anidride carbonica anche maggiore rispetto all’elettrico puro. “Insieme ad altri veicoli a propulsione alternativa, i veicoli a celle a combustibile hanno un forte potenziale per contribuire alla transizione verso una mobilità a emissioni zero”, ha sottolineato il Direttore Generale dell’Acea, Eric-Mark Huitema. «Ma la loro capacità di raggiungere questo potenziale dipende dalla costruzione di una rete di stazioni di rifornimento di idrogeno in tutta Europa. Oggi nell’UE ci sono solo 125 stazioni di rifornimento di idrogeno, quindi c’è molto lavoro da fare nei prossimi anni». Molto lavoro ma anche molte opportunità che l’Italia rischia di non cogliere senza un coinvolgimento diretto e sistemico nello sviluppo delle tecnologie del futuro.