Adattarsi al clima: le città cambiano colore
Le aree urbane risentono più delle aree rurali del surriscaldamento globale. Il cosiddetto “effetto isola di calore” può aumentare le temperature di 4-5 gradi centigr
La fiducia nella tecnologia per pulire i mari è fondata, ma diventa pericolosa se induce l’idea che il nostro modo di vivere possa continuare inalterato. Ecco perché.
La fiducia nella tecnologia per pulire i mari è fondata, ma diventa pericolosa se induce l’idea che il nostro modo di vivere possa continuare inalterato. Ecco perché.
La chiamano “Ocean Cleanup”. La macchina per raccogliere i rifiuti plastici dal mare sfruttando le correnti oceaniche funziona davvero. Lo ha annunciato recentemente la stessa Ong olandese Ocean Cleanup, spiegando che, dopo un anno di test e le modifiche apportate in seguito a un guasto, il macchinario System 001/B raccoglie detriti plastici di ogni tipo e dimensione, dalle microplastiche alle reti fantasma. Su iniziativa di un allora giovanissimo e visionario imprenditore, Boyan Slat, da 7 anni si lavora a sviluppare un sistema autonomo che utilizza le forze naturali dell’oceano per catturare e concentrare passivamente la plastica, che ora è salpato.
Si tratta di uno sviluppo straordinario, ma che non deve essere malinteso nella sua eccezionalità. L’aspetto meraviglioso e incoraggiante non è solo l’avanzamento tecnologico, bensì che la visione di Slat – che si occupa di impresa – sembra avere una sostenibilità economica e finanziaria che dà le ali alla sua sostenibilità ambientale. Dimostra che occuparsi del nostro pianeta non è necessariamente un costo che dobbiamo sopportare privandoci di altro. Al contrario: è forse la più gigantesca opportunità di ricerca, innovazione, occupazione e reddito dei nostri tempi.
Dobbiamo invece stare attenti a non lasciarci anestetizzare dall’idea che la tecnologia pone rimedio a tutto: potrò continuare a consumare e gettare plastica, tanto c’è il grande aspirapolvere robotico che pulisce tutto. La questione è in realtà fondamentale e generale. La prima idea di sostenibilità che prese piede – e che guidò per due decenni riflessioni, azioni e negoziati sul clima e sull’ambiente – si impegnava sulla “legge di sostituzione di Hartwick-Solow” basata sul principio di sostituzione fra diverse forme di capitale, ed in particolare fra le risorse grezze offerte dalla natura e le risorse prodotte dall’uomo. Il procedimento sostenibile che se ne trae consiste nel reinvestire una parte dei redditi tratti dallo sfruttamento delle risorse naturali nell’obbiettivo di ricostituirle, consentendo così di proseguire la produzione senza esaurire le risorse stesse. Tale procedimento funziona solo nella misura in cui la parte del reddito dedicata alla ricostituzione di tutta la risorsa estratta sia minore del reddito fornito dall’estrazione medesima. In parole povere, ha senso ripiantare gli alberi abbattuti se questa operazione costa meno di quanto si ricava dalla vendita del legname.
Tale metodo, in prima battuta, porta ad adottare alcune cautele materiali quali, appunto, la rotazione delle aree di abbattimento di alberi e la riforestazione. Più in generale, esso apre delle prospettive di lunga durata basate sul progresso tecnico, un particolare tipo di capitale umano che aumenta l’efficienza nell’utilizzo delle risorse naturali e, soprattutto, rende più favorevole la ragione di sostituzione fra il rimedio prodotto dall’uomo e la risorsa naturale estratta. In altri termini, il progresso consentirebbe di ricostituire la risorsa estratta (o l’equilibrio alterato) in maniera sempre meno costosa e sempre più efficiente, aprendo la strada a un cammino di questo tipo:
Questa fede nella tecnologia è fondata, ma diventa pericolosa se induce l’idea che il nostro modo di vita possa continuare inalterato, tanto qualcuno pulisce. Ed è stata un’idea dominante: sperperiamo energia, tanto ci saranno le rinnovabili e le lampadine più efficienti! Non fermiamo i rifiuti, tanto si riciclano! Fino al parossismo dei cosiddetti progetti di “geo-ingegneria” – ad esempio lanciare nel punto lagrangiano fra terra e sole e milioni di specchi per diminuire la radiazione che ci colpisce – contemplati come soluzioni di larga scala al riscaldamento globale poiché modificano il sistema adattandolo… alla nostra follia.
Tutte queste idee hanno una loro validità e certamente tecnologie che ci consentono di fare lo stesso con meno risorse sono utili, ma diventano pericolose se valgono come scusa per non mettere in discussione gli errori profondi del nostro modello di vita.
Affidarsi solo al rimedio tecnologico – tutto a posto! Bastano i motori ibridi e posso fare come sempre – è ciò che il Pontefice chiama “paradigma tecnocratico” nell’Enciclica Laudato Si’ e rappresenta una forma di paraocchi esiziale. Anzitutto, la crescente efficienza nell’uso o nella sostituzione delle risorse può al massimo rinviare il collasso dell’ecosistema, non scongiurarlo. Ma soprattutto, se pensassimo solo in termini di tecnologia, non affronteremmo la radice del problema, ossia che una vita sostenibile è una vita più felice, sicura e ricca: si vive meglio senza produrre rifiuti che riciclandoli; è meglio proteggere la natura mangiando in maniera salutare invece di ingozzarsi di proteine animali e poi rimediare alle conseguenze sul mio pancreas e il clima di tutti; si sta meglio ad avere poco ma di altissima qualità, perché le compulsioni consumistiche danneggiano l’economia, la natura e soprattutto chi ne è vittima.
Bravissimi Ocean Cleanup! Avevamo bisogno di voi. A patto che ci ricordiamo quanto odiavo sentire dire sempre a mia madre da piccolo: «Il disordine – e si riferiva al micromodello di Pianeta al collasso rappresentato dalla mia cameretta – non si mette a posto; anzitutto non si crea!».