Cosa c’è dietro il water grabbing

Environment


Cosa c’è dietro il water grabbing

Crescita demografica, aumento dell’anidride carbonica e consumi in ascesa sono i driver della scarsità dell’acqua. Oltre alle cifre dell’emergenza ci sono comportamenti da modificare. Perché la scelta di cibo, energia e perfino vestiti fa la differenza. Affronteremo il tema del water grabbing.

Crescita demografica, aumento dell’anidride carbonica e consumi in ascesa sono i driver della scarsità dell’acqua. Oltre alle cifre dell’emergenza ci sono comportamenti da modificare. Perché la scelta di cibo, energia e perfino vestiti fa la differenza.

Con l’espressione neologistica water grabbing, o “accaparramento dell’acqua”, ci si riferisce a situazioni in cui attori potenti sono in grado di prendere il controllo o deviare a proprio vantaggio risorse idriche preziose, sottraendole a comunità locali o intere nazioni, la cui sussistenza si basa proprio su quelle stesse risorse e quegli stessi ecosistemi che sono depredati. Gli effetti di questo accaparramento sono devastanti. Famiglie scacciate dai loro villaggi per fare spazio a mega dighe, privatizzazione delle fonti idriche, controllo forzato per progetti di agribusiness di larga scala, inquinamento dell’acqua per scopi industriali che beneficiano pochi e danneggiano gli ecosistemi, controllo delle fonti idriche da parte di forze militari per limitare lo sviluppo. Nel cosiddetto sud nel mondo ma anche in alcuni paesi industrializzati da bene comune liberamente accessibile, l’acqua si trasforma in bene privato o controllato da chi detiene il potere.

Oggi abitiamo un mondo dove sempre più abitanti anelano ad uno stile di vita caratterizzato da un benessere diffuso, fondato sulla tradizionale economia lineare “estrai-consuma-dismetti”. Abbiamo lavastoviglie, robot, automobili, consumiamo frutta esotica e carni in abbondanza, ci nutriamo di super-food come la quinoa o le bacche di goji senza sapere realmente quali sono gli impatti complessi di questo stile di vita. Eppure l’acqua è poca. Il pianeta terra è ricoperto da 1.390 milioni di Km cubici d’acqua, di cui il 97,5% salata, presente nei mari e negli oceani. Eppure solo il 2,5% è acqua dolce, la gran parte sotto forma di ghiaccio nelle calotte polari. Gli esseri umani hanno a disposizione solo 93.000 Km cubici, pari a circa lo 0,5% del totale. Di quest’acqua solo una parte è potabile o non-contaminata, spesso distribuita in maniera diseguale tra aree del pianeta.

Con l’aumento dei consumi idrici e della popolazione, la disponibilità pro-capite a livello globale è passata da 9.000 metri cubi d’acqua potabile/anno a disposizione negli anni Novanta a 7.800 nella prima decade del XXI secolo e si prevede che, nel 2020, scenderà ancora a poco più di 5.000 metri cubi, circa l’equivalente di due piscine olimpioniche. Però c’è un problema di distribuzione a livello planetario. Se in Italia nel 1962 ogni cittadino aveva 3.587 metri cubi d’acqua a disposizione al 2018 questa disponibilità è scesa a meno di 3.000. Una riduzione minima se comparata al Ruanda, passato da 3114 metri cubi a 837 e alla Siria, che da 1463 metri cubi è scesa a circa 300. La regione più colpita è l’Asia, che secondo l’analista indiano Brahama Chellaney, “con tre quinti della popolazione mondiale e il ritmo di crescita più serrato, ha meno acqua dolce di qualsiasi altro continente”. Contemporaneamente nei prossimi vent’anni la domanda di acqua crescerà di circa il 40% rispetto a oggi, con picchi di oltre il 50% nei paesi in via di sviluppo. Ed ecco la prima vertigine data da queste due tendenze discordanti: meno acqua a persona e un consumo in crescita. Continuiamo.

Dal punto di vista sanitario un miliardo di persone non ha accesso all’acqua potabile, mentre più del doppio non ha accesso a servizi igienico-sanitari di base. Con gravissime conseguenze sulla salute. La diarrea uccide annualmente 1.9 milioni di bambini. Un disastro equivalente a dodici Boeing 747 pieni di passeggeri caduti per incidente. Al giorno. E sebbene lentamente i numeri migliorino – nel 2017 ci sono stati meno morti per igiene in percentuale che negli ultimi cento anni – l’evolversi delle trasformazioni ambientali globali potrebbero invertire questo trend positivo, offrendo importanti avvisaglie, di cui il peggioramento dell’Indice della fame nel 2017 è la più eclatante.

Per capire questo contesto fatto di domanda accresciuta e scarsità della materia prima, come un classico dilemma economico, bisogna andare a cercare i driver globali sotto cui ricondurre il problema. Il primo è squisitamente demografico. Dal 1950, quando sulla Terra eravamo meno di 2,5 miliardi, la popolazione ha raggiunto la cifra monstre di 7,5 miliardi di persone nel 2017, anche se – tiriamo un attimo di respiro – rispetto agli anni Cinquanta il tasso di crescita si è dimezzato. In ogni caso saremo 9,7 miliardi nel 2050 e 11,2 miliardi per la fine del glorioso XXI secolo (allora il tasso di natalità sarà ai minimi), salvo catastrofi e pandemie.

La seconda causa viene da un nemico invisibile: l’eccessivo accumulo di anidride carbonica (CO2) nell’atmosfera Oggi abbiamo superato la soglia delle 400 parti per milione di anidride carbonica, un limite mai sorpassato da centinaia di migliaia di anni, raggiunto in soli 150 anni di emissioni di gas climalteranti legate all’amplio sfruttamento di combustibili fossili, come petrolio, gas e carbone.

Disiguaglianza idrica in crescita

Il terzo macro-fenomeno da analizzare è l’impatto idrico degli abitanti del pianeta, ovvero la quantità acqua dolce utilizzata nella produzione di alimenti e beni consumati e quella usata per uso igienico e personale. Nel mondo occidentale il consumo idrico pro-capite è cresciuto a dismisura. Un cittadino americano consuma 1.280 metri cubi all’anno, un europeo circa 700 metri cubi. Solo nei paesi meno sviluppati è crollato. Un africano consuma in media appena 185 metri cubi. Nel Sahel le famiglie consumano anche meno di 10 litri di acqua al giorno. Se paesi come USA ed Eu devono adottare comportamenti più ecosostenibili da un punto di vista idrico, preoccupa l’aumento nei paesi di nuova industrializzazione. In Cina la domanda di acqua è cresciuta da 550 miliardi di metri cubi (di cui 114 per l’industria) a 657 (di cui quasi un terzo per la produzione industriale) e raggiungerà quota 743 miliardi nel 2020. La National Development and Reform Commission cinese, l’organo governativo che sovraintende lo sviluppo della nazione, a inizio 2017 si è dato come obiettivo di limitare a 670 miliardi di metri cubici fino al 2020. Un annuncio repentino e inatteso che ha mostrato il timore del Governo cinese di non riuscire a coprire la gigantesca domanda. Scarsità vuol dire instabilità e la parola instabilità terrorizza il Partito Comunista e il suo leader Xi Jinping. Numerose zone critiche del Paese sono affette da scarsità idrica. Attualmente undici province cinesi su trentuno sono sotto questa soglia, con la capitale, Pechino, che ha per i suoi abitanti a disposizione solo 145 metri cubi e deve ricorrere continuamente a misure di emergenza.

Dietro le cifre ci sono comportamenti familiari. La scelta tra vegetali e carne, il tipo di energia impiegata, la doccia, la piscina, i tessuti dei propri vestiti. A livello mondiale il 70% dell’acqua è usata per nutrirci (agricoltura e allevamento), il 22% è usata per produrre materia e oggetti, mentre il restante 8% è riservato all’uso domestico. Scegliere tra la carne di pollo e quella di vitello, tra le mandorle, il mango e il melone, tra il latte di soia e il latte di vacca (spoiler alert: il primo è molto più impattante!) spesso fa una differenza radicale su quanta acqua ognuno impieghi. Quando si va al supermercato s’ignora quanta acqua è stata necessaria per produrre gli alimenti che tutti i giorni sono sulla tavola. Non nascondiamoci dietro un dito: il nostro modo di mangiare e di consumare è alla base del forte squilibrio idrico del pianeta. L’obesità oggi interessa ben 600 milioni di persone. Oltre due miliardi sono in sovrappeso. Ben quarantuno milioni sono bambini con meno di 5 anni.La soluzione insomma, più che nella doccia si potrebbe celare nel nostro frigorifero. E in uno stato di diritto dove tutti i cittadini possano godere dell’accesso all’acqua.  

Emanuele Bompan, giornalista ambientale e geografo. Si occupa di economia circolare, cambiamenti climatici, innovazione, energia, mobilità sostenibile, green-economy, politica americana. È direttore della rivista Renewable Matter; collabora con testate come La Stampa, BioEcoGeo, Sole24Ore, Equilibri. Autore di numerosi libri, ha un dottorato in geografia e collabora con ministeri, fondazioni e think-tank. Offre consulenza a start-up green e incubatori specializzati in clean-tech. Ha vinto per quattro volte l'European Journalism Center IDR Grant, una volta la Middlebury Environmental Journalism Fellowship ed è stato nominato Giornalista per la Terra 2015. Ha svolto reportage in 75 paesi, sia come giornalista che come analista.​​